Il 25 luglio 1943 finiva la dittatura fascista in Italia. La notte tra il 24 e il 25 il Gran Consiglio del fascismo sfiduciava Mussolini e successivamente, nel pomeriggio di quel 25 luglio, il re Vittorio Emanuele III esautorava il Duce sostituendolo con il maresciallo Badoglio. Dopo il colloquio con il monarca, Mussolini venne arrestato dalle forze dell’ordine.

La parabola di Mussolini non si concluse definitivamente con questa giornata, in quanto la popolazione, purtroppo, subì il colpo di coda della repubblica di Salò, che pesò tantissimo sulla guerra ma  soprattutto sugli italiani, che pagarono in modo assai duro l’occupazione nazifascista.

I vari fattori

La situazione politico-militare in quell’estate del 1943 era diventata insostenibile per Mussolini. I fattori che portarono al cambiamento della leadership politica possono catalogarsi come “esterni”, ovvero le sconfitte dell’Asse, e “interni”, i complotti delle élite del paese, identificabili in militari, filo monarchici, fascisti, gruppi economici, e non ultimi anche gli antifascisti, che lavorarono per un cambio di passo. L’Insieme  questi fattori determinarono il crollo del regime.

Le trame di palazzo furono numerose, tutte si mossero in ordine sparso, ma tutte per quelle che si attivarono più concretamente, per finalizzarsi dovevano avere il benestare del re, unica autorità che in qualche modo poteva surrogare il duce.

È oggi difficile districarsi e capire la realtà dei fatti e delle intenzioni in questo torbido sottobosco di tradimenti, interessi incrociati e vendette, quello che è sicuro è la grande atmosfera di caos e improvvisazione che regnò in quei momenti. Il re attese per decidere definitivamente cosa fare il 19 luglio, data  dell’incontro tra Mussolini e il Führer tedesco.

La giornata andò nel peggiore dei modi perché di quel giorno non si racconta solo del mutismo del duce di fronte a Hitler, e quindi delle mancate richieste italiane alla Germania, ma anche dell’inatteso bombardamento di Roma, che fece toccare con mano, a Mussolini e ai cittadini romani, l’estrema vicinanza (e durezza) della guerra.

La gente voleva la pace e in quell’occasione la richiese in maniera molto esplicita al sovrano.  Alla fine il re optò per strumentalizzare a proprio favore la presa di posizione dei gerarchi fascisti contro il proprio duce. Il regnante aveva molti dubbi su tutte le “congiure” poste in essere poiché ognuna presentava non piccole controindicazioni.

Tra tutte, Vittorio Emanuele III fini per assecondare quella di Grandi ebbe vari meriti: di avere una giustificazione costituzionale (il voto del Gran Consiglio), di non farlo apparire come direttamente implicato nell’operazione. Ma probabilmente la più significativa per lui fu quella di poter rappresentare al temuto alleato tedesco quanto stava accadendo come una mera questione di politica interna al movimento fascista, che non cambiava nulla in merito all’alleanza e alla guerra. Badoglio nel sul proclama non esitò a ricordare: «La guerra continua».

L’interpretazione dei fatti 

Non va però dimenticato un passaggio importantissimo di quel 25 luglio. Molti si sono interrogati su cosa fosse effettivamente accaduto: si trattava forse di un colpo di stato? O di una legittima destituzione?

È lo storico Emilio Gentile a darci un’altra chiave di lettura, definendola una sorta di “eutanasia del duce”, in quanto Mussolini aveva le armi, politiche e non, per contrastare la mozione Grandi. Di fatto tacque, non sostenne le persone che ancora lo appoggiavano e lo volevano al potere, invece accettò quello che stava accadendo: fu lui a mettere ai voti l’odg Grandi ben conscio di quali fossero le conseguenze, ovvero la fine del suo governo. Lo stesso Mussolini non credeva più in sé stesso.

Incubo o festa

La caduta del fascismo fu vissuta in maniere differenti, per alcuni sarà un nightmare, per come ha definito le conseguenze di quel giorno beppe Fenoglio nel Partigiano Johnny, per altri sarà invece una gran festa, una liberazione dal fascismo e dalla guerra.

In tutt’Italia si susseguirono manifestazioni di gioia, ci furono caroselli e esibizioni improvvisate, che festeggiavano la caduta del regime e parallelamente auspicavano la fine della conflitto; il re e Badoglio erano esaltati. In molti casi ci si rivolse contro gli emblemi e i luoghi del fascismo, colpirli e sfregiarli era una sorta di vendetta per tutti i soprusi, le botte e l’olio di ricino patiti duranti il ventennio mussoliniano. 

Il giovanissimo Luigi Pestalozza, poi partigiano, ricorda una Bergamo dove «sembrava che tutta la città fosse in strada, le case vuote. Mi colpì l’atmosfera di spontaneità, di liberazione generale, di sorrisi, di fratellanza. Vidi un testone del Duce, in marmo, che rotolava spinto a braccia e a calci da un gruppo di uomini allegri e molte bandiere tricolori, qualcuna rossa. Erano le prime bandiere rosse che vedevo… Tutto intorno un gran frastuono, di voci sgolate, di canti sconosciuti, finalmente all’aria aperta».

Di particolare significato sono le reazioni degli antifascisti, di coloro che avevano assaggiato l’asprezza del regime fascista, che avevano vissuto “l’università delle galere”. Fu il loro riscatto, l’attestazione che avevano ragione. Norberto Bobbio scrisse «Avevano ragione coloro che per vent’anni avevano avuto torto ed erano stati disprezzati dai vincitori. Dileggiati dagli opportunisti, commiserati dai vili». Questa loro riscossa gli conferì autorevolezza e prestigio agli occhi dei tanti, specialmente dei più giovani, che videro in questi “vecchi” antifascisti figure di serietà e coerenza che faceva sì che questi ultimi avessero un grande ascendente su di loro.

Come scrissero in molti, i 45 giorni tra il 25 luglio e l’8 settembre furono una “vacanza”, un momento animato dalla grande speranza di ritrovare la pace perduta ben prima dell’entrata nella seconda guerra mondiale.

Questa sensazione di vivere un momento misto tra euforia e attesa fu data sia da quello che fece il governo Badoglio già il 27 luglio, sciogliendo il partito fascista e il tribunale speciale e incorporando nell’esercito la milizia volontaria, sia dal successivo confronto con l’8 settembre, che nelle menti di tutti coloro che hanno vissuto quelle settimane frenetiche creerà uno spartiacque, un prima e un dopo.

Anche se la voce di un testimone dell’epoca ammoniva che «la mancata coincidenza fra l’abbattimento di Mussolini e l’armistizio creava la sensazione che, se non era finita la guerra, non era davvero finito il fascismo». 

L’illusione della speranza

Gli eventi derivanti dalla caduta del fascismo non migliorarono la situazione: l’Italia era allo sbando, il paese viveva una condizione drammatica, gli italiani era stanchi, confusi e affamati. La rabbia si stava accumulando tra la popolazione che si barcamenava tra la povertà crescente e i lutti che pesavano sulle famiglie. Il partito che aveva retto le sorti del paese per oltre vent’anni non reagì a quello che stava accedendo, segno della distanza del corpo fascista da Mussolini stesso.

Con il senno di poi si può affermare che il 25 luglio fu un’enorme illusione di speranza dettata dall’irrefrenabile voglia di concludere velocemente (e con meno danni possibile) l’esperienza della guerra e del fascismo. Purtroppo queste speranze andranno tutte deluse, la tragica realtà sarà invece durissima, l’Italia si risveglierà nei 19 mesi più tragici e drammatici della propria storia contemporanea, quelli dell’occupazione tedesca e della Repubblica di Salò.

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