Una delle cose più incredibili in cui mi sono imbattuta nel 2022 è stato un video sui social di Lorenzo Luporini, giovane e talentuoso nipote di Giorgio Gaber e del suo sodale storico Sandro Luporini, in cui una notte, rientrando a casa, si imbatteva in un’auto dalla cui autoradio usciva l’intero album Libertà Obbligatoria, il disco registrato dal vivo al Teatro Duse di Bologna il 14 ottobre 1976, l’ultimo in cui Gaber si confronta direttamente con il Movimento e i fatti intorno al ’68.

Nel video di Lorenzo il disco suonava per intero da quest’auto chiusa, senza alcun passeggero all’interno, qualcosa di sorprendente e autenticamente magico se pensiamo che l’auto –come mi ha precisato Lorenzo, allora, in un breve scambio – se ne stava a 45 metri da casa sua, ferma, così, con la musica di suo nonno, anzi, con le canzoni dei suoi nonni in diffusione a occupare lo spazio cittadino, Milano, le strade di notte.

La diretta per l’anniversario

Giorgio Gaber è morto vent’anni fa, il 1° gennaio 2003 a Camaiore, aveva solo 64 anni e il 1° gennaio 2023, per la prima volta, si sono potute seguire in una diretta non stop di 24 ore le sue esibizioni. A occuparsene è stata la Fondazione Gaber, che per l’occasione, tra i tanti mondi e modi performativi esplorati dall’artista milanese, ha scelto il più ricco, il più straordinario, quello cioè del Teatro Canzone, dal Signor G (1970) a Un’idiozia conquistata a fatica (1998).

Le immagini sono tratte da un repertorio già esistente, per la precisione dai contributi della RSI, Radiotelevisione della Svizzera Italiana, dalle riprese che la Rai fece al Teatro Lirico –  dal 2021 proprio Teatro Lirico Giorgio Gaber – e da quelle realizzate dai singoli teatri negli ultimi 15 anni dell’attività dell’autore, quando ciascuno degli spazi coinvolti iniziava a propria volta a riprendere tutto per il proprio archivio, spesso non in alta qualità professionale ma comunque mostrando materiali molto attendibili circa un percorso artistico.

Il lavoro della Fondazione

(Foto Claudio Furlan/LaPresse)

La Fondazione Gaber, me lo racconta il suo presidente Paolo Del Bon che dal 1984 ha collaborato con Gaber come responsabile organizzativo e amministrativo della sua attività artistica, è nata proprio 20 anni fa, e da allora si occupa di raccogliere materiale esistente, audio, video, grafico, fotografico, partiture musicali, insomma tutto quello che riguarda l’artista, nella speranza di poter infine offrire tutto allo sguardo pubblico con un archivio online completo che, con ogni probabilità, verrà inaugurato proprio in questo nascente 2023.

Le iniziative della Fondazione sono tante, da “Milano per Gaber” a rassegne in Toscana, proprio a Viareggio, città natale di Luporini, e a Camaiore, dove i due d’estate scrivevano gli spettacoli che poi portavano, nella stagione successiva, in giro per i teatri italiani. Lorenzo Luporini aveva otto anni quando è morto nonno Giorgio Gaber ma si occupa oggi di parte della comunicazione ai giovani della sua opera, anche attraverso varie iniziative che nel corso degli anni hanno preso vita nelle scuole e nelle biblioteche.

Credere nella parola

Figlia di una convinta gaberiana di cui ora custodisco l’intera discografia del teatro canzone, non ho mai smesso di ascoltare Giorgio Gaber in alcun momento della vita, ho visto la sua parola trasformarsi con la mia storia privata: è così che succede con la musica, e soprattutto è così che succede con la canzone. Gaber si sentiva soprattutto un autore di canzoni, dico di più, credeva nelle canzoni non asservite al sistema discografico e, come nessun altro in Italia, credeva nella parola della canzone.

In uno scenario cantautorale in cui ognuno rivendicava (in molti casi anche giustamente) la propria natura di musicista (da Dalla a Baglioni) su quella di autore, Gaber confessava l’evidente: per lui la parola era tutto; la musica gli interessava specialmente fuori dalla forma canzone e non si sentiva troppo in grado di giudicare canzoni inglesi o americane come buoni o cattivi pezzi, visto che di loro gli sfuggiva la grana più profonda della lingua.

Tramandare la complessità 

LaPresse

Mentre coglievo il modo in cui la lingua di Gaber si trasformava ai miei occhi con lo scorrere degli anni, l’accrescere naturale dell’intimità e del sapere, ne comprendevo allora la potentissima complessità, la stessa a cui ho pensato quella sera nel vedere il video di Lorenzo Luporini con le canzoni di Libertà Obbligatoria che attraversavano lo scenario urbano di notte, immobili eppure in movimento. Per Gaber anche la scelta di scrivere canzoni da far vivere in teatro era una scelta di contenuto, un modo di «aumentare la resa emotiva del concetto» diceva lui, dalla parola alle luci (musica inclusa, è chiaro), tutto partecipava ad accrescere le dinamiche emotive.

Come si può allora oggi tramandare questa complessità? Come si può oggi trasferire alle generazioni più giovani un discorso che, a partire dalla propria formulazione estetica, è stratificato e pieno, nella politica, nel collettivo della società e insieme nell’intimo, nell’individuale della stessa società? Come si può tenere alta l’attenzione su qualcosa che sembra lontanissimo ma che appena inizia a dirti qualcosa sembra parlarti di presente e a volte quasi di futuro? Libertà Obbligatoria risuona nelle strade e parla di oggi, 45 anni dopo il suo esordio in scena e la sua uscita discografica e questo come possiamo raccontarlo adesso pienamente?

Gaber e i giovani

LaPresse

Chi scrive non crede negli omaggi, nei replicanti a repliche finite, nei tentativi di somigliare a, di riprodurre, e dunque si dilania ogni volta, nell’amore per un’opera artistica, a pensare a come si possano tramandare questa o quella vicenda senza sacrificarne la stratificazione, senza semplificazioni, registri drasticamente al ribasso: per questo quesito non trovo quasi mai risposta. La soluzione, l’unica che mi convince è semplice e sta nell’ascolto e nell’osservazione attenta dell’originale.

Non mi stupisce ma mi colpisce felicemente, visto il ruolo istituzionale, quindi, la risposta così ben accordata del presidente della fondazione quando gli domando quale sia, invece, la sua soluzione, sul futuro del discorso  di Giorgio Gaber in questo tempo e su come si possano tenere in vita i suoi discorsi tra i più giovani: «Gaber rimane estremamente vivo nel ricordo di chi l’ha conosciuto bene, quindi ahimè a persone sempre meno giovani, però la presenza dei giovani, quando c’è, è confortante, chi si avvicina al suo lavoro, in ogni tempo, scopre un classico, con tutto l’entusiasmo che è in grado di generare. Per quanto mi riguarda la soluzione, il modo, comunque, è sempre quello di farlo parlare in prima persona, con la sua comunicatività, il suo carisma: più che di raccontare lui, far parlare e specialmente far vedere lui. Chi lo guarda rimane colpito e difficilmente se lo scorderà».

© Riproduzione riservata