Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti affronta con i toni della commedia un tema fortemente sentito da quanti hanno vissuto nel tempo della fede ideologica. Dopo la fine di quei sogni divenuti talora incubi, avverte il bisogno di riscriverne la storia “con i se”, per chiamare in giudizio le visioni totalizzanti che hanno preteso di ridisegnare il mondo.

Moretti interpreta un regista, Giovanni, che vuole realizzare un film il cui  protagonista, Ennio (Silvio Orlando), è il segretario di una sezione del Pci del Quarticciolo. Sono i giorni dell’invasione sovietica dell’Ungheria ed Ennio vive un forte dissidio nei confronti del partito, dell’Unione Sovietica e di Togliatti in particolare.

Conflitto edipico

Il Migliore ebbe un ruolo rilevante nella vicenda ungherese. Dai documenti disponibili dopo l’apertura degli archivi sovietici è  emerso, come hanno scritto Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavsky, che Krusciov era restio a intervenire militarmente in Ungheria. Nella sua decisione influì sicuramente un telegramma in cui Togliatti auspicava la repressione della «rivolta controrivoluzionaria», che a suo avviso rischiava di compromettere l’unità del movimento comunista.

Come accade in un conflitto edipico irrisolto, Ennio non riesce ad affrancarsi dall’autorità paterna, incarnata nel suo caso dal Migliore. Questo lo allontana  dalla moglie Vera (Barbora Babulova) che prende apertamente le distanze dalla linea del partito.

Il conflitto in cui Ennio si dibatte, in seguito alla delusione politica e sentimentale, si avvia verso un esito tragico e il film dovrebbe concludersi con il suo suicidio. La storia narrata nella sceneggiatura  incrocia a questo punto le vicende personali di Giovanni. La decisione di sua moglie Paola (Margherita Buy) di separarsi dopo quarant’anni vissuti insieme, il fidanzamento della figlia con un anziano diplomatico polacco, l’amore, nato sul set, di Ennio e Vera in una sovrapposizione di finzione filmica e di vita reale, lo portano a rimettere in questione convinzioni che considerava ben radicate e a riscrivere il finale.

Ennio si libera allora dalle vesti del militante obbediente, abbandona l’idea del suicidio e grida finalmente il suo dissenso verso il compagno Togliatti e il partito. Vince così la sua angoscia e riconquista l’amore di Vera. La vita prende allora il sopravvento sull’ideologia e sulla presunta ineluttabilità della storia.

 Il circo ungherese Budavari, accolto al Quarticciolo dai compagni della sezione del partito in quei primi giorni di novembre del 1956, esprime la dimensione tragicomica di una realtà complessa che non può essere ingabbiata. Le immagini della rivolta di Budapest, diffuse dai rari televisori di quel tempo, si alternano con le esibizioni degli acrobati, che decideranno poi di non tornare in Ungheria.

Pur essendo maniacalmente attento a escludere dalle scene del film qualunque elemento che non sia collocabile negli anni Cinquanta, Giovanni strappa un’immagine di Stalin, che non poteva mancare in una scena ambientata in una sezione del Pci nel 1956. Basti pensare che alla morte di Stalin, Togliatti lo aveva commemorato  descrivendolo come «un gigante del pensiero» e che per l’Unità era venuto a mancare l’uomo «che più ha fatto per la liberazione del genere umano». Strappare dunque la sua immagine significava  intervenire sulla memoria come un iconoclasta.

Il ruolo di Netflix

Per Giovanni l’arte non si colloca esclusivamente sul piano estetico, ma deve incarnare un messaggio etico. Ecco perché invita il giovane regista, che sta mettendo in scena con “leggerezza” un’esecuzione, a riflettere intorno a Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieslowski, in cui il regista polacco impiega sette terribili minuti per raccontare il delitto di un tassista compiuto da un ragazzo. Vuole infatti  affidare un significato catartico a quel gesto. Telefona poi a Renzo Piano, per avere una sua opinione sul senso che può avere la rappresentazione della violenza e Piano risponde dicendo che solo nella sublimazione di un atto violento può riconoscersi il segno dell’artista. Come dire che le immagini, private della loro dimensione morale, divengono dei vuoti simulacri.  

Nel quadro della visione etica del suo lavoro, il parere negativo sul film da parte di Netflix non può dunque tradursi per Giovanni in una frustrazione. Gli consentirà piuttosto di assaporare una forma di creatività lontana dal modello di comunicazione di Netflix che, proprio per il suo potere omologante, può compiacersi di  essere presente in 190 paesi.

L’ombra del Migliore

Ma torniamo ai fantasmi di Togliatti e di Stalin che tormentano  Ennio. In un suo articolo su Repubblica del 2 febbraio 1996, Il brindisi di Togliatti, Gianni Rocca scriveva che in occasione dell’invasione sovietica dell’Ungheria, Palmiro Togliatti scelse la “fedeltà a oltranza” a Mosca. Pietro Ingrao, allora direttore de l’Unità, ricordava, a quarant’anni di distanza, di essere rimasto turbato quando seppe dell’invasione e di aver sentito il bisogno di condividere con il Migliore il suo stato d’animo. Il turbamento dovette però divenire più intenso, quando si sentì rispondere dal suo segretario: «Io invece, oggi, ho bevuto un bicchiere di vino in più».

Non mancarono però le posizioni critiche, come dimostrò il dissenso del segretario della Cgil Di Vittorio. Giolitti e Reale abbandonarono il partito e autorevoli rappresentanti del mondo della cultura espressero la loro condanna nel Manifesto dei 101, tra i quali  troviamo Asor Rosa, Melograni, Sapegno, Colletti, solo per fare qualche nome. Il documento, diffuso dall’Ansa, produsse scompiglio in casa comunista e gli eretici furono convocati da Pajetta, da Bufalini e da Alicata, perché si convincessero a tornare sui loro passi, come avvenne nel caso di Spriano, di Cafagna, e di tanti altri.

Quattordici dei firmatari, ricorda Nello Ajello, inviarono una lettera  all’Unità dichiarando che chi aveva fornito a «un’agenzia di stampa borghese» il testo della dichiarazione, finalizzata a «un dibattito interno al partito», aveva carpito la loro “buona fede”. Tra i fedelissimi, che si schierano a difesa di Togliatti, vi fu il latinista Concetto Marchesi, il quale, riguardo all’insurrezione ungherese, scrisse  che un popolo non può rivendicare la libertà «tra gli applausi della borghesia capitalistica».  Ai 101 e a chi sapeva del brindisi di Togliatti avrebbe fatto bene, forse, conoscere la storia di Ennio.

I film di Moretti, al di là di evidenti compiacimenti narcisistici, sono come delle sedute di analisi che ci invitano a  guardare indietro ma anche a progettare il futuro. Il sol dell’avvenire esprime disincanto, ma anche speranza e ci ricorda che l’analisi è terminabile e insieme interminabile, se rappresenta un cammino di conoscenza e non solo una terapia.     

                                                    

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