Il 6 gennaio 2021 una folla di manifestanti fa irruzione a Capitol Hill a Washington. Durante l’assalto muoiono cinque persone, i video degli scontri faranno il giro del mondo, l’immagine di Jack Angeli, “lo sciamano” a torso nudo con corna e pelli di bisonte, diventerà il meme simbolo di un evento non solo grave ma anche apparentemente inspiegabile, di certo inaspettato nelle forme e nei modi. 

Nato da un rally pro-Trump in cui i militanti contestavano la legittimità dell’elezione di Joe Biden, l’assalto ha lasciato dietro di sé molte domande senza risposta, la prima delle quali è: cosa speravano di ottenere con quella grottesca pantomima di un colpo di stato?

Culto sotterraneo

Niente sembra avere senso negli avvenimenti di quel giorno, almeno utilizzando le categorie classiche dell’analisi politica. Molti dei militanti riuniti non erano poi semplici supporter di Trump ma anche convinti adepti del movimento QAnon, una sorta di culto sotterraneo nato dai misteriosi post online di Q, un presupposto membro dell’amministrazione Trump in possesso di una “security cleareance” che gli avrebbe permesso l’accesso ai segreti di stato e una vicinanza assoluta al presidente.

Fra le credenze scaturite dai post di Q, la più nota è quella secondo la quale esisterebbe una segreta congrega di personalità liberal – come ad esempio Hillary Clinton – la cui passione segreta sarebbe mangiare feti umani, il più delle volte nello scantinato di un Pizza Hut di Washington D.C. Tutto questo ovviamente non aggiunge né senso né intelligibilità alla vicenda.

Per nostra fortuna fra gli assalitori del Campidoglio c’era anche, con una telecamera in mano, Cullen Hoback, un documentarista che stava seguendo il movimento QAnon ormai da tre anni, cercando di scoprine le origini e i segreti del successo all’interno dell’estrema destra, non solo americana. Il mattino del 6 gennaio Hoback è a un punto così avanzato del suo lavoro da essere uno dei pochi al mondo ad avvicinarsi al Campidoglio con in mente i peggiori presagi. Mesi dopo, ospite da Joe Rogan, confesserà che la notte prima non aveva dormito e che tutto sommato le cose sarebbero potute andare persino peggio.

Il lavoro svolto da Hoback è certosino, a tratti maniacale; per anni ha portato la sua telecamera in giro per il mondo fra Stati Uniti, Filippine, Giappone, Italia e Sud Africa, realizzando in maniera indipendente un documentario che è stato poi acquistato da HBO nella fase finale della sua lavorazione.

Trasmesso con il nome di Q: Into the storm è, molto semplicemente, il miglior documentario del 2021. Nelle sei puntate della serie Hoback scava a fondo senza pregiudizi ideologici, senza snobismi e s’infila fino in fondo nel culto QAnon: convince i suoi protagonisti a raccontare sé stessi, la propria vita, i propri affari, lascia che sia la banalità del male a parlarci da sola in maniera forte e chiara, non ci subissa di giudizi ridondanti e di facili ironie: porta la sua telecamera e il suo il microfono nei luoghi giusti, conquista la fiducia dei personaggi e lascia che sia il loro stesso narcisismo a portarli a scoprirsi. Quando questo puntualmente accade, è preciso e inesorabile nel mettere assieme i pezzi, nello svelare il mistero, nel ricomporre i pezzi del puzzle.

Teoria del complotto

Per certi versi QAnon è una teoria del complotto come molte altre: offre una spiegazione coerente per l’esistenza di tutto il male nel mondo (è il frutto dell’azione malvagia della congrega liberal), utilizza slogan legati alla cultura pop del suo tempo (l’atto di abbracciare la dottrina di Q è detto anche «prendere la pillola rossa» espressione tratta dal film Matrix) e altri che ritornano ossessivamente come «Where we go one/we go all», frase che allude sin dalle origini del movimento al fatto che prima o poi esso sia destinato a sfociare in una rivoluzione.

Sempre come fanno tutte le teorie del complotto, QAnon invita poi a dubitare di ogni cosa tranne naturalmente che di sé stessa. Hoback racconta da vicino una famiglia americana a prima vista normalissima: ex elettori di Obama oggi però convinti che Q sia davvero un insider nell’amministrazione Trump e, più rilevante, che tutto quello che dice sia affidabile e provato.

Hoback ci mostra questa famiglia della porta accanto composta di onesti lavoratori della lower middle class americana mentre a colpi di Twitter e di video su YouTube si infilano dalla testa ai piedi dentro un nuovo concetto di giustizia e si preparano all’avvento inevitabile della rivoluzione, sicuri di aver avuto accesso privilegiato a una verità ultima, superiore, preziosa. Di godere insomma del privilegio non trascurabile della rivelazione. Fanno tutto questo in uno stato di normalità molto più inquietante rispetto a tante stereotipizzazioni satiriche viste sui media.

Ogni vero QAnon vive comunque in una bolla circoscritta dal suo bias di conferma. Come sempre accade con le teorie del complotto, più gli assunti sono distanti dalle opinioni comuni, più i rapporti interni al gruppo si rinforzano mentre quelli con l’esterno tendono a dissolversi. Non esiste più un terreno comune su cui dialogare e il costo psicologico e sociale che gli adepti dovrebbero pagare per tornare sui propri passi diventa con il passare del tempo sempre più alto. Oltretutto la teoria del complotto spiega il mondo fino nella sua più piccola manifestazione: offre cioè al fedele la consolazione della mappa dettagliata, non lo lascia esposto alle fatiche dell’incertezza e del mistero.

Profezia e anonimato

Il culto di QAnon contiene però anche molti elementi peculiari. Ad esempio, uno straordinario volano per la sua diffusione si è rivelato il fatto che Q parlasse sotto forma di oracolo, mai attraverso un discorso di senso compiuto. Nei post autografi di Q abbondano le domande, alternate a osservazioni criptiche, a massime e a slogan che ritornano in maniera ossessiva.

Non mancano le profezie, anche se il più delle volte non viene specificato quale sia esattamente il loro oggetto: ad esempio Q può fornire un risultato (es. 64 vs 53) ma non specificare di cosa si tratti. Se settimane o mesi dopo un fatto reale incrocerà per caso una di queste profezie, quell’oracolo verrà ripescato a dimostrazione dell’attendibilità di tutte le affermazioni precedenti mentre le profezie finite nel nulla verranno invece rapidamente dimenticate.

I post di Q seguono poi un andamento temporale irregolare, ad esempio può succedere che appaiano dieci post in un giorno, seguiti da nulla per due settimane, lasciando così in trepida attesa i forum. Già, i forum. Antica forma di dibattito online che oggi appare del tutto soppiantata nell’uso di massa dei social network, in realtà continuano a esistere come una specie di sottomondo infero grazie a un singolo vantaggio che alcuni siti sono ancora in grado di offrire: la libertà di espressione assoluta frutto dell’anonimato.

Il nome QAnon deriva proprio dal fatto che gli utenti su questo genere di forum sono detti “anon” ovvero anonimi. QAnon è quindi “l’anonimo Q”.

I primi post di Q appaiono sul forum 4 Chan, dopodiché emigra su 8 Chan. Quando Hoback si sposta dalla fenomenologia sociale all’indagine vera e propria sull’avvento di Q, lo fa partendo proprio dai proprietari di 8 Chan e a quel punto sotto i suoi occhi si apre un mondo che ha dell’incredibile.

La genesi in Fred Brennan

Il fondatore di 8 Chan è Fred Brennan, un giovane uomo affetto da osteogenesi imperfetta, una malattia rara causata da una mutazione in un gene che fa in modo che le ossa non formino collagene e le rende fragili come vetro. Questa malattia gli ha bloccato lo sviluppo alle dimensioni corporali di un bambino di pochi anni, lo costringe da sempre sulla sedia a rotelle – che condivide con un volpino di pomerania – e lo obbliga a essere assistito 24 ore al giorno.

Da sempre in contrasto con i genitori che sapevano che questa malattia genetica sarebbe stata una possibilità concreta per un loro figlio, Fred è cresciuto sin da giovanissimo in simbiosi con il computer dato che non c’era molto altro che potesse fare. Quando scopre 4 Chan e i suoi thread non censurati gli si apre un mondo: nel leggere i post che inneggiano alla morte degli “storpi” gli sembra di aver scoperto per la prima volta cosa pensano davvero le persone di lui.

La possibilità di vedere i pensieri segreti degli altri esseri umani, espressi solo grazie all’anonimato, gli sembra una specie di miracolo, pensa che fino a quel momento tutti gli abbiano mentito dicendo che era bello essere diversi e sviluppa una sorta di attrazione irresistibile nei confronti di quelle forme estreme di libertà di espressione.

La sua carriera da admin di forum inizia su Widzard Chan, un forum per Incel, dei maschi vergini che temono di rimanere tali per sempre e per questo motivo odiano le donne. Tuttavia Brennan incontra una prostituta che ha due feticismi: uno nei confronti degli uomini vergini e uno verso i disabili. Finisce così per fare sesso per la prima volta, il che lo costringe ad abbandonare l’incarico di amministratore.

La fase successiva della sua carriera online è l’idea di fondare un nuovo forum che incroci l’anonimato di 4 Chan con la possibilità di creare dei board come accade su Reddit. Brennan scrive il codice della nuova creatura mentre esce da un viaggio da funghi allucinogeni: il risultato si chiama 8 Chan e finisce per avere un grande successo.

Il passaggio ai Watkins

Successo di utenti non significa però necessariamente monetizzazione perché nessun inserzionista vuole neppure avvicinarsi a quello che succede dentro 8 Chan, in compenso però i server costano e Brennan è comunque costretto a moderare il forum togliendo almeno quei post che sono illegali anche secondo l’ampio diritto alla libertà di espressione garantito dalla costituzione americana.

Finisce così per vendere il sito a Jim Watkins e a suo figlio Ron. Jim Watkins è un ex militare americano che gestisce alcune attività imprenditoriali tra le Filippine e il Giappone, dove vive il figlio. I Watkins possiedono alcuni siti giapponesi legati a una pop star locale e molto remunerativi, alcuni forum, un ristorante in un centro commerciale a Manila e, poco lontano dalla città, un allevamento di maiali. Mantengono 8 Chan online nonostante sia un’attività in perdita economica per interesse, sostengono, nel valore americano della libertà di espressione.

Dopo l’acquisizione Brennan si trasferisce nelle Filippine dove lavora come dipendente dei Watkins e viene assistito da personale messo a sua disposizione sempre da loro.

Le prime interviste che Hoback registra con i Watkins e con Brennan per dare un quadro di massima del forum dove appaiono i post di Q diventano l’inaspettato inizio di una lunga frequentazione.

Qualcosa evidentemente non torna nel gruppo di Manila: dall’allevamento di maiali a quelle tre figure, ognuna anomala a modo suo. Ron ha un carattere molto particolare, al contrario del padre ha lineamenti asiatici (la madre è sudcoreana) e, sempre al contrario di Jim, sembra più introverso anche se in realtà ha una personalità estraneamente narcisistica che si esprime però quasi integralmente dietro lo schermo del computer.

Grande appassionato di anime e di sex dolls, frequentatore di saloni di massaggi con il sapone, ha dei video porno in proiezione perfino sullo schermo dell’infotainment dell’auto. Come il padre colleziona penne e orologi di lusso: curiosamente Q firma i suoi post proprio con una Montblanc da 1.500 euro che sostiene essere una penna di Trump stesso. Più importante di tutto, Ron, con il nickname di CodeMonkey, è l’amministratore di 8 Chan quindi l’unica persona al mondo che può vedere i dati privati dietro ai post di Q.

Identità diverse

A gennaio 2018 diversi anonon lo accusano di aver autenticato un account chiaramente falso come fosse il Q originale. Analisi stilometriche confermano che il Q che scrive da quel momento in poi è effettivamente una persona diversa. Mentre Hoback insegue il complicato affastellarsi di indizi sulla vera identità di Q, Trump, in difficoltà nella lotta per la rielezione, incomincia cinicamente a inserire nei suoi discorsi e nella sua gestualità dei riferimenti sempre più espliciti a Q, il che non fa ovviamente che aumentare la diffusione della teoria del complotto.

In realtà non è escludibile che il primissimo Q fosse effettivamente una persona della cerchia più movimentista e radicale del presidente, qualcuno come l’istrionico Roger Stone o, più probabilmente, Steve O’Bannon. Dopo le elezioni perse da Trump, l’account Twitter di Codemonkey diventa inaspettatamente uno dei preferiti dal presidente uscente, in particolar modo vengono ripresi i tweet riguardanti le presunte frodi elettorali.

Il giovane nerd di Sapporo con il porno sull’infotainment dell’auto è diventato di colpo una delle voci più ascoltate dal presidente degli Stati Uniti. Ma c’è di più, l’investigazione di Hoback è lunga e complicata ma il risultato finale è chiaro: dal momento in cui lo stile di scrittura cambia, Q è Codemonkey o al massimo qualcuno del suo staff.

Camere di risonanza

Molto probabilmente con l’intento di portare più traffico sul suo forum, Ron Watkins ha preso possesso dell’account di Q e ha continuato a pubblicare in forma “socratica” i quesiti e gli oracoli che Q aveva postato fino a quel momento, anche se con uno stile diverso. Trovare i contenuti non deve essere stato difficile per lui: l’admin di un forum come 8 Chan ha accesso a tutte le ricerche degli utenti e non deve far altro che riproporle sotto forma di oracolo. In pratica ha dato alle persone esattamente quello che esse volevano. È stato fatto quello che viene fatto ogni giorno con i dati in tutto il mondo e in tutti i contesti, ma questa volta utilizzando i dati oscuri, indicibili, rappresentazioni della psiche nera di centinaia di migliaia di persone.

L’accusa ai propri avversari politici di mangiare i bambini è in fondo storicamente ricorrente, fa parte da sempre degli archetipi dello scontro fra gruppi umani. Per quanto assurda e improbabile possa sembrare, questa accusa ritorna costantemente in momenti diversissimi della storia, in genere mossa contro minoranze che non si possono difendere o contro i nemici esterni di uno stato, di un regno o di un impero. È una camera buia dell’inconscio in cui prima o poi qualcuno finisce sempre per entrare.

Il mostro Qananon da un certo momento in poi – che corrisponde a quello in cui la sua diffusione aumenta – diventa semplicemente una camera di risonanza digitale. Tramite questo meccanismo due uomini proprietari di alcuni piccoli business nel sudest asiatico sono riusciti indirettamente a generare un attacco al Campidoglio e uno di loro – Ron – a essere ascoltato dal presidente in carica. 

Colpisce in questa vicenda la sproporzione fra la piccolezza assoluta dei protagonisti, armati solo di una hybris enorme e male occultata, e i danni creati. Ci sono riusciti grazie al potere amplificante di internet e dei dati. Prima su 8 Chan poi nel rabbit hole di YouTube e Twitter, gli utenti vengono assorbiti dentro flussi di informazioni che non fanno che radicalizzare la loro visione del mondo, estraniandoli dal segnale non coerente. Q ha generato piuttosto in fretta un’ampia platea di esegeti dei suoi post, molti dei quali hanno abbandonato le loro professioni e sono diventati QTuber a tempo pieno, realizzando quotidianamente video YouTube dedicati all’interpretazione dei significati nascosti nei post di Q.

Il fatto che la piattaforma abbia un algoritmo che premia i produttori di contenuti più assidui e costanti, ha finito per generare un effetto amplificazione delle teorie di Q: uno stuolo di suoi apostoli ha visto la concreta possibilità di monetizzare la propria passione.

Uno dei grandi meriti del documentario di Hoback è quello di mostrare questo meccanismo nel dettaglio e nella sua universalità, che non riguarda soltanto gli adepti di QAnon, come vorremmo sottintendere quando ridiamo di loro e delle loro balzane teorie. Le cose stanno molto peggio di così: gli algoritmi delle echo chamber sottostanno a tutto il mondo dell’informazione contemporanea così come a quelli della pubblicità e del consumo. La nostra vita è scandita ogni giorno e a ogni livello dallo stesso meccanismo: tutto cospira a farci vedere solo il nostro ombelico.

Algoritmi e sistemi cognitivi

La polarizzazione politica a cui assistiamo, la crescente incapacità a destra quanto a sinistra di affrontare i temi nel merito, preferendo invece un approccio emotivo, morale, partigiano e semplicistico, sono precisamente i frutti avvelenati della rappresentazione del mondo tramite il sistema di incentivi pensato da algoritmi che puntano scientificamente al nostro cervello atavico. Assistiamo a un dirottamento tecnologico dei nostri più antichi istinti, siano essi quelli dell’odio, del primato del gruppo o quelli della moralità e dell’indignazione.

In Italia abbiamo visto il meccanismo in atto a destra con la Bestia di Morisi e a sinistra con l’instagrammizzazione della politica in occasione del dibattito a proposito di un disegno di legge censorio come il Ddl Zan. I Watkins e Brennan, a loro modo degli ultra nerd, possono anche essere visti come un modello di uomo del futuro, privi di empatia, narcisisti e manipolatori, conoscono i segreti intimi delle persone tramite i dati e – privi di idee che non siano quelle di autoaffermazione – li usano per dare alle persone quello che le persone vogliono, per quanto questo volere sia oscuro e sbagliato. Hanno successo proprio perché ripetono all’infinito sempre e soltanto quello che una determinata fazione vuole sentirsi dire.

Hoback è stato molto chiaro sul fatto che la censura non sia per lui la soluzione. Il problema, nella storia che racconta, sono invece proprio le echo chamber costruite per massimizzare il tempo speso online dalle persone in modo da somministrargli più pubblicità e meglio targettizzata. È questo meccanismo per certi versi piccolo e residuale ma in grado di hackerare i sistemi cognitivi di miliardi di persone, ad avere messo in uno stato di crisi radicale la democrazia occidentale.

La dimostrazione che censurare non serva ma serva piuttosto un lavoro serio, approfondito e rigoroso di scavo e interpretazione è contenuto proprio in Q: Into the storm, una serie documentaria che rifiutando ogni automatismo narrativo in favore del rigore ci mostra uno strato fondamentale della nostra realtà, uno strato solitamente nascosto ai nostri occhi e, così facendo, disattiva le narrazioni deliranti mostrandole per quello che sono nel mondo e nel tempo storico.

Come tutte le invenzioni umane anche la libertà di espressione non è un istituto perfetto, né privo di costi, è però estremamente antifragile perché se è vero che concede l’esistenza – in genere residuale – di aberrazioni assolute, è vero anche che permette a forme migliori di verità di emergere nel dibattito e di sconfessarle, mantenendo così un equilibrio dinamico non ottenibile attraverso altre strategie di gestione del discorso pubblico dato che ogni cristallizzazione di potere degenera prima o poi verso una forma autoritaria. È un meccanismo raffinatissimo che si svolge ai limiti esatti delle capacità umane: il potere e la genialità della libertà di espressione stanno proprio in questa capacità di disvelamento dell’impostura. Di ogni tipo.

Non è facile, non è perfetto, ma è il meglio di cui disponiamo.

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