La sparizione di Jean McConville, giovane madre di dieci figli nella Belfast dei primi anni Settanta, è stata una delle tante pagine oscure dei Troubles, il conflitto che ha insanguinato l’Irlanda del Nord per trent’anni; una guerra “a bassa intensità”, combattuta per le strade, tra le case, che ha coinvolto anche i civili – cattolici e protestanti – spesso reclutati come braccia per le organizzazioni terroristiche e paramilitari dei due schieramenti.

Il corpo di McConville fu ritrovato solamente nel 2003, anche grazie alle rivelazioni contenute nel “Belfast Project”, un progetto di storia orale sviluppato dall’università del Massachusetts di Boston che ha visto decine di protagonisti di quella tragica stagione collaborare raccontando i propri segreti con la promessa che le loro rivelazioni potessero essere diffuse solo dopo la morte.

Dall’intersezione di questi due elementi, un episodio quasi dimenticato del conflitto nordirlandese e il tentativo disperato di fare memoria, nasce un’interessante serie di Disney+: Say Nothing (Non dire niente), ispirata al libro di Patrick Radden Keefe, è una piccola gemma che spunta dai cataloghi dello streaming, un viaggio doloroso e necessario che mette in luce senza sconti la ferocia di uno scontro tra repubblicani e lealisti entrato fin dentro la quotidianità delle famiglie.

La storia

McConville venne prelevata dalla sua abitazione e trascinata via da un commando dell’Ira (l’organizzazione militare dei repubblicani irlandesi) che l’accusava di essere una spia al servizio dei gruppi unionisti protestanti. Di quella spedizione “punitiva” faceva parte anche Dolours Price, una delle prime donne insieme alla sorella Marian, ad assumere un ruolo di rilievo all’interno dell’organizzazione.

E proprio intorno alla figura di Price ruota l’intero impianto della serie in nove episodi; da adulta (interpretata da Maxine Peake) racconta a ruota libera la vita da militante in lunghi flashback che riportano al clima e alle ferite di decenni prima (Lola Petticrew presta il volto a Price giovane). C’è l’Ira, con le sue regole rigide, la sua violenza, le coperture della gente comune; ma c’è anche l’esercito britannico con i pestaggi, le carcerazioni preventive, il mantenimento di una disuguaglianza di fondo nell’accesso della popolazione ai servizi primari.

L’interesse per i Troubles

Con Belfast di Kenneth Branagh (premio Oscar per la miglior sceneggiatura nel 2022), la questione nordirlandese è tornata d’interesse per le narrazioni mediali e audiovisive; segno di una distanza dagli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998 che comincia a essere sufficiente per guardare al conflitto non unicamente sotto il profilo ideologico o religioso, ma anche e soprattutto come il risultato di politiche e azioni fondate sul rifiuto, sulla provocazione e sulla violenza.

Eppure, tra le pieghe profonde dell’odio, dentro le contraddizioni di tregue disattese, nell’apparente impossibilità di scorgere un futuro nelle perenni divsioni, i Troubles hanno saputo essere, per usare le parole dell’affascinante podcast di Samuele Sciarrillo, vincitore di tre premi agli ultimi Italian Podcast Awards, (Troubles – Una storia irlandese), non solo la storia di una guerra, «ma anche e soprattutto il racconto di un viaggio verso la pace».

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