Sono passati pochi decenni da quel secondo Novecento in cui, attraverso molteplici mobilitazioni e consistenti dispiegamenti di forze, si domandava a gran voce un radicale smantellamento dell’impianto testo-centrico, che aveva caratterizzato, fino a quel momento, il panorama teatrale europeo. Eppure, già oggi, l’articolazione dei codici drammaturgici torna a essere uno dei punti cardine dello sviluppo dell’esperienza teatrale: un nodo su cui, nel futuro prossimo e di medio periodo, si giocherà con ogni probabilità parte dei destini della scena del vecchio continente.

Nuova scrittura

Lungi dall’essere uno iato puramente simbolico tra la cosiddetta “età d’oro del teatro” (per rifarsi a un’espressione cara a Fernando Taviani) e i nostri giorni, quello del nuovo millennio è stato un crinale ricco di trasformazioni, lungo il quale, forme e contenuti della grammatica teatrale hanno conosciuto riforme tuttora in atto.

Alla crisi di una certa idea di regia, al ripensamento della figura e del ruolo dell’attore e alla messa in discussione di un determinato modello postdrammatico – quello affermatosi su larga scala alla fine del secolo scorso e consacrato da Hans-Thies Lehmann in Postdramatisches Theater (1999) – è seguito, nell’ultimo ventennio, un rinnovato interesse per la drammaturgia e le sue frastagliate declinazioni.

Nel caso specifico del Piccolo Teatro di Milano, un esempio significativo della volontà di perlustrare (e sostenere) le nuove “espressioni” della scrittura per la scena, è stata la realizzazione del progetto Abbecedario per il mondo nuovo (2021): per 26 drammaturghi under 35 (individuati tra finalisti, segnalati e vincitori del Premio Hystrio – Scritture di scena e del Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”), le lettere dell’alfabeto sono diventate l’innesco per concentrarsi, ognuno, su una parola “talismano”. Una parola, cioè, che potesse assumere un valore “fondativo” e simbolico per il tempo futuro, e intorno alla quale costruire un testo. L’esplorazione di ipotetici mondi di domani, osservati con la lente del presente, ha preso così la forma di un lemmario che, a riprova della varietà degli esiti delle sperimentazioni drammaturgiche, ha conosciuto un duplice destino: è stato prima trasformato in podcast per poi essere raccolto in una pubblicazione edita da il Saggiatore.

Il dramma al centro

È curioso osservare come, in maniera del tutto incidentale, il ritrovato appetito per la narrazione drammatica dell’universo teatrale – il raccontare (e ascoltare) storie a metà strada tra verità e finzione, cronaca e mythos – si sia diffuso, complice l’incertezza e il vorticoso susseguirsi degli stravolgimenti degli ultimi anni, presso un ben più ampio segmento di popolazione. A riprova del fatto che ogni narrazione, piccola o grande che sia, rappresenti quel titanico sforzo di mettere ordine al mondo, organizzare l’esistente, dare forma e un senso alla nostra quotidianità: farsi, in una parola, mappa. E aiutarci così, grazie alla sua capacità di disegnare mete, ricercare origini, allineare fatti, impressioni ed emozioni, a decrittare la complessità del reale, orientarlo.

D’altra parte, questa ritrovata centralità delle pratiche drammaturgiche non ha il carattere di un sordo ritorno al passato, volto a restaurare remote convenzioni, in una sorta di ricerca dell’innocenza perduta del racconto a teatro: si pone semmai in maniera critica e problematica rispetto alle categorie diegetiche canoniche, mettendo in discussione – e talvolta sovvertendo radicalmente – le strutture del dramma classico. Lo stesso “postdrammatico” di Lehmann, chiamato in causa poc’anzi, si definisce attraverso un procedimento analogo: ramificandosi a partire dall’influenza dei fenomeni di epicizzazione del dramma moderno, che sono una chiara manifestazione di un approccio (e di un tentativo di superamento) critico alla tradizione.

Contaminazione

Una delle principali strategie utilizzate criticamente dalle nuove tendenze della drammaturgia contemporanea chiama in causa la contaminazione tra generi: un’ibridazione che si realizza tanto con gli altri linguaggi dello spettacolo dal vivo quanto con i codici extra-teatrali. Volgendo nuovamente lo sguardo al Piccolo Teatro, ci vengono in soccorso le recenti creazioni di due giovani talenti: Carne blu di Federica Rosellini e Carbonio di Pier Lorenzo Pisano. La prima, opera policroma e metamorfica, non solo è incardinata dalla sua autrice intorno a un perpetuo dialogo con la musica, la letteratura e le arti visive, ma è concepita ab origine attraverso uno spaesante riflesso di specchi, in un groviglio di possibilità e di figure che mette in gioco le questioni dell’identità e del doppio. Carbonio, invece, è una fiaba teatrale fantascientifica che, nell’interrogarsi sui misteri del cosmo, sulle aspirazioni e sui limiti dell’umano, si serve (anche) della presenza dell’autore stesso: attore non professionista, impegnato in scena a fare da contrappunto, voce extradiegetica alla vicenda narrata.

Nella fitta rete di intrecci, una menzione tutta particolare merita infine il rapporto teatro-letteratura, un universo composito che – come ha mostrato, ancora una volta, Taviani – non si esaurisce nella mera dialettica spettacolo-testo drammatico ma si alimenta di una pluralità di tracce, secondo una reciprocità di influssi che va dal “teatro-in-forma-di-libro” alla possibilità di considerare i copioni come “maschere nude”. Questo insieme eterogeneo di commistioni compone, secondo lo studioso, lo «spazio letterario del teatro», un «luogo turbolento d’oggetti mutanti, che comprende (…) le visioni, ma anche la letteratura degli attori, le loro memorie e autobiografie, la trattatistica, tutto quello che a partire dal teatro diventa racconto cronaca memoria». Il confronto con la letteratura diventa così uno degli strumenti, a mo’ di grimaldello, per innovare gli assetti della grammatica drammaturgica smontandone i meccanismi classici. Un po’ quel che avviene, sulla scia della lezione brechtiana, con la messa in crisi della nozione di personaggio, che si scopre a raccontarsi in terza persona, o con la sconfessione dell’ortodossia delle unità di tempo e spazio a favore di una coesistenza di più piani e dimensioni nella narrazione.

Incontrare la letteratura

La stessa storia del Piccolo Teatro è percorsa da numerose occasioni di incontro con la sfera letteraria (e non è un caso se, lo scorso anno, ha preso vita una collana dedicata proprio alla nuova drammaturgia, realizzata in collaborazione con il Saggiatore): nel quadro del centenario della nascita di Italo Calvino, ad esempio, la nuova stagione prevede la trasposizione scenica del Barone rampante, mentre, se si guarda al passato, è sufficiente ricordare, ai due estremi, il grande tentativo (rimasto incompiuto) di Giorgio Strehler di approntare un adattamento prima televisivo e in seguito teatrale dei Mémoires goldoniani, e le differenti incursioni di Luca Ronconi nelle lande del romanzo (Quel che sapeva Maisie, Diario privato, Pornografia,…), della sceneggiatura cinematografica (Lolita), della saggistica (Infinities), degli epistolari (Il silenzio dei comunisti), fino all’ultima creazione, la Lehman Trilogy, variazione post-epica, in bilico tra teatro e letteratura dal testo di Stefano Massini. Sconfinando poi nell’attuale contesto internazionale, e limitandosi a fulminei cenni, l’interesse per questa peculiare forma di ibridazione a teatro è testimoniata da lavori quali Les Particules élémentaires di Julien Gosselin, JR di FC Bergman, The Master and Margarita di Simon McBurney, Nouveau Roman di Christophe Honoré, The Black Monk di Kirill Serebrennikov – che ha inaugurato l’ultima edizione del Festival di Avignone.

Se, dunque, le evoluzioni dell’idea e delle pratiche di drammaturgia costituiscono uno degli snodi nevralgici dei paradigmi scenici odierni, tutto ciò comporta, per le istituzioni teatrali la sfida ad aprirsi a uno spettro di operatività molto ricco. Una sfida che il Piccolo, nel solco della sua lunga storia, intende affrontare compiutamente, per continuare a inventare il teatro di domani.

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