Michela Murgia è morta il 10 agosto 2023 per un cancro al rene. Era una delle scrittrici più influenti della letteratura italiana contemporanea, un’intellettuale sui generis: cattolica, femminista, comunista, con una personalità travolgente e molto presente in tutti gli ambiti della sfera pubblica. La sua morte, a cinquantun anni, rappresenta una perdita irreparabile nel contesto politico e ideologico dell’Italia attuale.

Autrice prolifica (cinque romanzi, una decina di saggi e numerosi articoli di stampa) e intellettuale impegnata, che ha combattuto con le unghie e con i denti contro il ritorno del fascismo e per i diritti delle donne e delle minoranze, Michela Murgia lascia in eredità un’importante e luminosa produzione scritta.

La sua critica alle istituzioni della famiglia e del matrimonio — una critica tutt’altro che semplice in Italia, soprattutto da quando la destra conservatrice è salita al potere con Giorgia Meloni, il cui motto «Dio, Patria e Famiglia» riafferma l’intoccabilità della famiglia tradizionale italiana (composta da padre, madre, uno o più figli e nonni) — rappresenta, a mio avviso, la pietra angolare di un pensiero fondato sulla sua stessa esistenza.

Così, donna eterosessuale senza figli biologici — ma con quattro figli d’anima (figli dell’anima) —, divorziata e in unione civile, Michela Murgia ha difeso con tenacia e convinzione un altro modello di famiglia, che non si basa più necessariamente ed esclusivamente su legami di sangue, ma anche su legami d’amore o d’affinità, sostituendo così il modello di famiglia cosiddetta «tradizionale», basato unicamente sul matrimonio tra un uomo e una donna, secondo il modello della Chiesa cattolica.

Ho scoperto Michela Murgia con il suo primo romanzo, Accabadora, ispirato alle tradizioni della Sardegna, sua terra d’origine. Il romanzo si svolge in un piccolo paese sardo, dove la vecchia sarta Tzia Bonaria accoglie in casa Maria, “consegnata” volontariamente da una vedova di umili origini. Offrirà alla sua “bambina dell’anima” lavoro e studio, una scelta coraggiosa per una donna nella Sardegna degli anni Cinquanta.

Maria cresce circondata da affetto e tenerezza, ma alcuni aspetti della vita di Tzia Bonaria la turbano, in particolare le misteriose assenze notturne. Non sa che la vecchia sarta è, per tutti i suoi concittadini, l’accabadora, “l’ultima madre”, la donna che “porta a compimento” e accompagna alla morte chi è alla fine della vita. Quando scoprirà questo segreto, la sua vita cambierà per sempre, e passeranno molti anni prima che la “figlia del cuore” riesca a perdonare la madre adottiva.

Con un linguaggio poetico ed essenziale, Michela Murgia descrive le pieghe più intime della relazione singolarissima che unisce la vecchia Tzia Bonaria e la giovane Maria, in una Sardegna senza tempo. Accabadora è stato tradotto in quindici lingue, ha vinto il Premio Campiello nel 2010 e ha consacrato Murgia non solo come scrittrice, ma anche come figura pubblica capace di generare dibattito, dicendo esattamente ciò che pensava nelle sue numerose apparizioni pubbliche.

Insieme al suo amico Roberto Saviano, Michela Murgia è sempre stata molto critica nei confronti dei governi italiani, della corruzione e, soprattutto, dell’apatia dei suoi concittadini, che ha descritto con grande lucidità nel saggio Istruzioni per diventare fascisti, un’analisi delle origini e del successo del populismo.

Tre ciotole è il suo ultimo libro, scritto quando già sapeva di essere malata e sentiva la morte vicina. Si tratta di racconti ambientati nella Roma di oggi, con personaggi riconoscibili le cui vite si incrociano come in certe antologie di Raymond Carver, di cui talvolta ricordano l’umanità e le contraddizioni. Storie intime, intense ed estremamente attuali (“Cartoni animati” è la mia preferita), che rivelano molto più di quanto appaia.

E nel tentativo di comprendere meglio quella sensazione di ricevere qualcosa che ancora non sapevo definire del tutto, mi è venuto in mente il discorso di David Foster Wallace Questa è l’acqua, perché sia nel libro di Murgia sia nel discorso di DFW c’è un’esortazione ad essere attenti, a pensare con coscienza critica, un invito a non lasciarsi intrappolare dagli automatismi, dai limiti delle nostre certezze. Questo libro è un invito a considerare la cultura come uno strumento per frenare il nostro egocentrismo naturale.

Qui, Michela Murgia, raccontando i diversi punti di vista dei suoi personaggi, le loro solitudini e unicità, ci spinge a riflettere sulla complessità delle relazioni, a sforzarci di comprendere le sfide e le lotte degli altri senza giudicare. In un certo senso, credo, ci offre l’opportunità di considerare le motivazioni e le risorse emotive altrui come una possibilità per spezzare i nostri schemi e pregiudizi, prima che sia troppo tardi…

Un’occasione per prestare attenzione e capire come scegliamo il significato da attribuire alle nostre esperienze. Le tre ciotole del titolo sono quelle che usa la protagonista di uno dei racconti per tornare a nutrirsi, quando credeva che fosse ormai impossibile farlo. Di fronte al cambiamento, ognuno di noi ha la possibilità di trovare nutrimento in nuovi riti, risorse di sopravvivenza che non pensavamo di possedere. Con questo ultimo atto d’amore, Michela Murgia ci costringe a chiederci, come individui e come comunità, cosa significhi davvero sopravvivere e come imparare, una volta per tutte, a essere, come lo era lei, assolutamente liberi.


Questo testo è l’introduzione che la regista spagnola Isabel Coixet, che ha appena girato le riprese del film Tre ciotole, ha scritto per l’edizione spagnola del libro di Michela Murgia Tres cuencos Rituales para un año de crisis, tradotto da Lidia Suárez Armaroli per Altamarea ediciones.

L’ho incontrata sul set mentre girava con Elio Germano al mercato di piazza San Cosimato a Trastevere e gentilmente ha regalato a Finzioni questo testo che ho tradotto. Il film Tre ciotole è una produzione italo-spagnola di Cattleya - parte di ITV Studios - Ruvido Produzioni, Bartlebyfilm, insieme a Buenapinta Media, Bteam Prods, Colosé Producciones, Perdición Films, Tres Cuencos, Vision Distribution, in collaborazione con Sky e con la partecipazione di MAX in Spagna.

Il film è tratto dall’omonimo libro Tre ciotole di Michela Murgia, edito in Italia da Mondadori con oltre 200 mila copie vendute. È diretto dall'acclamata regista spagnola Isabel Coixet (Un Amor, La mia vita senza me, La vita segreta delle parole, Maps of the sounds of Tokyo) e ha come protagonisti Alba Rohrwacher e Elio Germano. Nel cast anche Francesco Carril. Il film è scritto da Enrico Audenino e Isabel Coixet.

Racconta quello che sembrava un banale litigio, dopo il quale Marta e Antonio si lasciano. Marta reagisce alla rottura chiudendosi in sé stessa. L’unico sintomo che non può ignorare è la sua improvvisa mancanza di appetito. Antonio, chef in rampa di lancio, si butta sul lavoro.

Eppure, sebbene sia stato lui a lasciare Marta, non riesce a dimenticarla. Quando Marta scopre che la mancanza di appetito ha più a che fare con la propria salute che con il dolore della separazione, tutto cambia: il sapore del cibo, la musica, il desiderio, la certezza delle scelte fatte. Le riprese sono durate sette settimane e si sono svolte interamente a Roma.

La regista Isabel Coixet mi ha detto: «Tre ciotole è il mio paesaggio interiore, racconto di una donna alle prese con due eventi simultanei: è nel mezzo di una dolorosa separazione e davanti all'inevitabile. Ma non è una donna che implora o cerca compromessi; è una donna che si inchina, come si fa davanti al sole che tramonta, consapevole che sorgerà di nuovo, altrove, al di là del suo sguardo. Voglio raccontare il suo percorso nella Roma di oggi con delicatezza ed emozione, perché Marta ci mostra che perfino nell'addio può esserci grazia, e anche nel dolore c’è spazio per la gioia».

Riccardo Tozzi – fondatore e Presidente di Cattleya ha aggiunto: «Mi è capitato varie volte di incrociare Isabel Coixet e il suo lavoro. Quando ho letto il libro di Michela Murgia ho immediatamente pensato che sarebbe stata perfetta per dirigerlo. Sa raccontare l’amore nelle forme più diverse e con grande intensità. E questa mi pareva una storia d’amore e di senso della vita. Con Isabel c’è stata un’intesa perfetta, e lei ha avuto subito idee chiare, a partire dalla scelta di Alba Rohrwacher ed Elio Germano come protagonisti. Sono particolarmente emozionato di produrre questo film, che è molto in linea con il DNA di Cattleya ed è importante perché parla delle cose fondamentali della nostra esperienza».

Il 10 giugno per Einaudi è uscita la raccolta di racconti Anna della pioggia, a cura di Alessandro Giammei. Queste storie perdute e ritrovate sono una festa, un'ubriacatura. Il dono prezioso dell'autrice di Accabadora. «Di storie ne servono molte, moltissime, per non diventare schiavi di un solo punto di vista».

Michela Murgia ha scritto ogni giorno della sua vita senza mai smettere di chiedersi cosa è possibile cambiare, in sé e nel mondo, inventando storie. Raccontare, forse, era il suo modo preferito di pensare. Per questo i racconti raccolti in Anna della pioggia - scritti negli anni, magari letti una sera in una piazza e poi divenuti introvabili - sono pieni di luce, di vita e di idee. E restituiscono la voce mobile e folgorante di una delle più importanti scrittrici del nostro tempo.

Anna corre solo quando piove, e correndo ragiona di lavastoviglie, soprammobili, pupazzi: tutto, pur di non affrontare direttamente ciò da cui davvero fugge. Assieme a lei, lo straripante catalogo di personaggi che animano questa raccolta di racconti include pastori laureati e portieri notturni, corridori scalzi e bambini che recitano in sardo mentre gli alleati bombardano Cagliari, terroristi, bracconieri, finanzieri, pescatori di polpi e persino piante, capaci di mettere in crisi le certezze di uomini spavaldi.

Ci sono potenti voci di donne che prendono la parola per la prima volta: non solo Morgana, ma anche Elena di Troia, Beatrice Cenci che rifiuta l’autorità di un padre abusante e Odabella che sfida quella di Attila, re degli Unni. E ovviamente c’è Michela, che racconta di quando pestava l’uva nelle vendemmie della sua infanzia rurale, o di come le sue preghiere abbiano resuscitato una delle falene allevate insieme al fratello, o ancora del perché chiunque nasca su un’isola finisca per avere un’identità in frantumi. Queste storie, disseminate come gemme di un tesoro piratesco senza forziere, non sono mai state raccolte in un libro prima d’ora.

Perché Michela Murgia le ha lette ad alta voce in scuole e teatri occupati, le ha raccontate a chi andava ad ascoltarla nei festival, le ha pubblicate in diari scolastici, cataloghi di mostre, addirittura nel programma di sala di un’opera lirica. Altre sono comparse nel suo blog, sono state trasmesse in radio o sono uscite su giornali locali. Altre ancora hanno circolato solamente tra le amiche e gli amici di Michela Murgia, come privati incantesimi letterari. Anna della pioggia propone una scelta ragionata di questi racconti ritrovati, insieme ad alcuni più noti. La cura – in tutti i sensi che si possono dare al termine – è di Alessandro Giammei, che ha lavorato filologicamente sull’archivio digitale lasciatogli da Michela Murgia.

Il risultato è un libro nuovissimo, sorprendente, che ruota con una vitalità vertiginosa intorno ai temi cari da sempre all’autrice: la Sardegna dei miti e della politica coloniale, il potere delle donne, il lavoro, le identità queer, la malattia, i miracoli e le paure del nostro secolo. Perché Michela Murgia non ha mai smesso di essere tenacemente appassionata del mondo e dei modi che scegliamo per abitarlo, capirlo, contrastarlo e raccontarlo: lo testimonia anche la varietà di registri, toni e stili che si muovono carsici racconto dopo racconto. Consentendoci di riscoprire prima di tutto il prodigioso talento letterario dell’autrice di Accabadora.

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