Fra i tanti figli di Milano città di boutiques e circonvallazioni ce n’è uno che mi sta particolarmente a cuore, è Angelo un bambino scontroso e canterino, che sta dalle parti di Porta Genova. 

Per l’anagrafe ormai anziano, Angelo è una di quelle creature che nell’apparente inoppugnabile diversità fisica dai canoni ordinari, se abbracciate strette con le spire del cuore puro, ti disvelano un piccolo mondo fantastico e impavido che ha superato mari in tempesta, angherie, solitudini e assenza di strumenti di comunicazione verbali e sopratutto fisici per misurarsi con gli altri.   Sono vite maestre che molto insegnano in cambio di niente, le tante vite nell’ombra come quella di Angelo. 

È minuscola e invisibile nel correre del tempo la biografia di Angelo, poco più di quella di una drosofila, sceneggiata forse da Zavattini nel suo Miracolo a Milano, la stessa di molti altre creature umane diverse dal gregge rumoroso e pieno di sé che ci circonda, nel rifulgere dell’ipocrisia e del denaro. Una storia di vita declinata con una tenerezza e una tale forza di vivere davanti a cui io che ve la racconto, in modo maldestro e approssimativo, non posso far altro se non inchinarmi e mormorare una formula che per quanto abusata e orbata del suo valore sacro  è l’unica possibile: Angelo grazie di esistere.

Un bambino che canta

Nasce Angelo primogenito di una giovane coppia di siciliani emigrati a Milano, il primo anno del sessanta; l’orgoglio per un figlio maschio subito si stempera  perché il neonato è minuscolo, pesa appena due chili, non cresce, colpito da bordate di affezioni intestinali lotta per restare vivo, finirà per parlare all’età di sette anni. 

Gli succederà  una sorellina destinata come molti altri fratelli a garantire nel cuore  straziato della mamma un futuro per quel figlio bisognoso di cure. All’epoca nessuno diagnostica la sindrome del piccolo Angelo che significherà diventare adulto con un peso massimo di 35 kg, totale assenza di massa muscolare e una fragilità gastrointestinale perpetua.

A quei tempi la mamma per vergogna e ignoranza lo tiene relegato nella portineria dello stabile dove impera, con Angelo cresce sua sorella Franca di due anni più giovane e che  inconsapevole Arianna si tirerà dietro il fratellino nel mondo dei vivi attraverso le canzoni. Il bambino non parla ma canta sempre.

Franca va a scuola, Angelo invece ogni tanto viene mandato nell’istituto, in genere sono brefotrofi, luoghi in cui negli anni Sessanta si parcheggiano disabili di ogni tipo, senza distinzione alcuna, senza rete. Cosa accade quando Angelo soggiorna negli istituti non è dato sapere, lui non ha mai raccontato nulla, però ha acquisito certe specialità: all’istituto ha imparato una sola bestemmia e una solinga parolaccia di cui si avvale solo a ragion veduta, non eccede mai. All’istituto ha imparato ad avere terrore del mare, dei cani e dei loro padroni. Come sente abbaiare un cane Angelo si inquieta, i cani devono stare alla larga da lui e se per strada è proprio costretto a incrociarli allora con gesto ieratico benedice nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo il malcapitato cinegeta. Un giorno lontano all’istituto Angelo si è rotto un femore ma nessuno se ne è accorto. 

Sotto la gonna della mamma 

Cresce Angelo con i perenni indumenti della taglia di un bambino e la colonna sonora dei successi di Morandi, Nicola di Bari e della Carrà, aggrappato a quel filo speciale che lo lega alla sorella, che diventata adulta farà tutto quello che ci si aspetta da una giovane donna: lavorare e farsi una  famiglia. Invecchia anche Angelo ma sempre sotto la maxigonna metafisica della mamma che ormai si è abituata a vivere con questo figlio strano nel segreto della portineria. Passano gli anni belli e brutti ovvero tutte e due le cose insieme, il minuscolo e delicato adolescente è diventato adulto, ha lo sguardo di un uomo; finché un giorno, ormai Angelo ha quasi 50 anni ma nemmeno una ruga e un viso diafano senza tempo, la mamma muore come prima o poi muoiono tutte le mamme

Angelo a cui nessuno ha mai potuto spiegare il concetto di morte nella sua purezza e semplicità accetta l’evento, è consapevole che una volta scomparsa la mamma ci sarà la sorella al suo fianco, ma attenzione sorella e non madre, questo lui lo sa bene. Davanti alla madre morta, a casa nel suo letto, Angelo non si dispera, non piange, accetta quello che è accaduto con naturalezza, e saluta la mamma a modo suo: la stringe per quel che può al petto che è quello di un cardellino e le canta una ninna nanna. 

Dopo le esequie la sua vita cambia e non cambia proprio, ora c’è Franca con la sua famiglia a cui si affianca il centro diurno dove lo attendono le maestre o educatrici, e Angelo le ama tutte. Angelo ormai orfano ma sempre canterino vanta un corredo speciale, l’agenda, le penne, i colori, un mazzo di carte piacentine che mescola con la maestria di un baro, ma con cui non sa giocare, chiavi di un’automobile che non ha mai guidato e che mai piloterà,  un mensile di auto e motori che sfoglietta ogni tanto con sguardo serio, un cellulare giocattolo che non squillerà mai ma non importa, un microfono parimenti giocattolo che anche se non amplifica va bene per cantare, un lettore cd per il karaoke domestico e infine uno zainetto suo privato dove ci mette dentro tutte queste cose. 

Le sue giornate sono scandite da regole semplici e familiari, ogni mattina al risveglio sua sorella gli farà barba, operazione che lo indispettisce non poco e allora ecco la parolaccia imparata all’istituto echeggiare nel bagno, la colazione, quindi il centro diurno, il ritorno a casa nel pomeriggio, le viste mediche periodiche.

Tanti auguri 

Ogni tanto Angelo chiede quando sarà il suo compleanno, perché il genetliaco è il giorno più importante dell’anno; lui aspetta con impazienza la festa, perché potrà esibirsi nel canto e lo farà con professionalità, perché è bravo. Angelo allarga le braccia come fanno i cantanti, inclina la testa e la solleva di scatto, la sua voce è delicata e remota sembra provenire dal cuore di un bosco. Angelo sa ballare il valzer. 

Angelo non ride mai, non ha imparato a farlo ma se potesse riderebbe fino alle lacrime, Angelo non sorride mai, non ha imparato nemmeno questo però sono certa che talora lo fa anche se lo vedono soltanto i suoi fratelli cherubini, Angelo ha passato la vita a schivare i colpi e i pericoli non ha avuto modo di sbellicarsi dal ridere, Angelo ti guarda con i suoi occhi specchio di una sapienza a noi preclusa, fa una smorfietta, cenni di diniego con la mano, talvolta vuole starsene sulle sue, gira la testa verso destra, si ritira in uno spazio temporale inaccessibile, da cui osserva ogni cosa.

L’11 di novembre Angelo che ha aspettato questo giorno tutto l’anno, indossato il minuscolo smoking con il farfallino ha celebrato il suo sessantaduesimo compleanno di uomo per sempre bambino, con il microfono amplificato ha cantato il suo repertorio di canzoni di un tempo dimenticato, ha fatto anche svariati giri di valzer con le maestre, glieli vogliamo fare ancora una volta gli auguri di buon compleanno tutti insieme?    

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