Il volume African Fabbers Atlas di Paolo Cascone e il suo Codesignlab si concentra sul recupero dei saperi pre-coloniali valorizzando la cultura artigianale e informale della società africana, basata sulla storica mancanza delle industrie tradizionali, il tutto mediante le tecnologie digitali e l’autocostruzione
Il volume African Fabbers Atlas, Manual of synthetic vernacular architecture appena edito dalla casa editrice catalana ACTAR si basa su circa 15 anni di ricerca applicata in Africa portata avanti dall’architetto e docente universitario Paolo Cascone e il suo Codensignlab.
L’autore, laureato a Napoli e specializzatosi presso l’Architectural Association di Londra fonda Codensignlab a Parigi e attualmente insegna all’University of Westmisnter dove dirige un Master in architecture and environemental design.
Durante il suo periodo di insegnamento all Ecole Speciale d Architecture di Parigi Cascone fonda con un gruppo di suoi studenti africani ed europei il progetto African Fabbers, una piattaforma itinerante e indipendente, di ricerca e insegnamento per l’ architettura eco-sostenibile con progetti realizzati tra Marocco, Mali, Burkina Faso, Senegal e Camerun.
Tale piattaforma nasce da una visione critica sul ruolo sociale dell’architetto, dei processi progettuali e produttivi convenzionali legati al mondo delle costruzioni venendo meno alle necessita delle comunità locali.
Piu recentemente, in Camerun, sviluppa in collaborazione con il COE il progetto Douala Cultural Hub, un centro per la diffusione e la sperimentazione di ecologie urbane, auto-costruzione e fabbricazione digitale che coinvolge studenti e artigiani provenienti da varie regioni africane. Sorto grazie al supporto dall’ A allo Sviluppo AICS - Agenzia Italiana per la Cooperazione oltre che una serie di partner locali il progetto ha generato una serie di laboratori che tengono insieme materiali locali e fabbricazione digitale per l’architettura, il design la moda e l’arte contemporanea ponendo le basi di una sorta di Bauhaus tropicale.
African Fabbers Atlas oltre che a declinare in modo paradigmatico alcuni progetti realizzati, attraverso una serie di saggi critici diventa opportunità di scambio e dialogo sul ruolo cruciale che la cultura spontanea e vernacolare africana hanno nel dibattito globale sulla sostenibilità dell'architettura.
l’Africa sperimentale
Con una popolazione tra le più giovani del mondo, forti processi di urbanizzazione in corso (187 milioni di persone che si trasferiranno nelle città nei prossimi dieci anni) e un’economia che avanza a passi da gigante verso le nuove tecnologie, l’Africa si conferma un laboratorio per apprendere e sperimentare nuovi approcci ecologici per l’architettura e il design.
Il libro propone un un approccio evolutivo legato alla riscoperta del vernacolare aperto negli anni Sessanta grazie al contributo di numerosi autori: da Bernard Rudofsky, con il suo Architecture Without Architects del 1964, passando per Aldo Van Eyck, e il suo interesse per la cultura “primitiva”, l’antropologia e l’etno-linguistica, fino a Giancarlo De Carlo che sviluppò, soprattutto dagli anni Settanta, il grande tema della partecipazione.
In quel periodo, anche l’architetto e matematico di origini viennesi Christopher Alexander diede un fondamentale apporto per individuare una via non autoriale al progetto, attraverso una prassi progettuale che si basava su tecniche euristiche (solving probem) e metodi computazionali.
Attraverso lo studio dei patterns era così possibile leggere le architetture e i paesaggi, nonchè suggerire un processo in grado di riprodurre il loro carattere, quella che Alexander definisce the quality without the name. La via non-autoriale tracciata coincideva proprio con le capacità generative della progettazione mediante patterns, che rendono le persone in grado di costruire le loro architetture senza architetti.
i saperi pre-coloniali
Alexander riecheggia in molte parti di African Fabbers Atlas che si concentra sul recupero dei saperi pre-coloniali valorizzando la cultura artigianale e informale della società africana, basata sulla storica mancanza delle industrie tradizionali, il tutto mediante le tecnologie digitali e l’autocostruzione.
Allo stesso tempo questo lavoro rappresenta un punto di contatto importante con il pensiero di alcuni intellettuali africani contemporanei come Achille Mbembe che propone un radicale ripensamento del sistema educativo passando dalla nozione superata di university a quella di “pluriveristy” , un modello piu inclusivo e meno “west-centric”. Molti di questi concetti vengono ben esplicitati nel libro “Afrotopia” dell’ economista e filosofo senegalese Felwin Sarr che appunto spiega bene come l’Africa possa essere capace di produrre modelli di sviluppo diversi da quelli dominanti. Molti di questi temi sembrano essere stati anticipati da un interessante dibattito/confronto, che Pasolini organizzò nel 1970 sui temi post-coloniali con alcuni studenti africani dell'Università “La Sapienza” di Roma per il documentario Appunti per un'Orestiade africana.
Questo per dire che il libro al dila delle sperimentazioni architettoniche e tecnologiche rappresenta un esperineza importante, un piccolo tassello di un lungo percorso culturale di confronto e avvicinamento tra mondi molto diversi tra loro
Il libro African Fabbers Atlas, che raccoglie anni di riflessioni e di laboratori che Codensignlab ha condotto in Africa, si apre con un’introduzione teorica, rafforzata nella parte centrale da una serie di dialoghi con autori internazionali, e si chiude con i progetti di Codensignlab.
In una intervista, Ron Eglash, professore di ethnomathematica dell’Università del Michigan racconta la genesi del suo volume African fractals: Modern computing and indigenous design (1999) nonchè della sua piattaforma Generative Justice Framework che investiga un nuovo approccio per mettere scienza e innovazione al servizio delle popolazioni svantaggiate.
Complessivamente, emergono numerosi spunti, tra cui la relazione tra clima e tettonica, i metodi per riciclare materiali e costruzioni, i processi per generare architetture performative in termini sociali ed ambientali, le esperienze di progettazione delle nuove generazioni di architetti africani, i modelli educativi da applicare alla progettazione, il digital manufacturing basato sui processi di stampa tridimensionale, l’AI e l’open source come volano per l’empowerment delle popolazioni locali.
gli spazi pubblici
Alla base del progetto del cultural Hub di Douala ci sono i lavori pubblicati di Codensignlab nell’ultima parte del libro, piccole e preziose infrastrutture realizzate per gli spazi pubblici, come il centro culturale di Mali progettato con Fabrizio Carola, passando per i playground di Burkina Faso. Cupole, coperture modulari in legno e terracotta, bambù e fotovoltaico garantiscono comfort termico ed energia solare.
Hight tech, ma anche il low tech, recuperano e “ravvivano” processi produttivi locali, tradizioni in una linea che si rifà programmaticamente ai principii di ecological urbanism di Mohsen Mostafavi, per cui anche i problemi ambientali possono rappresentare delle occasioni per sperimentare innovazioni concettuali per il design. Sono descritte le esperienze degli open air lab che danno alle persone accesso creativo alle macchine a controllo numerico, di modo che tali tecnologie possano essere utilizzate dai non architetti per sviluppare progetti e costruire i manufatti anche mediante lo studio di patterns ricorrenti nella tradizione artigianale o nel paesaggio. Centrale è l’auto-costruzione e il learning by doing declinati da queste esperienze che provano ad indicare nuovi approcci pedagogici, in un paese in cui mancano scuole di architettura.
Il libro indica soluzioni possibili contro i processi di omologazione che investono l’architettura e le città contemporanee, mostrando interessanti pratiche di coinvolgimento fattuale delle persone nella progettazione e produzione dei propri spazi a partire dal contesto, dai saperi e dalle pratiche delle comunità locali. Quando l’occidente sembra ritornare a ribadire la sua posizione egemonica, l’esercizio è andare a lezione dall’Africa per studiare, valorizzare ed evolvere il know-how tradizionale anche mediante le tecnologie digitali.
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