Tre birre medie a testa e lui che dice, mentre posiamo insieme per una foto, «non fare la boomer».

L’afa milanese può fare brutti scherzi, di certo il pomeriggio è passato in fretta. Incontro Pietro Morandi, in arte Tredici Pietro, 25 anni, rapper italiano di ultima generazione in un bar sui Navigli vicino casa sua. Dovevamo parlare del suo singolo Guardami le spalle, soprattutto della parte in cui dice «non so accontentarmi, è da quando sono ragazzino che faccio le sei al mattino e domani chissà se vivo, ma non posso fermarmi». Alla fine abbiamo ragionato di quello e molto altro, di farmaci di cui abusano i ventenni, notifiche sui cellulari da cui può dipendere l’umore di una giornata, persino di relazioni lunghe come la sua con una coetanea.

È ironico Pietro, ma non ride mai. Ha imparato a non far trapelare le emozioni dalle espressioni del volto, lo tradiscono solo gli occhi. Più che parlare sussurra, sceglie le parole con attenzione e non perde mai il filo, neppure quando io lo porto su altre strade. È bravo ad argomentare e cerca sempre il confronto. Passa perfino in secondo piano il fatto che sia il quarto figlio di Gianni Morandi (dopo Serena, Marianna e Marco) avuto con l’ultima moglie Anna Dan. È cresciuto a Bologna, a scuola aveva sei in condotta, ha scelto di chiamarsi Tredici Pietro in onore del suo gruppo di amici, tredici appunto, che considera una famiglia. Credo che ai genitori abbia fatto passare ben più di qualche notte insonne.

Quando hai scelto di far diventare la musica il tuo mestiere?

L’ho sempre voluto fin da piccolo, era scritto. Il momento più importante è quando ho trovato il coraggio di farlo. È stato il mio coming out.

A scuola com’eri?

Ho fatto il classico, come studente ero distratto, assente, mi piaceva la storia ma ero irrequieto e avevo sei in condotta. Oggi un po’ rimpiango di non essermi impegnato di più.

Eppure i testi dei tuoi pezzi li scrivi tu.

In italiano avevo sei, i prof dicevano che la mia scrittura era troppo cruda ma io lo prendevo come un complimento.

C’è qualche professore che ricordi?

Quelli di filosofia e italiano, che intravedevano un barlume di speranza in me.

C’è qualche libro che ti ha ispirato?

Ebano dello scrittore polacco Ryszard Kapuscinski che racconta la sua esperienza di reporter in Africa. E lo fa rifuggendo luoghi comuni e stereotipi. L’ho letto senza mai fermarmi. Me l’ha dato mia madre pensando che potesse piacermi e aveva ragione. Mi è piaciuto anche il best seller La vita davanti a sé, storia di un legame non di sangue tra due persone. Ma ai libri preferisco i podcast. È un mio limite.

Perché lo dici?

Perché per leggere ci vuole concentrazione e io dopo un po’ la perdo.

Stai tanto sul cellulare?

Se sono in studio a registrare posso stare anche alcune ore senza guardarlo. Ma devo fare qualcosa che mi interessa di più. Durante la quarantena mi sono allontanato da quella possibile dipendenza.

Sembri molto consapevole di tutto.

La forma di consapevolezza massima è mettere in discussione qualsiasi scelta che faccio. Voglio avere un mio percorso. È una necessità, una forma di riscatto, il mio modo di dire ci sono anch’io, io sono io.

Ho letto che tieni molto alla tua identità professionale, che vuoi mantenere indipendente da un padre così amato da tutti, ma forse ingombrante per te.

La mia identità a me è chiara. Il discorso era venuto fuori parlando del Festival di Sanremo, a cui non parteciperei senza avere un repertorio alle spalle. Non voglio snaturare il mio percorso.

Quindi ci pensi?

Certo, e una gara e quando sarà il momento giusto parteciperò. Inizio ad avere le carte in regola, non vorrei macchiarle.

Qual è l’aspetto di te di cui vai più orgoglioso?

Non dare mai per scontate le cose. La voglia di allontanarmi da un percorso predefinito, sfidare, farmi delle domande. Da quando sono piccolo forse penso troppo, ma va bene così.

E c’è un lato che ti rallenta?

Ci sto lavorando con lo psicologo. Ho una tendenza leggermente bipolare. Esistono input che possono farmi variare l’umore da zero a cento.

Riguarda i telefoni cellulari?

È una tendenza che fa parte della mia generazione, accentuata dalle notifiche più che dai telefoni. Il telefono ha un potenziale enorme ma va saputo usare. Le notifiche sono il male, creano irregolarità. Se le ricevi ti senti in un modo, se non le ricevi ti senti uno sfigato.

Quando hai deciso di fare un percorso dallo psicologo?

Dovevo gestire la rabbia che avevo dentro. Per andare dallo psicologo ci vuole coraggio, ma poi si sta meglio.

Eppure sembri imperturbabile.

Combatto dentro di me.

Quindi fuori sei in un modo e lì dentro c’è un magma?

Sì, ed esce solo con chi è più intimo.

Fai più male a chi vuoi più bene.

Sì. Se non c’è qualcosa che ti lega, non c’è lo strappo. Faccio più male a chi voglio più bene, ma non me lo posso più permettere. Nessuno se lo può permettere.

Pausa.

Dopo una birra e mezza sono già ubriaco.

Che cosa bevi di solito?

A Bologna l’Amaro Montenegro con ghiaccio. Ma la mia generazione non beve troppo, allo stesso tempo siamo rovinati dall’industria della farmacia, il più grande diavolo che abbiamo nel pianeta. È devastante per noi. Abbiamo un farmaco per ogni problema, siamo tutti dipendenti. Gli interessi sono troppo grandi per fermare questo scempio.

Parliamo di sigarette e droghe.

Io sono old school, fumo le sigarette vere non le Iqos. E le droghe non le uso.

Farò finta di crederci.

Non si parla di droghe nelle interviste, poi voi giornalisti fate il titolo solo su quello. Io credo che il problema sia un altro, le sostanze farmaceutiche. Vengono indotte in maniera legale, e creano dipendenza più che la droga. Esistono dei business planner che lavorano sulla nostra pelle, sembra quasi un complotto.

Sei ipocondriaco?

No. Ma ho paura della morte.

Come la combatti?

Con la musica e gli amici.

Che musica ascolti quando sei da solo?

Rhove mi piace. Ma sono fan anche degli emergenti. E ascolto la mia musica.

C’è un rapper americano che stimi?

Yg, l’erede di Snoop Dogg. Nei suoi testi parla di farmaci, ansiolitici e di come si possano perdere gli amici che non riescono a uscirne. I rapper americani ne parlano, noi ancora no.

Federico Earth

Sei innamorato?

Fidanzato da cinque anni.

Tempi lunghi per averne 25.

La mia generazione è cresciuta dando per scontato il divorzio. Una volta era un tabù, uno scandalo separarsi. Oggi non lo è più. Stare insieme a lungo è una scelta di rottura, al limite del punk.

Buffo che ne parli tu che vieni da una famiglia solida.

Ma mia madre si è messa con mio padre a 40 anni. E mio padre era un artista che si sarà divertito e goduto i suoi privilegi da artista prima di mettersi con mia madre a 50 anni.

Che rapporto hai con lui?

Se il padre è tanto più adulto (Gianni Morandi ha 77 anni, ndr), i punti di contatto vengono a mancare. E il distacco è inevitabile.

Però alla partenza del Jova Beach a Lignano eri con lui.

Solo perché Jovanotti mi ha invitato a suonare. Non sarei andato se non mi avesse chiamato lui. Io voglio essere io.

Questo l’ho capito. Ma al Festival di Sanremo, quest’anno, tuo padre era in gara: tu eri distaccato o tifavi per lui?

Tifavo per lui ovviamente, per la mia squadra. E sono stato contento per il suo terzo posto.

Chi altro ti piaceva?

Blanco e Mahmood, ed Rkomi. E poi tifavo per Tananai. Il suo pezzo è stato scritto da mio nipote, Paolo Antonacci, il figlio di Biagio e di mia sorella Marianna.

Che cortocircuito.

Lui ha 27 anni, è un cantautore davvero forte. Ed è quello con cui ho più da dirmi, mi comprende, è il più vero.

Quali sono le canzoni che hai sentito per ultime su Spotify?

(Prende il telefono e scorre le canzoni). Futura di Lucio Dalla, la storia di un incontro. Lost souls di Baby Keem, cugino di Kendrik Lamar. C’è anche Yellow di Aka Seven, pezzo r’n’b di un mio coetaneo.

Madame, Pinguini Tattici e Marracash: con chi ti piacerebbe collaborare?

Marracash è tra gli artisti da cui ho imparato, ma sfigurerei con lui. Con Madame ho già collaborato e lo rifarei, ha una sensibilità artistica che combacia con la mia.

C’è un rimprovero che ti ha ferito?

C’è ma non mi viene in mente.

Un consiglio che dai a tutti?

Investite sul capitale umano, sulle persone. Qualsiasi impiego ha bisogno di collaboratori. Investite in loro. Anche se siete una partita Iva come me e i più penalizzati dalle tasse.

Chi ti ha insegnato a stare in studio?

Andry The Hitmaker con cui due anni fa ho fatto un intero disco. Mi ha istruito senza istruirmi.

E qual è l’insegnamento che più segui, anche fuori dallo studio?

Uscire dalla zona di confort è la chiave per tutto.

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