L’odore della notte torna al cinema in versione restaurata e 4K per il venticinquesimo anniversario dalla prima uscita in sala. Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema Venezia, il secondo film di Claudio Caligari ricevette tre candidature ai Nastri D’Argento, tra cui quella di miglior attore protagonista per Valerio Mastandrea, all’epoca alle prime interpretazioni di rilievo sul grande schermo.

Ispirato liberamente a Le notti dell’Arancia Meccanica, il romanzo di Dido Sacchettoni pubblicato da Einaudi nel 1986 che raccontava le vicende di una banda di rapinatori attivi a Roma a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, L’odore della notte è un poliziesco cupo e amaro, con espliciti riferimenti e citazioni a Taxi Driver di Scorsese (Mastandrea alla De Niro che punta la pistola di fronte allo specchio o alla televisione), ma anche a Tarantino e alla scuola noir italiana, Pietro Germi e Francesco Rosi su tutti.

Il protagonista Remo Guerra è un poliziotto frustrato, che di notte compie rapine e furti per puro bisogno di adrenalina e ribellione. La sua figura anarcoide, solitaria e per certi versi perduta, si eleva sopra ai suoi comprimari – interpretati da Giorgio Tirabassi, Marco Giallini e Emanuel Bevilacqua – corrotti e compromessi, abbandonati su un piano inclinato al loro destino di banditi.

Sguardo irriverente

Caligari ha girato L’odore della notte a distanza di 15 anni da Amore Tossico, il cult assoluto e ultra-citato, che ha goduto ciclicamente di revival e celebrazioni dalla sua uscita nel 1983. Nella sua opera di fine anni Novanta non troviamo la stessa brama disillusa di “svortà” dei tossici di Ostia, ma un cinismo cieco e crepuscolare.

Nei racconti di cronaca nera del tempo, alcuni quotidiani tentarono di affibbiare alla banda dell’Arancia Meccanica una facile narrazione da lotta di classe: i borgatari criminali che rubano ai ricchi privilegiati come atto politico e ideologico.
L’odore della notte si guarda bene dal romanticizzare la vita di borgata o dal fornire un riscatto ai protagonisti, come potrebbe accadere in un film di Ken Loach. Al contrario, si limita a rappresentare le vicende con freddezza, seppur con una linea grottesca e irriverente verso lo sguardo bonario e naïf di chi racconta le periferie col piglio dell’etnografo.

Girato tra Prenestina, Casilina Vecchia, Villa Fiorelli, e in generale nel quadrante Est della Capitale, di cui ancora oggi sono facilmente riconoscibili i connotati, con i suoi fermo-immagine ai cambi di scena e la colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi a dare un ritmo da b-movie in piena regola alle scene più concitate, in questo film non si empatizza davvero con nessuno. Non riusciamo a farlo con i protagonisti, presi nella loro spirale di violenza e sperpero di denaro, né con i membri dell’alta borghesia romana, i vescovi o i vip della Grande Bellezza, che risultano patetici e per qualche ragione insopportabili anche quando vengono malmenati.
Un discorso a parte vale per il cameo di Little Tony, costretto ad esibirsi in una versione a cappella di Cuore matto con la canna di una pistola puntata in mezzo agli occhi. Una scena semplicemente non replicabile con credibilità nel panorama cinematografico italiano odierno.

Senza riscatto

L’assenza di un riscatto sociale è la vera cifra stilistica di questa pellicola. Caligari, abile maestro con i piedi ben saldi nel mondo reale, viveva nei luoghi da cui traeva ispirazione e materia prima. Sapeva perfettamente quanto il sentimento dominante nella periferia che intendeva rappresentare fosse l’indolenza, la rassegnazione, al massimo il rodimento di culo. La stessa dei protagonisti di Ragazzi di vita o di Una vita violenta, ma adattata sul finire degli anni di piombo e con la Roma Campione d’Italia, come intuiamo dai cassonetti dell’ama dipinti a tricolore.

Un osservatore neutrale potrebbe chiedersi il senso del ritorno in sala di un film di culto minore, ormai reperibile facilmente su piattaforma e senza dubbio stampato nella memoria tra i proseliti del compianto regista originario di Arona, ai confini del Piemonte, in provincia di Novara. Sono gli stessi motivi per cui Caligari appartiene a pieno titolo al culto dei santi di Roma est e per estensione alle zone liminali della cultura e delle forme di espressione artistica.

Il cinema a cui fa riferimento Claudio Caligari è sempre stato prima di tutto un atto d’amore, scevro da logiche di convenienza o guidato dal fiuto per gli affari. Lo dicono i suoi fallimenti e la lunga lista di rifiuti rimediati in carriera, di gran lunga superiore ai film realizzati, più di qualunque apologia.

L’odore della notte è il secondo atto di una trilogia involontaria di un regista che ha regalato al cinema italiano molto di più di quanto gli sia tornato indietro. L’affetto e la stima intatta con cui viene ricordato da chiunque abbia avuto la fortuna di lavorare con lui sono il riconoscimento più grande per chi non ha potuto assistere alla propria consacrazione, arrivata nel 2015 con Non essere cattivo, l’ultimo atto, postumo – che ha di fatto lanciato le carriere di Alessandro Borghi e Luca Marinelli, i due grandi attori italiani di questa stagione – finito di montare sul letto di morte e prodotto dallo stesso Mastandrea a chiusura del cerchio. Una storia troppo umana e vivida per essere compresa appieno.

Roma allora, Roma oggi

Cosa ci dice allora oggi un film come L’odore della notte? Innanzitutto che è quantomeno curioso che le borgate dove il film è ambientato, oggi siano prese d’assalto dalle agenzie immobiliari e dagli imprenditori in cerca di quattro mura da vendere a caro prezzo o da convertire in locale iridescente che vende cocktail in voga annacquati a cifre esorbitanti. In particolare alla Certosa, distaccamento chic del Pigneto, dove sono girate la maggior parte delle scene.
Meno di dieci anni fa il bar di ritrovo della banda di protagonisti a largo dei Savorgnan era identico a quello che vediamo sullo schermo. Oggi è ancora lì, con i tavolini di plastica in mezzo alla piazzetta. Non c’è più l’insegna dei gelati Eldorado, ma un murales gigante di Amy Winehouse, vai a capire perché. Tuttavia l’odore di Roma di notte non è cambiato più di tanto. Con il giusto tipo di occhio si riesce a distinguere in mezzo a orde di studenti fuori sede, intellettuali, attori e scrittori hip, qualche sbandato, qualcuno con l’occhio malandrino.
Roma di notte ha sempre quel misto di umidità, profumo di pini e olezzo di piscio e monnezza che farebbe sentire ancora a casa un venerato maestro come Calligari e tutto sommato questo basta e avanza.

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