In un tempo in cui le guerre – civili, economiche, politiche – sembrano avere il sopravvento e il sentimento dominante è l’impotenza, qual è il ruolo del teatro? È ancora vivo il suo senso collettivo, politico e democratico? Marco Martinelli, tra i registi più significativi del teatro italiano, sette volte Premio Ubu, fondatore del Teatro delle Albe insieme a Ermanna Montanari, non ha dubbi: «Se il teatro non è insieme, un atto politico e una poesia dell’anima, un urlo e una preghiera, non è nulla. Se si limita a un intrattenimento di seconda mano nel sistema dei grandi media può anche crepare, nessuno ne sentirà la mancanza».

Parole che suonano come un manifesto, e che trovano corpo nel nuovo allestimento di Lisistrata, la prima commedia contro la guerra di un Aristofane appena maggiorenne, autore con cui Martinelli si confronta da 30 anni e che definisce il suo «antenato totem».

La commedia, andata in scena per la prima volta nel 411 a.C. in un’Atene logorata dalla guerra con Sparta, rivive il 4 ottobre sul palco del Teatro Olimpico di Vicenza per il 78° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza, con un gruppo di attori non professionisti adolescenti dell’area vesuviana e vicentina.

È il nuovo approdo del progetto quadriennale Sogno di volare, iniziato nel 2022, del Parco Archeologico di Pompei con Ravenna Festival, che vede Martinelli lavorare su quattro commedie di Aristofane con oltre trecento adolescenti dell’area vesuviana, dove è ancora sentito il rischio di dispersione scolastica, disoccupazione ed emigrazione giovanile.

Il regista, al secondo anno di direzione del Ciclo dei Classici insieme a Ermanna Montanari, torna ad interrogarsi sul ruolo del teatro e dei classici nella contemporaneità, proponendo un lavoro che è insieme ricerca, sperimentazione, innovazione e riscrittura.

Marco Martinelli è direttore del Ciclo dei Classici del Teatro Olimpico di Vicenza insieme a Ermanno Montanari (foto di Marco Caselli Nirmal)

In che modo i ragazzi hanno reagito alla proposta di confrontarsi con i testi classici?

Le commedie di Aristofane trattano questioni che gli studenti sentono immediatamente proprie. Gli adolescenti sono molto più seri, fantasiosi e intelligenti di come vengono normalmente dipinti sui media. Il problema siamo noi adulti, il nostro cinismo, l’incapacità di ascoltarli. Devi dargli il cuore! Se gli dai il cuore, loro te lo restituiscono con gli interessi.

Quanto Sogno di volare è, oltre che un progetto artistico-culturale, un atto politico e sociale per un territorio come quello di Pompei?

È quello che ha fermamente voluto il direttore del parco Gabriel Zuchtriegel chiamandomi a Pompei. Ha intuito che per coinvolgere i giovani dell’area vesuviana il teatro vero, dionisiaco, non il saggetto scolastico di fine anno, poteva essere un medium eccellente. E i numeri gli stanno dando ragione, se si considera che ogni anno partecipano circa 200 adolescenti da Pompei, Castellammare di Stabia, Torre del Greco, Torre Annunziata.

Quali sono le similitudini fra la Grecia di Aristofane e il mondo in cui si trovano oggi i giovani?

La satira di Aristofane colpiva i demagoghi di allora e funziona ancora alla perfezione per i demagoghi di oggi, per la nostra democrazia in crisi, sempre più svuotata di senso. Perché? Perché la politica ha abdicato alla sua vocazione, e i politici si sono trasformati in pubblicitari, influencer privi di idee, all’inseguimento dell’ultimo sondaggio.

Sfiduciato dagli uomini, in Lisistrata Aristofane affida la causa della pace a una donna, che non solo si ribella al potere maschile, ma propone un’alleanza tra donne per costruire una nuova società fondata sulla pace. Per farlo basterà una semplice azione, lo sciopero del sesso fino a quando i mariti non deporranno le armi. Quali sono le rispondenze con il presente?

Niente di più attuale. La logica del potere maschile – è sotto gli occhi di tutti – sta portando alla catastrofe l’intera umanità. Il re non è nudo, ahinoi, è stupido e armato fino ai denti. Come l’aristofanesco Dante Alighieri, ci salveremo solo affidandoci alla sapienza di Beatrice.

Fra le pratiche che hanno segnato in questi anni il lavoro delle Albe c’è la non-scuola, che nasce nel 1991 come una serie di laboratori rivolti ai ragazzi delle scuole superiori di Ravenna in confronto con i testi della tradizione. Perché definisce la non-scuola come un’esperienza teatrale “asinina” e “antiaccademica”?

Perché non si “mette in scena” il testo antico, lo si “mette in vita”. Si crea un esplosivo corto circuito tra quegli asinelli pieni di “desideri infiniti” che sono gli adolescenti e la polverosa biblioteca dei classici. Quando gli asinelli li scalciano quei morti, i morti ringraziano, perché vengono tirati fuori, a calci, dalla tomba. Facciamo leva sulla turbolenza e la selvatichezza dei ragazzini, quelli che, diceva Elsa Morante, «salveranno il mondo».

Negli anni avete portato la non-scuola da Ravenna al mondo, da Scampia a Dakar, da Chicago a Nairobi. Cosa resta uguale e cosa cambia in ogni luogo?

Cambia tanto, perché le differenze tra chi frequenta un liceo bene di Milano e chi abita in un quartiere difficile di Napoli, o in uno slum di Nairobi, sono evidenti. Eppure mi colpisce di più quello che sta al fondo di ogni adolescente, e che è uguale per tutti, anche in questi tempi così minacciosi e incerti: un desiderio sfrenato di vita.


78° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza con la direzione artistica di Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Dal 25 settembre al 22 ottobre con Alot, Roberto Latini, Salvatore Sciarrino, Marco Martinelli, Claudia Castellucci, Igort, Anagoor, Masque Teatro e Vinicio Capossela

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