A un mese esatto dalla sua elezione avvenuta l’8 maggio scorso, Leone XIV rompe gli indugi, esce dalle prudenze che avevano segnato le prime settimane di pontificato e, nel corso della messa della solennità di Pentecoste, celebrata in piazza San Pietro nella giornata conclusiva del giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità, ha dato un assaggio concreto di quale modello di Chiesa ha in mente.

Una Chiesa, innanzitutto, che rifiuta le barriere imposte dai nazionalismi in nome del comandamento dell’amore, dell'apertura alle differenze per favorire il principio di fratellanza. È dunque una Chiesa che sa riconoscere la forza dello Spirito, ha spiegato il pontefice, spirito capace di aiutare gli apostoli a vincere la loro paura, a spezzare le catene interiori, ad alleviare le ferite, e che «li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio».

Aprire le frontiere

È lo Spirito, ha detto ancora il papa nel corso dell'omelia, che «apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito». «Le differenze - ha aggiunto Prevost – quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità».

Per questo ha detto il pontefice, «lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio» e «per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore». «E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici».

Ma non finisce qui, perché, secondo il papa, «lo Spirito, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni» e «trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio».

Infine, lo Spirito, è in grado di allargare «le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti».

Insomma, una Chiesa aperta a tutti, capace di far convivere al suo interno le differenze e la varietà di culture e sensibilità, di vivere secondo quell’amore verso il prossimo insegnato da Gesù, il cui corollario è il principio di fratellanza che si oppone ai nazionalismi politici tanto in voga nell'epoca che stiamo attraversando. Il tema della pace era infine tornato più volte sia nella messa che nel Regina Caeli di domenica, al termine del quale, Papa Leone XIV aveva affermato: «Lo Spirito di Cristo risorto apra vie di riconciliazione dovunque c’è guerra; illumini i governanti e dia loro il coraggio di compiere gesti di distensione e di dialogo».

Avanti nel dialogo con gli ortodossi

Tuttavia già sabato, va detto, il papa aveva indicato quello che appare sempre di più come uno dei punti forti del suo magistero, ovvero l’ecumenismo in particolare nella ricerca di una strada comune con il mondo ortodosso.

Occasione dell'intervento del pontefice, stavolta, l'udienza con i partecipanti al Simposio per l'anniversario dei 1700 anni del Concilio di Nicea che si celebrano nel 2025, dal titolo: «Nicea e la Chiesa del terzo millennio: verso l’unità cattolica-ortodossa», in corso in Vaticano; il Papa ha riaffermato la disponibilità della chiesa cattolica a individuare una data per la celebrazione comune della Pasqua fra cattolici e ortodossi.

«Come sappiamo – ha ricordato Leone XIV – uno degli obiettivi del Concilio di Nicea era quello di stabilire una data comune per Pasqua al fine di esprimere l’unità della Chiesa in tutta l’oikoumene. Purtroppo, le differenze nei rispettivi calendari (gregoriano per l’occidente, giuliano per l’oriente, ndr) non permettono più ai cristiani di celebrare insieme la festa più importante dell’anno liturgico, causando problemi pastorali all’interno delle comunità, dividendo le famiglie e indebolendo la credibilità della nostra testimonianza del Vangelo».

Quindi poco dopo ha osservato: «In quest’anno, quando tutti i cristiani hanno celebrato la Pasqua nello stesso giorno, vorrei riaffermare la disponibilità della Chiesa Cattolica alla ricerca di una soluzione ecumenica che favorisca una celebrazione comune della resurrezione del Signore e, di conseguenza, dia maggiore forza missionaria alla nostra predicazione».

Una posizione ampiamente condivisa dal patriarca ecumenico ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, che Prevost ha già ricevuto due volte in Vaticano e con il quale dovrebbe recarsi in pellegrinaggio in Turchia, a Nicea, entro la fine dell’anno.

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