Domenica

Seconda puntata di Cartella clinica, Sellerio, libro di impressionante bellezza in cui Serena Vitale racconta la tragedia di sua sorella Rossana morta a vent’anni nel 1961. Ho ripescato in archivio un’intervista rilasciata dieci anni fa dalla scrittrice ad Antonio Gnoli.

Serenochka, come la chiamava Viktor Shklovskij (il teorico russo che negli anni Venti rivoluzionò gli studi letterari), racconta a Gnoli di Rossana: «Fu una vicenda terribile. Studiava al conservatorio, era una pianista promettente. Poi un giorno le diagnosticarono una forma di schizofrenia. Girammo l’Europa nella speranza che potessero aiutarla. Un medico svedese le praticò la lobotomia. Era una creatura bellissima. Fu deprivata di una parte di sé. E poi è morta a Santa Maria della Pietà. Questo è tutto. È la prima volta che ne parlo. In certi momenti, quando è più acuto il dolore, ho pensato di scriverne. Ma resisto, so che non è giusto».

È il sofferto atto di nascita di Cartella clinica.

Mi trovo a Roma. Piacevole serata (e quando mai non sono piacevoli le serate romane?) alla trattoria da Giggetto in via Alessandria. Menù della conversazione: cinema (l’Hitchcock degli Uccelli, il Leone di C’era una volta in America, l’Antonioni dell’Avventura, il James Gandolfini dei Sopranos con particolare attenzione alla sua ultima cena proprio a Roma); canzoni italiane (Battisti e Mogol, le cover d’annata di Celentano, tipo Ora sei rimasta sola, I Dik Dik, L’arcobaleno di Gianni Bella); sesso (con svariate sfumature tra uomini e donne, uomini e uomini, donne e donne); storia dei presidenti della Repubblica (argomento di stringente attualità essendo la festa del 2 giugno).

Menù della cenetta: hamburger, cacio e pepe, straccetti con i funghi, frutti di bosco.

Lunedì

Nella mia storia rosa della letteratura italiana in fieri, dedicherei un capitolo alla storia d’amore tra Serena Vitale e Giovanni Raboni. Così lei la racconta a Gnoli: «Iniziò nel 1970, lavoravo alla Garzanti. Ci sposammo. Ci siamo lasciati nel 1981. Fu una strana miscela: io sgangherata, venivo da Brindisi e poi da Roma, e lui a modo, con la sua moralità milanese. Mi colpì l’uomo: bello e discreto. Penso che i veri amori, come i poeti, vanno protetti». Da cosa? «Dalla stanchezza e dalle maldicenze del tempo».

Nell’intervista, si parla molto della Russia (Vitale è pure la più grande slavista italiana). Il discorso cade su quanto fosse amato in Urss Alberto Moravia. Meno però, nota la scrittrice, «del cantante Robertino e Sofia Loren». Robertino! Ancora sotto l’influsso della cena di ieri sera, ho un sobbalzo. Robertino, il cantante di Un bacio piccolissimo (sulla bocca tua di zucchero).

Di Moravia ospite di riguardo in Russia, Vitale racconta: «Ricordo una cena in suo onore a Mosca al ristorante Sovetskaya, luogo di antiche abboffate per il Komintern. A un certo punto, tra una portata e l’altra, vidi Moravia irrigidirsi, come l’intarsio di una betulla e rimanere in silenzio. Il coro intonò Tuppe-tuppe mariscià. Fu un momento surreale».

Martedì

Quella sera al Sovetskaya Moravia commise un errore a infastidirsi per Tuppe-tuppe mariscià. L’ho riascoltata e poi ho riletto le pagine che le dedica Pasquale Scialò nella sua formidabile Storia della canzone napoletana (Neri Pozza, due libri che tengo sempre sul comodino). Apparentemente, come scrive Scialò, Tuppe-tuppe mariscià è un brano leggero («un Moderato spiritoso, a tempo di mambo»). In realtà non è così. L’inizio della canzone è pura apocalisse.

Siamo nel 1958 in un paese rurale della Campania arso dalla siccità (’e ppiante so’ seccate) e i cui abitanti sembrano aver smarrito la ragione. Il protagonista della canzone decide che non si può andare più avanti così e va a parlare con la massima autorità locale, il maresciallo. Bussa alla porta della locale tenenza (Tuppe-tuppe mariscià, arapite, so’ ’n’amico) e denuncia la responsabile, secondo lui, del dramma in corso. Si tratta di Carmelina, quella che sta «’ncopp’â scesa», un vero pendaglio da forca (È ’na mala chiappa ’e ’mpesa) che seduce gli uomini del posto (Ogneduno è affatturato), li avvelena con i suoi baci ardenti, fa perdere loro il senno (qui siamo in zona Ariosto). Una volta baciati da Carmela gli uomini smettono di parlare. Come è successo ad «Antonio di Concetta, Domenico, Pasquale, Vincenzo, Ciro» e perfino al farmacista (cioè l’intellighenzia) e alla giunta comunale al gran completo.

Il delatore sollecita il maresciallo a provvedere arrestando Carmela. Ma questi non si muove, non reagisce: «Marisciá vuje nun parlate? /
Ma pecché nun rispunnite? /
Mariscià, che ve sentite? /
Nun ‘ngarrate cchiù a parlà?».
Anche l’integerrimo rappresentante della Legge, è rimasto ammaliato dai baci di Carmela.

Pezzo di teatro stupendo Tuppe-tuppe mariscià, pièce sinistra magnificamente interpretata da Maria Paris (pronuncia Parìs alla napoletana, come tunnèl). Facevano bene quella sera gli avventori del Sovetskaya a intonarla in coro.

Mercoledì

Fine intervallo musicale.

È incredibile la densità di Cartella clinica. In poco più di cento pagine contiene, oltre alla tragedia di Rossana, un’epoca intera, quella del passaggio dalla guerra al Boom economico in Bassitalia.

Ecco l’indice dei personaggi e delle cose notevoli: le sale da pranzo dagli «enormi, torvi mobili scuri falso Rinascimento»; la zia Nunziata che abitava in un palazzo con una balconata di stile cosidetto “arlecchino”, «omaggio di un geometra locale al cubismo: mattonelle colorate in disordine sparso, rigorosamente non figurativo»; le coperte «verdi, ruvide, probabilmente militari (inglesi, americane?)»; lo zio gay vestito da hawaiana e di cui si diceva avesse la «malattia»; le zitelle vicine di casa Cosima, Cleofe e Concetta; le lezioni di danza classica della signora Ida Pagan de Paganis nel salone del Dopolavoro ferroviario di Brindisi; la vittoria di Wilma Rudolph nei cento metri alle Olimpiadi di Roma; l’elegante chemisier bianco con piccoli disegni neri indossato dalla madre di Rossana e Serena per le grandi occasioni; la vecchia macchina da cucire Singer e il suo ticchettio incessante; le lenzuola «macchiate di sangue appese a una corda che andava da un balcone all’altro» dopo la prima notte di nozze a dimostrare che la sposina era giunta al matrimonio illibata...

Scenografie, costumi e cast di Cartella clinica. E poi le bambole di celluloide, alle quali Rossana cercava di cavare gli occhi con le forbici. «Perché? Che male ti hanno fatto?», chiedeva Serena. «Sembra che mi guardino», era la risposta. «Forse perché sei bella», diceva Serena.

Lo era davvero, bella, Rossana, «somigliava a Audrey Hepburn in Sabrina». Ma la bellezza non è sempre salvezza. Serena, come in un giallo, cerca il colpevole e crede di trovarlo, attingendo a testimoni dell’epoca, in uno scacco sentimentale. Fu allora che la sorella cominciò a perdersi? Poi abbandona la pista perché la schizofrenia è «un tragico addio alla realtà di cui va rispettato il mistero. Perdonami, Rossana».

Giovedì

Dopo. Dopo la morte di Rossana.

Ottenuta la maturità liceale, Serena passa l’estate a Brindisi. I genitori si sono separati incolpandosi a vicenda della tragedia. Lei vede il padre ogni pomeriggio al solito bar, sempre bello, sempre senza cravatta. Una carezza, un gelato, una domanda sull’università, l’augurio di un futuro da poetessa. Il padre non ha dimenticato la poesia che Serena scrisse a quattro anni («Tu-tu-tu-tu-tu, / passa il treno, / e anche il tempo passa»). Gliela cita ogni volta con un sorriso. E poi: «Quando lo salutavo, mi regalava – sempre – una manciata di caramelle “Rossana”».

Venerdì

Magari Serena Vitale avrà qualche rimorso per aver scritto alla fine il libro che non era giusto scrivere. Invece è stato giusto farlo, e non solo per le ragioni della letteratura, ma per ragioni molto più grandi. Scrivendolo ci ha regalato la sua Rossanochka.

P.S. Esco. Ho bisogno di una cannarutìa, come si chiamano al sud i dolci. In zona Solari c’è un negozio con tutte le caramelle del mondo. Avranno anche quelle con la carta rosso sangue e «un cuore segreto», come diceva la pubblicità.


Per scrivere ad Antonio D’Orrico la mail è: lettori@editorialedomani.it

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