Con Hors du temps (Berlinale 2024) il regista francese Olivier Assayas ha realizzato il suo film più personale, un racconto autobiografico agrodolce e malinconico che rivisita i mesi di lockdown passati nella casa di famiglia in Normandia insieme al fratello, le rispettive compagne e i fantasmi del passato.

Presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival dove l’autore di Irma Vep e Personal Shopper ha ricevuto il Celebration of Lives Award 2024, il film mette a nudo le fragilità di un intellettuale privilegiato attraverso la maschera, a tratti burlesca, dell’attore Vincent Macaigne.

Perché dopo aver girato la serie HBO Irma Vep ha deciso di passare a una sorta di autofinzione con un film molto intimo a basso budget. È stato un modo per reinventarsi come regista?

Da un lato l’esperienza di una serie internazionale come Irma Vep ha superato tutte le mie aspettative: è stata come un'avventura epica con un cast straordinario e un set dove imperava una vera complicità tra tutti. Dall’altro, è stato fisicamente un calvario, pur di realizzare la serie, mi sono impegnato a consegnarla entro una data irrealistica. È stata una specie di maratona per rispettare le scadenze di messa in onda. Immaginate di continuare a scrivere in piena preparazione e di girare e montare contemporaneamente un film di otto ore in centosedici giorni, avevo a stento il tempo di respirare. Ho sfiorato il burnout, anzi, credo di aver avuto un vero e proprio esaurimento nervoso. Hors du temps è stato un modo per tornare alle origini, alla vitalità di un certo cinema d’autore francese. Dopo essermi ritrovato a erigere una cattedrale, avevo bisogno di ricostruire e di rinnovare me stesso tornando allo spirito di un cinema vicino a quello di Eric Rohmer.

Che rapporto ha con il cinema francese?

Ho un rapporto difficile, forse dovuto al fatto che ero un critico cinematografico, che in Francia c'è sempre una sorta di sospetto nei miei confronti perché faccio film internazionali con attori americani, quindi c'è un po' di invidia, vengo considerato come un traditore. Anche se ci sono diversi registi di grande talento, il cinema francese ha un rapporto con la sua storia, con la postmodernità e con la dimensione sociale e politica che mi fa sentire estraneo alla sua industria. Non faccio film politici, non ne ho la competenza, ma mi interessa molto la questione dell’impegno politico che oggi sembra mancare a un cinema d'autore francese sempre più convenzionale, in confronto a quando ho cominciato a fare film o anche a scrivere di cinema grazie a un mentore come il grande critico Serge Daney. Oggi mi sembra che il cinema francese abbia perso molti dei suoi punti di riferimento morali.

Per questo ha deciso di girare film internazionali?

Come altri cineasti, penso in particolare a Claire Denis, sono partito da un cinema indipendente, quasi parigino, per approdare, anni dopo, alla vastità del mondo. A un certo momento ho sentito la necessità di girare i miei film in inglese, di viaggiare fuori dai confini francesi, era come tornare a respirare. Me ne sono accorto tardi, ma è quel che è successo a Michelangelo Antonioni, un regista per il quale nutro una folle ammirazione, a un certo punto della sua carriera, per sopravvivere, ha sentito il bisogno di lasciare l'Italia e di aprirsi a qualcosa di globale e quindi di universale. È stata una rottura magnifica, un gesto artistico assolutamente emozionante, che sia io che Claire Denis abbiamo riprodotto.

Anche Bernardo Bertolucci sentì la necessità di aprirsi al mondo, a un cinema universale, senza frontiere che non ha paura di piacere al pubblico.

Io ci sono riuscito anche grazie al lavoro con gli attori, con l’improvvisazione. Mi sono lasciato andare a un umorismo e a una vitalità che ritrovo molto nel cinema e nello spirito di Jean Renoir, il suo rapporto con la natura e la pittura a un certo momento si è imposto nel mio cinema. Il regista Alain Cavalier ha detto una cosa che mi è sembrata folgorante: nel cinema francese c'è un padre, Robert Bresson, e una madre che è Jean Renoir. Molti giovani registi si nascondono dietro a un rigore minimalista alla Bresson e cercano in modo assurdo di imitare il suo stile pulito e raffinato che può ricordare Vermeer. Nessuno può imitare Bresson, ma molti pensano di farcela e glielo lasciano credere. Renoir invece è come John Ford, guardiamo i suoi film e non ci accorgiamo di come siano stati fatti, non ci interessa neanche, il suo cinema è più vivo della vita e non capiamo il perché.

C'è un momento nel film in cui il suo alter ego dice via zoom: “È osceno mostrare quanto sono fortunato”…

Diciamo che in questa scena sono ovviamente io a parlare.

Si sentiva in colpa di aver vissuto il lockdown nella grande casa di campagna di suo padre?

Non mi sentivo in colpa, mi sembrava rischioso fare un film su un evento storico collettivo che ognuno, avendolo vissuto a modo suo, poteva criticare. Mi sono detto, se lo faccio, l'unica regola è essere perfettamente sincero: niente imbrogli o manipolazioni, filmo a casa mia, parlo di cose realmente accadute e non mi nascondo dietro a nulla. C'è qualcosa di molto impudico nella concezione stessa del film e avendo vissuto l’isolamento in modo positivo sentivo di dover rendere conto della fortuna e del privilegio che ho avuto durante il lockdown. L’isolamento è stato soprattutto molto duro per le persone che vivevano nelle città. Da parigino agiato, al riparo dal pericolo peggiore della pandemia, ho sentito il dovere morale di esternare la mia fortuna, perché bisogna ricordare che sono i più poveri, quelli che vivono in condizioni più dure, che pagano come al solito il prezzo più caro.

Cosa ne pensa del trionfo del Rassemblement national di Le Pen e di Bardella alle europee?

Oggi sono estremamente critico verso una sinistra che si è autodistrutta in modo irresponsabile, si è stupidamente divisa in due: da una parte una specie di sinistra wokista e dall’altro un centrosinistra. La sinistra della sinistra si è spinta troppo oltre e ha completamente alienato il centrosinistra con cui stava vincendo le elezioni. Queste divisioni interne non hanno fatto altro che allontanarci dal governo. Purtroppo è un fenomeno mondiale, basta pensare al Partito Democratico negli Stati Uniti, per non parlare dell'Italia.

Non crede che la vittoria della destra populista sia anche dovuta allo scollamento con la realtà di una sinistra intellettuale che, citando il titolo del suo film, è Hors du temps, fuori dal tempo?

Beh diciamo di sì, non nel senso del mio film, ma nel senso di una mancanza di comprensione della trasformazione del mondo, avvenuta in particolare con l'e-commerce e i sistemi di informazione digitale. Già negli anni 70 le persone erano inebetite dalla televisione che era un disastro, oggi l’informazione, la politica e il funzionamento della società sono in uno stato catastrofico per via di internet che certamente è uno strumento appassionante, ma che non è stato né realmente pensato né regolamentato. Con internet mi riferisco in senso lato ai social network e a tutti quegli strumenti web che con il loro avvento, hanno trasformato e cambiato profondamente la società. La politica ha il dovere di pensare a un modo di tutelare la popolazione. Ho una figlia adolescente di 14 anni e mi chiedo come fare perché abbia accesso a Internet il più tardi possibile. Credo che sia una domanda che molti genitori si pongono, perché oggi sulla rete tutti hanno accesso alla pornografia, a orrori di ogni tipo, alla pura e semplice idiozia, alla manipolazione commerciale e politica anche da parte di nazioni straniere. Questo è davvero l'elefante nella stanza, è incredibile che i partiti politici non siano in grado di rassicurare la gente su questo problema. Come prendere sul serio una classe politica che non tutela i nostri figli e che non si pone domande sull’uso del web che viene spesso usato come arma. Come possiamo fidarci?

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