Forse il più grande romanzo mai scritto in occidente comincia con un imperativo, “Call me…”, seguito da un nome da maschio. Il potere di nominare, biblicamente maschile, è un’arma la cui lama può spezzare catene o infliggere ferite che lasciano cicatrici di cui è difficile disfarsi. Per il primo numero ufficiale di Cose da maschi passiamo dunque dai soldi ai nomi, dall’ineffabile materiale alle più ineludibili tra le parole.

Ricordo una serie di strisce stupende di Snoopy in cui il nuovo arrivato si chiamava 5 perché (parafraso la spiegazione che dava a Charlie Brown) suo padre aveva deciso di protestare contro l’omologazione postmoderna dell’individuo assegnando a tutta la famiglia numeri invece che nomi. Una sottile, inquietante satira del trauma della Shoah forse, nonché della lotteria per la leva in Vietnam. Ma vivendo ora in un luogo e in un tempo (gli Stati Uniti del secolo XXI) in cui si può serenamente e intenzionalmente chiamare un figlio o una figlia Lake, Morgan, Drew o Taylor senza scegliere per lei o per lui se tutti lo o la crederanno un lui o una lei prima ancora di conoscerla o conoscerlo, l’opzione “Cinque” mi pare improvvisamente creativa e fascinosa. Un nome da cyborg, come quello della divina 7 of 9 di Star Trek Voyager: un nome postumano invece che disumanizzante; dotato della stessa fruttifera instabilità offerta dal carattere schwa – che da ora in poi comincio a usare un po’ nei pezzi sul giornale (mi perdoni la Crusca) altrimenti esco pazzo con tutti questi bivi morfologici tra lui lei lo la e participi vari.

Il pezzo che ho scritto per Domani (lo trovate qui) ragiona su ipotesi onomastiche liberanti a partire dal nome fichissimo di un fichissimo filologo romanzo del secolo scorso, d’Arco Silvio Avalle. I trailer dei nuovi sequel di Matrix e Spider-Man mi hanno fatto pensare a come la prospettiva radicale dei Trans studies, da questa parte dell’Atlantico, aiuti a leggere il mondo e a ripensarlo in meglio, fuori da logiche che ci paiono naturali e che sono invece magari solo grammaticali, capitalistiche, poliziesche e paranoiche.

In italiano pochi libri di questo filone sono tradotti (ho scoperto per esempio che Jack Halberstam non è tradotto affatto), ma per fortuna esistono, oltre a decanə come Porpora Marcasciano, giovani attivisti trans che fanno un lavoro meraviglioso sui social. Nell’articolo faccio in particolare uno shoutout a due ragazzi che seguo dai mesi della pandemia e che ammiro molto: Francesco Cicconetti, i cui video mi fanno ammazzare dalle risate, e Ethan Caspani, che si veste come io mi vorrei vestire.

Da quando è uscito il pezzo sulle collane di Sfera un sacco di gente interessantissima mi ha scritto su twitter e su instagram per parlare di cose da maschi. Mi ha particolarmente deliziato una conversazione postumana telematica con Luca Fontò (lui era team Zootopia, io team Luca, come vedete dalla mirabile vignetta che ha disegnato tra un viaggio in treno e uno screening di Santa Madonna). 

Trovate qui lo scintillante saggetto che Luca mi ha spedito per Cose da maschi sui colori di martelli e principesse, Lego e articoli di cancelleria, in rima con le aspirazioni di liberazione dal binario duale da maschio/da femmina che animano le mie fantasie sui nomi.


Uno degli obiettivi di questa newsletter, in arrivo ogni mercoledì pomeriggio, è quello di mappare e allargare la percezione della maschilità che le cose e gli oggetti ci restituiscono, per cui non esitate a scrivermi qui: agiammei@brynmawr.edu per proporre idee, prospettive e memorie.
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Grazie per la lettura e a presto!
Alessandro Giammei
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