Ho letto con interesse l’artico sui Måneskin del 21 dicembre, e non riesco onestamente a frenarmi nel “rispondere”. Premetto che non sono un musicista, neanche un giornalista e men che meno produco musica.

Mi limito a un’enorme distinzione tra cosa mi piace e cosa non mi piace. Non voglio preconcetti, spazio in tutta la musica, vado senza vergogna da E lucevan le stelle fino ai Van Halen passando da Bowie, Elisa, 4 no blonds e dalla musica del delta. Non ascolto Sanremo ormai da oltre 30 anni, e neanche i talent perché non mi smuovono alcun sentimento; indifferenza assoluta.

I Måneskin li ho ascoltati per la prima volta dopo la loro vittoria all’Eurovision, e in tutta sincerità ho trovato un gruppo finalmente diverso dai precedenti, italiani e non. Una musicalità che non riesco a incasellare in niente di ciò che ho sentito in passato. Ecco perché non posso condividere le opinioni e soprattutto le conclusioni di Giurato.

Come ho detto, non ascolto Sanremo perché è un contenitore di musica “costruita” ad arte solo per quello scopo, le reputo note e parole al vento. Basti pensare che prima dei Måneskin, le sole canzoni che sono maledettamente emerse dal calderone Sanremo sono quelle che sono arrivate ultime, ovvero Donne di Zucchero e Vita spericolata di Vasco (che non mi piace, ma onore al merito).

Ma l’indifferenza con Sanremo è la sola cosa che mi accomuna con l’artico di Giurato; null’altro. A partire dalle origini del rock. L’unica musica “rituale e religiosa” erano i gospel e gli spirituals, cantati nelle chiese per neri che crescevano nelle immediate vicinanze delle piantagioni americane. Il gospel si è trasformato in blues, la musica malinconica delle radici africane, perdendo la sua carica spirituale a favore di un sentimento più umano.

Nelle comunità nere dei braccianti, i cantori di gospel godevano di una certa popolarità per le loro doti canore, la capacità di scrivere testi e anche una certa manualità nel suonare strumenti musicali. Parallelamente, un’altra scintilla di evoluzione musicale è stata la disillusione, ovvero l’evidenza che l’Africa era lontana e il loro stato di schiavi non gli avrebbe permesso di ritornare in patria. Immagino che questi cantori si siano detti «beh, questa è la nostra vita, tanto vale godersela»: avevano alcol, musica, donne e uno spirito decisamente libertino (naturalmente in contrasto con le regole estremamente rigide in fatto sessuale).

Quella scintilla ha dato origine al Jazz. Ovvero la musica dei balli di coppia, da fare vicini, tanto vicini da arrivare all’orgasmo, da cui l’origine del nome, che è una storpiatura dello slang “jizz”. Il patto con il diavolo è nato nel periodo blues/jazz, come testimonia la storia di Robert Johnson, il leggendario chitarrista blues.

Il rock è venuto dopo, e anche ammettendo che sia sceso a patti con l’Inferno, beh, credo che l’abbia fatto solo con qualche tirapiede di Belzebù, perché il capo era ancora impegnato a godersi il suo di patto, di gran lunga migliore rispetto ai vari Page, Hendrix, Van Halen, Keith, Young, Cobain… chiaramente senza voler mancare di rispetto a nessuno. I Måneskin sono parte di questo circo. Dei musicisti che, forse, poco hanno da invidiare o insegnare, ma che comunque portano un soffio di novità nella musica italiana. I primi che dopo tanti anni portano alto il nome italico nel mondo della musica.

Secondo Giurato sono mediocri? Bene. Prendiamo atto, ma restiamo liberi di dire chissenefrega perché 1 vale 1, ovvero il mio parere ha lo stesso peso di Giurato anche se io non mi etichetto come critico musicale e non ho accesso alla divulgazione giornalistica.

Invision

Il Rock non sta morendo a causa dei Måneskin, ma per colpa dell’elettronica che ha permesso il bottle-neck non più infilandosi un tubo nell’anulare, ma semplicemente pestando un pedale; ha permesso di inserire continui tasselli storpiati, distorsioni, all’interno di un brano per renderlo nuovo, diverso dal precedente, più orecchiabile, più bastardo, più duro. Il tutto amplificato da una riproduzione del suono pulita, prodotta in una sala sterile per far emergere lo sporco.

Oggi l’elettronica permette praticamente tutto: campionamenti, mix, cicli, picking, che permettono a chiunque di fare musica. L’elettronica è paragonabile solo agli elefanti di Annibale che hanno aperto i confini romani ai barbari... Ebbene, il suono prodotto dai Måneskin, forse distante dalle meraviglie che permette l’elettronica oggi, è un segno distintivo, una volontà di tornare al passato, alla musica di strada, alla musica vera.

Lomax, avrebbe registrato il concerto dei Måneskin live a Roma centro (disponibile su Youtube) perché, per quanto semplice, risulta vero. Trasuda della volontà di quattro ragazzi di farsi ascoltare, nudi davanti alla critica di un passante, con la custodia della chitarra aperta per raccogliere magari qualche monetina.

Giurato canta le gesta di Lomax, ma nel farlo credo che commetta un’imprecisione e faccia un errore di sintesi. L’imprecisione è che Lomax era anglosassone e quella lingua si presta molto più di quelle latine alla musicalità; chiaro quindi che non avrebbe potuto usare il registrato per fare business. Quel registrato non serviva quindi per fare soldi e certamente neanche da lasciare ai posteri. Era solo emozione.

E l’emozione è l’errore che fa Giurato nel suo articolo (oh, sia chiaro, sempre a parer mio…). Perché la musica è passione, è emozione. E in quanto tale non si può domare, non si può imbrigliare o classificare. Per la musica non si può dire è bello oppure è brutto. Al massimo si può dire mi piace o non mi piace.

Elevarsi a dire che un musico “non è granché” è un atto arrogante fatto da chi si è autonominato Imperatore pensando di essere Napoleone a Notre-Dame, ma che poi si scopre Gasperino il carbonaro, appisolato all’uscio della sua bottega. La musica è ribelle, «passa senza fermarsi attraverso le frontiere», come cantava Fossati; figuriamoci se si fa etichettare dai giornalisti.

Io dall’alto della mia stessa coerenza mi limito a dire che i Måneskin mi piacciono. E sempre in nome della mia coerenza, affermo senza ombra di dubbio o smentite che l’articolo di Giurato da voi pubblicato non mi piace.

Spiego anche il perché, e questo sì, è criticabile. Ebbene, nell’articolo ci leggo un esercizio di un’estetica in 3x2 da supermercato, con pochi contenuti, e scritto per calcolo contro un gruppo che sta salendo in popolarità; un’applicazione di una legge di marketing che sfrutta la critica ai noti per balzare alle luci della ribalta.

So quindi che questa critica potrebbe fare il gioco che credo stia dietro all'articolo, ma sono della scuola di pensiero che sostiene che non ci si deve tacciare davanti alle ingiustizie gratuite, e che valga sempre la pena lottare per ciò che ci dà emozione. Sono e sarò sempre un servo di Dulcinea.

Giacomo Rossi

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