Jonathan Gottschall studia da molti anni il rapporto che gli esseri umani intrattengono con l’atto di raccontare storie. Considerato da Steve Pinker il più profondo pensatore su questo tema, Gottschall è in uscita in Italia con Il lato oscuro delle storie per Bollati Borighieri, un libro che fa da seguito a L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, un saggio uscito per lo stesso editore nel 2014 e diventato nel tempo un libro di culto.

Il tuo libro precedente aveva una visione positiva del ruolo delle storie nelle società umane, questo nuovo libro affronta lo stesso tema ma si dedica invece al lato oscuro delle narrazioni. C’è stato un evento in particolare che ha ispirato questo cambiamento?

Ho deciso di scrivere questo libro dove aver partecipato a una veglia funebre nell’autunno del 2018, a Pittsburgh, la città dove vivo. Un mio concittadino era caduto dentro un vortice di informazioni complottiste su internet, un vortice che lo avevano convinto che gli ebrei fossero i più grandi vampiri della storia. Non c’era nessuno, in fondo a quel vortice, che gli dicesse che quella storia non era vera, così quest’uomo ha guidato fino Squirrel Hill – un bel quartiere alberato vicino a quello dove vivo – ed è entrato in una sinagoga urlando che tutti gli ebrei dovevano morire. Ha ucciso 11 persone e lo ha fatto perché viveva dentro una storia vecchia e molto stupida sulla malvagità degli ebrei. Camminando fra la gente in lutto ho sentito in maniera più viscerale che mai come il potere delle storie sia capace di ingannare le nostre menti e condurci alla pazzia.

Le storie sono responsabili anche di molto del bene che viene fatto nel mondo, ma sono al contempo il mezzo con cui si diffondono e si affermano le maggior disfunzioni sociali. Ho incominciato così a lavorare a un libro sul seguente paradosso: le storie sono, semplicemente, la forza più forte e costruttiva al mondo e al tempo stesso la peggiore e la più distruttiva.

Come possono le storie cambiare il mondo?

Le storie hanno una serie di vantaggi – confermati sperimentalmente – rispetto ad altri metodi di comunicazione come ad esempio l’argomentare basato sui fatti. Prima di tutto amiamo le storie e chi ce le racconta, cosa che non si può dire di molte altre forme di comunicazione verso le quali non proviamo affatto lo stesso interesse. Poi c’è il fatto che le storie colpiscono la nostra mente: a livello cerebrale metabolizziamo in fretta le narrazioni e le ricordiamo molto meglio rispetto a quello che succede quando ci troviamo di fronte ad altre forme di comunicazione.

Il terzo fatto è che le storie sono in grado di trattenere l’attenzione come nient’altro, basti pensare a quanto poco la mente vaghi mentre si sta guardano una serie tv o leggendo un bel romanzo. Quarto: le belle storie chiedono di essere raccontate ancora e ancora ,basti pensare quanto sia difficile non raccontare un gossip top secret o non fare spoiler di un film. Questo significa che il messaggio nascosto nelle storie si diffonde in maniera virale. Quinto: le storie generano emozioni molto forti e le emozioni dissolvono lo scetticismo, rendendo i fruitori di una storia molto più ricettivi al messaggio che quella narrazione porta con sé. Qualsiasi esso sia.

Perché Platone voleva cacciare i poeti dalla sua repubblica ideale?

Sono molto lontano dall’essere il primo a denunciare la capacità delle storie di creare disastri. 2.400 anni fa, già Platone denunciava la capacità delle storie di far deragliare le nostre menti e danneggiare pesantemente le società, e in particolare le società democratiche. Ne La Repubblica era talmente preoccupato del potere distruttivo dei narratori che propose seriamente di gettarli dalle mura della città e bruciare i loro libri, spogliando integralmente la società di storie. Nella storia La Repubblica di Platone è stata amata e odiata, ma molto raramente presa sul serio: fra i problemi maggiori che l’umanità deve affrontare ci sono effettivamente le illusioni create dai narratori.

E se Platone ha sicuramente sbagliato molto, la recente scienza della narrazione ha validato le sue preoccupazioni riguardo al potenziale che hanno le storie di portare le società sul bordo del caos grazie alla loro capacità di generare irrazionalità.

Pensi che la nostra epoca – dove le storie sono distribuite ovunque e in quantità senza precedenti grazie alla tecnologia – presenti maggiori rischi o il problema sia da sempre lo stesso?

Oggi la situazione è molto più pericolosa. Viviamo dentro una sorta di Big Bang delle narrazioni reso possibile dalla tecnologia. Assistiamo a un’espansione incredibilmente veloce e in ogni direzione dell’universo delle storie. Siamo arrivati a un punto in cui la persona media, secondo la Nielsen, consuma 12 ore di contenuti media al giorno, la maggior parte dei quali in forma narrativa, comprese molte ore di fiction. Questa situazione ha molto amplificato il potere delle storie di traghettarci dentro epidemie di irrazionalità e aumentare la nostra rabbia e la nostra ostilità. Per quanto, quando sono buone, le storie continuino a darci conforto, la tecnologia le ha rese molto più ubique, potenti e strumentalizzabili di quanto Platone avrebbe mai potuto immaginare. 

Che cos’è il mondo della post-verità?

È il mondo in cui la realtà condivisa va scomparendo. È un mondo dove quello che è considerato “vero” è ciò che ha dietro la storia migliore e non le prove migliori. È una prospettiva piuttosto spaventosa, è la candela dell’illuminismo che va spegnendosi, al suo posto avanza una nuova epoca oscura che ridà forza ai pregiudizi, alle superstizioni, alla nostra predisposizione per la violenza tribale. Ironicamente, il mondo della post verità non è un mondo dove la maggior parte delle persone pensa che non esista una verità o dove tutti diventano dei relativisti post-moderni, al contrario è un mondo di grandi certezze. Un mondo dove non importa quale sia la storia assurda in cui credi, internet ti permetterà di trovare delle informazioni che la sostengano, informazioni che sembreranno delle prove più o meno credibili.

Esiste qualcosa di simile ad un’alfabetizzazione rispetto alle storie? Un sapere che insegni a convivere con esse senza autodistruggerci?

Sicuramente lo spero. Gli esseri umani in genere non capiscono il potere delle storie. Se durante degli esperimenti in laboratorio chiedi alle persone, tutte dicono che le storie hanno poca o nessuna influenza su di loro e che quello che rispettano – quello ciò che davvero dà forma ai loro convincimenti e alle loro decisioni – sono i fatti, le statistiche, la scienza. Ma non è vero. I risultati delle ricerche lasciano pochi dubbi: le narrative di tutti i tipi hanno una speciale capacità di attirare l’attenzione, di condizionarci emotivamente e cambiare il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci comportiamo.

E ironicamente è proprio la nostra convinzione un po’ cialtronesca che le storie non abbiano su di noi un grande potere a renderle così potenti: siccome non riconosciamo potere alle narrazioni non facciamo nulla per difenderci da esse. Ho scritto questo libro proprio per fornire qualche mezzo di difesa, se riusciamo a capire che abbiamo una suscettibilità innata nei confronti delle narrative manipolatrici che stanno dividendo le nostre società, allora potremmo riuscire a resistere un po’ meglio.

Nel libro parli della narrativa conservatrice di Donal Trump e poi di quella liberal che in occidente definisce il mondo dei media e dell’accademia. Siamo condannati a vivere dentro bolle, definite da diverse narrative, e non parlare più l’uno con l’altro?

Penso che questa sia senz’altro la direzione in cui stiamo andando e che sarà difficile trovare un’altra strada. Quando diciamo informalmente «Sally ha una narrativa», intendiamo dire che Sally ha dei valori che sono mossi da una specifica storia su come il mondo è arrivato ad essere come è, e che anche il modo di Sally di pensare il futuro ha basi narrative.

È però almeno altrettanto vero dire che una narrativa ha Sally. Una volta che una narrazione molto forte colonizza la mente di Sally, lei non sceglierà più le narrative future sulla base dei fatti, ma sarà la narrativa pre-esistente a selezionare quali sono i fatti che Sally accetterà come fatti che possono entrare a far parte della sua visione del mondo. Questo è vero per tutti noi e aiuta a spiegare perché opponiamo resistenza all’idea di cambiare le storie ideologiche, filosofiche, religiose che rendono la nostra vita coerente e sensata.

Sopra questo strato c’è poi un ecosistema mediatico dominato dagli algoritmi che è totalmente disegnato per assecondarci fornendoci storie che confermano tutti i nostri bias preesistenti, rendendoci così sempre più ostili alle persone che vivono dentro storie differenti. La situazione non è senza speranza e personalmente non mi arrendo, però il mio è un libro sulle storie, non un libro di storie, non c’è quindi nessuna garanzia che finisca con un «e vissero per sempre felici e contenti».

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