Le grandi mire del ministro Sangiuliano sembrano essere due: creare un’egemonia culturale di destra, che scalzi quella di sinistra ancora troppo vigorosa, e inventare “un nuovo immaginario italiano”. Benché sostenuti da richiami a Gramsci e ad altri numi tutelari non proprio di destra, i due obiettivi sono in verità terribilmente vaghi e realizzarli si sta mostrando un vasto programma.

Quanto al primo, era già delineato nel programma elettorale di Fratelli d’Italia (paragrafo 13), dove si mischiavano senza troppo scrupolo chiesa e stato, scuole e piazze: «Creazione di un nuovo immaginario italiano anche promuovendo, in particolare nelle scuole, la storia dei grandi d’Italia e le rievocazioni storiche. Valorizzazione del Giubileo 2025 e di Roma capitale della cristianità. Contrasto a cancel culture e iconoclastia che minacciano i simboli della nostra identità».

Per il secondo obiettivo fu organizzato a Roma nell’aprile scorso un convegno dal titolo impegnativo: «Pensare l’immaginario italiano/Stati generali della cultura nazionale», a cui parteciparono, oltre che il ministro, i migliori uomini (pochissime donne) della destra culturale. Grandi idee non ne vennero fuori, né gli stati furono propriamente “generali”. Servirono più che altro per contarsi, rilevando che tra i convenuti c’erano molti giovani speranzosi o di forti ambizioni, tante mezze figure, ubiqui presenzialisti, e finanche il famoso Osho.

Distruggere il vecchio

In realtà, una descrizione di quel che occorre per creare una nuova egemonia liquidando quella vecchia il ministro l’avrebbe trovata nel Libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera, il grande scrittore cèco scomparso qualche giorno fa (pagina 171 dell’edizione Bompiani): «Per liquidare i popoli (tradotto: per creare un “nuovo immaginario”), si comincia col provarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive altri libri, li fornisce di una nuova cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato».

Seguendo queste massime, qualche giorno fa il ministero della Cultura ha annunciato la chiusura del sito dell’Archivio di stato contenente tutta la documentazione su Roma dall’Unità in poi. Ma a parte le chiusure? È qui che il proposito di creare un’egemonia mostra la corda: non basta mettere da parte (anche senza distruggerli) i libri e chiudere gli archivi; ci vogliono forti figure che scrivano i nuovi libri e inventino la nuova cultura. Ma queste figure non ci sono! Non avendo le nuove figure, Giorgia Meloni, Sangiuliano e ogni tanto il suo collega Valditara (Istruzione e merito) sono costretti a frugare tra le vecchie, annettendosi questa e quella anche a costo di tirarle per i capelli. Chi si espone di più, con autentico sprezzo del pericolo, è il ministro della cultura. È famosa l’uscita con cui in gennaio proclamò che «il fondatore del pensiero di destra in Italia è stato Dante Alighieri». Qualche tempo dopo tentò un’annessione di Manzoni («uno degli scrittori dell’identità nazionale insieme a Leopardi e Foscolo»).

In giugno ha inaugurato agli Uffizi una mostra sulle riviste fiorentine del primo Novecento: Leonardo di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, Lacerba di Papini e Ardengo Soffici, la Voce di Prezzolini (di cui il ministro è anche biografo ecc.), autori per lo più interventisti e di destra. Presente alla cerimonia, Ignazio La Russa, non si è risparmiato una dichiarazione che gli eventi successivi hanno mostrato incauta: queste riviste, ha detto, «sono tutte opera di ragazzi. Oggi, a quell’età i nostri figli qualche volta sono ancora “mammoni”, loro già facevano riviste e cambiavano il mondo».

Sangiuliano in persona, poi, sulla sua pagina Facebook, oltre che pubblicizzare la propria azione, suggerisce (pensate) «un libro al giorno». La lista dei volumi è istruttiva: ci si trovano la biografia di Prezzolini scritta da lui stesso (il ministro è biografo anche di Putin, Xi Jinping e di tanti altri e altre), le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo, Il fu Mattia Pascal di Pirandello e finanche Il vero conservatore, un libercolo del vecchio reazionario statunitense Barry Goldwater, truce manifesto di trumpismo ante litteram…

Mentre continua la ricerca di figure di rilievo che gli scrivano i nuovi libri, gli staff della maggioranza preferiscono andare sul pratico. Per esempio, mettendo loro uomini e donne in posizioni chiave della gestione culturale. Hanno sostituito in tronco la dirigenza Rai, allontanato varie figure (come il soprintendente del teatro dell’Opera di Roma), cambiato senza troppa pertinenza il presidente del MAXXI, rivisto la lista dei direttori degli istituti di cultura all’estero e così via. Intanto, siccome il Mondo Tre (come Popper chiamava la sfera della cultura e dei simboli) è abitato da persone fragili, non poca gente dello spettacolo e dei media comincia a proclamare ammirazione verso di loro.

Qualcuno calca la mano: l’altro giorno a Lucca una bionda direttrice d’orchestra (ma lei vuol essere chiamata “direttore”), dichiaratamente di destra, incurante delle pesanti contestazioni che ha ricevuto in Italia e fuori da parte organizzazioni antifasciste di diverso timbro, ha sparato come fuori programma l’Inno al sole di Puccini. Sebbene scritto nel 1918, tutti ricordano che il brano fu adottato da Mussolini ed è stato per anni la colonna sonora delle manifestazioni del Msi.

Esordi complicati

Non si può dire che gli esordi pubblici dei nuovi dirigenti culturali siano stati sfolgoranti. Inciampi e gaffes si sono prodotti numerosi. L’Italia intera ha seguito attonita l’evento inaugurale del MAXXI di Roma organizzato il 3 luglio dal nuovo presidente: non un dialogo tra – mettiamo – Jeff Koons e Maurizio Cattelan, ma un cicaleccio tra il cantante Morgan e un ubiquo critico d’arte del cui nome non voglio ricordarmi, degenerato dopo due battute in sconcezze machiste da bordello di guerra. Anche il debutto del ministro come giurato del premio Strega non è stato trionfale: incalzato da una conduttrice ben più callida di lui, si è fatto scappare che, sì, ha votato per uno dei titoli in gara, ma non ne ha letto nessuno.

Mentre sul proscenio accadono cose come queste, meno visibile la dirigenza Rai introduce nel nuovo contratto di servizio nuove tematiche, adatte più alla Corea del Nord che a un paese evoluto. Le prossime produzioni, infatti, privilegeranno lo sport e la «diffusione di un modello nutrizionale sano quale la dieta mediterranea», punteranno ad «accrescere la cultura dell’imprenditorialità, lo spirito d’iniziativa e di scoperta, narrando storie di giovani imprenditori, innovatori, ricercatori». Inoltre, diffonderanno «consapevolezza della ricchezza legata alla genitorialità e alla natalità» attraverso «produzioni audiovisive ad hoc». Diffonderanno poi, anche in inglese, contenuti «che offrano la rappresentazione delle eccellenze culturali, sociali e valoriali italiane», oltre a «valorizzare la diffusione della lingua italiana nel mondo attraverso il meglio della produzione Rai». Infine, le reti dovranno insistere sui «valori e l’attrattività dell’Italia, il genio e il gusto italici».

Destre diverse

Come si concretizza l’esaltazione del genio e del gusto italico? Per esempio, producendo il film Comandante sulle imprese di Salvatore Todaro, audace capitano di sommergibile nella Seconda guerra mondiale: poco importa se in seguitò aderì alla famigerata X Mas. Qualche anno fa, nello stesso spirito, uno degli intellettuali di punta della destra aveva proposto un film su Italo Balbo, «che diventò un mito in America e nel mondo dopo le sue temerarie trasvolate dell’Atlantico», anche se – racconta la storia – si rese responsabile di un gran numero di imprese squadristiche violente.

Attendiamo con ansia le nuove esternazioni del ministro e le indicazioni dei gruppi dirigenti della destra culturale.

Finora hanno fatto come l’Uccello Goofus (ne parla Borges nel Libro degli esseri immaginari), che volava all’indietro. Se guardassero avanti, si accorgerebbero di un dato fondamentale della modernità occidentale, e in particolare italiana: non c’è alcun bisogno di spostare il mondo a destra.

La ragione è semplice: tra consumismo infrenabile, sfrontate disuguaglianze, sprezzo per la cultura e lo studio, mito del corpo e crollo della compassione, la cultura diffusa è già a destra, e da tempo. Ma non è la destra di Meloni e Sangiuliano.

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