Virzì ha vinto. Ventotene è un posto ormai congelato nell’immaginario comune di Ferie d’Agosto e del suo seguito. E dove forse la sinistra sta meglio che altrove. Quando stai per partire la risposta standard è «ammazza che radical chic» (menzione d’onore per un amico dei Parioli, che replica pronto: «Io ‘nvece so‘ ‘n’omo de Roma nord, io vado a Ponza»). Ma comunque, i romani ce li trovi tutti. Colleghi, amici, tutti che hanno trovato il loro rifugio – «è talmente vicino, un weekendino non te lo fai?» – un po’ più in là, un po’ più “de sinistra” di quelli che vanno a Ponza.

Allo sbarco, è un profluvio di Birkenstock e tote bag di tela, possibilmente di qualche festival letterario sofisticato, nel peggiore dei casi quella di Adelphi. Gli Adelphi abbondano anche in spiaggia – o meglio sugli scogli dietro al faro, quelli dove stavano sdraiati quelli del clan di Silvio Orlando nella scena in cui i coatti irrompono con la barca – incalzati dai Sellerio. Le copertine più frequenti, Saviano e Bajani. Si legge tanto a Ventotene, qua e là spunta qualche kindle, c’è generale silenzio.

Il giorno

I costumi sono morigerati, i tatuaggi pochissimi, i parei tutti di lino dal mercato equo e solidale. Sul chiosco sventola una bandiera palestinese, tutto torna. Perfino la chirurgia plastica è pressoché inesistente, anche se «dove c’è filler c’è Roma», osserva qualcuno individuando con occhio di falco l’eccezione alla regola, e in mezzo ad avventori che parlano un italiano senza inflessione affiora una c strascicata o un “de” di troppo.

Le conversazioni sono nobili, si commenta il volume tra le mani, qualche gossip sugli amici comuni, la salute – sì, l’età media non è proprio quella che si trova a Ibiza –: «Se chiama qualcuno è il cardiologo». Manca solo la conversazione sui destini del partito comunista, ma il giornalista protagonista della pellicola di Virzì pare dietro l’angolo. A dargli manforte a ricordare il valore del sacrificio di chi sull’isola è stato confinato - non «in villeggiatura», come disse Silvio Berlusconi, né rinchiuso «perché magari qualcosa avevano fatto, e gli è andata pure bene» come ipotizza il personaggio dell’influente Sabrina nel film - dal regime fascista c’è idealmente il carcere di Santo Stefano. Il panopticon che permetteva di sorvegliare tutti i reclusi oggi, da vuoto, sembra rivolgersi alla spiaggia, quasi che la nuova faccia da controllare sia quella dell’avventore dello scoglio all’ombra del faro. Il carcere è imponente, subito dietro si intravede quella che con un colpo di Google maps è identificabile come Ischia. Per il Vesuvio invece non c’è bisogno dello smartphone, la forma è inconfondibile quando non c’è foschia. Una presenza costante, che veglia su di te, o ti tiene sempre d’occhio, a seconda di come si voglia essere guardati.

La notte

Quando il giorno tramonta, quelli degli Adelphi virano in total white. Un gioiello di corallo, una Biancolella locale e un paio di mocassini azzurro polvere con le nappe e si vola, come direbbero i paninari-coatti.

Gli adelphisti seguono ciascuno una personale interpretazione del Manifesto, fatta di giardini affacciati su strapiombi instagrammabili e ristoranti-grotte radical. Fino a questo momento della controparte nazionalpopolare del clan di Orlando non c’è traccia. La rivoluzione europea di stampo socialista che si proponevano Altiero Spinelli e i suoi compagni, che tanto ha irritato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e che si può ancora ripercorrere camminando lungo i muri del comune, dove il testo del Manifesto è inframezzato da ritratti pensierosi degli autori, sembra pienamente realizzata. Quasi che l’onda nera che sta travolgendo il mondo intero sia solo un brutto incubo a distanza di sicurezza dai natanti, pari a due ore di aliscafo da Formia.

Sembra l’ironia più grande per un’isola strappata con la forza all’universo partenopeo dal regime fascista e assegnata dopo diversi tira e molla in pianta stabile alla nerissima provincia di Latina (o Littoria). Nell’isola da nemmeno 700 abitanti fissi però ancora la parlata conserva la coloritura napoletana. La bolla radical-ribelle sembra autoconservarsi senza sforzo, anche se il Pd – Matteo Renzi come sempre grande protagonista del genere – ha fatto di Ventotene un punto d’onore, luogo da celebrare e dove celebrare insieme agli amici europei l’Unione in cui nel 2025 secondo l’eurobarometro il 48 per cento non ha fiducia (un altro 48 però sì, magari c’è ancora speranza). Ma forse quest’isola va da sola, anche senza gli scatti dei politici pensierosi sul traghetto di ritorno ad Anzio pubblicati per testimoniare l’impegno durissimo contro le destre.

La politica non è però nell’aria – almeno non nel senso con cui la masticava pieno di speranza il protagonista di Virzì negli anni Novanta, o con cui la ricordava desolato nel seguito dell’anno scorso – ma nelle cose, nei gesti e negli atteggiamenti.
Come nella rassegna cinematografica appena terminata, forse non così dissimile da quella che che in Un altro ferragosto porta Emanuela Fanelli a dire «chi se le incula le balene, Dio ce odia tutti» dopo la visione di un film sulla piazzetta principale. Come se l’isola avesse bisogno del grande schermo per esistere.

Danze comuni?

Ma nonostante l’autoalimentato culto europeista, gli altri, i Mazzalupi-Fantastichini-De Sica, ci sono. Bisogna aspettare la notte, però, e rimbalzare tra il Gabbiano, fondamentale riferimento della nightlife ventotenese assieme al Faro, una sera di qua e l’altra di là. Oltre i Muraglioni, proprio da sotto al Memoriale del confino salgono le note del sassofono tamarro di Jimmy Sax e della sua No man no cry (fan di Jimmy non siate ostili, anch’io lo ballo, e poi la Rai l’ha scelto per la sigla del brillante XXI Secolo del sempre doppiopettizzato Francesco Giorgino).

E mentre gli Orlandiani - no, non i seguaci dell’ex ministro - si ritirano in fretta, di notte l’isola diventa degli “altri”.
Per esempio di quelle che in spiaggia sfoggiano la ciabatta pelosa abbinata al costume leopardato. Difficile individuarle in mezzo alla pioggia di letture colte e palome stilose che gettano ombra su discorsi che s’interrogano sulla superiorità di Paros o Rodi. O dei ragazzi in trasferta da Roma o più raramente da Napoli che hanno conquistato il centro della piccola pista del Gabbiano: un gruppo di maschi ventenni - solo maschi - vestiti interamente di bianco. Il white party è un compleanno, a un certo punto qualcuno decide di togliere definitivamente la camicia già aperta al quarto buco e la situazione si avvia verso l’immaginario di Una notte da leoni. A mixare in console c’è però un incrocio perfetto tra Pino Insegno e Patrizio Rispo, che sfila quell’aria di gioventù che aveva raggiunto lo scoglio. Mette su roba un po’ di tutte le epoche, da Dj Otzi a Sesso e samba, con quei mashup un po’ improbabili che fanno più male di una sbronza di Sambuca. Ma la conseguenza è che ballano tutti, i ragazzi-Dash, ma pure le sciure-filler della spiaggia, e anche il signore in pensione che sfoggia orgoglioso una camicia hawaiana a tema cocomeri.

La terra di nessuno è la piazza. Dove in mezzo a tanti paragoni e tutte le rivalità giocose del caso, l’inaspettato collante è Vasco. O meglio, gli Stupendo, cover band umbra il cui front man omaggia il suo idolo con un curioso accetto perugino-emiliano. Resta il fatto che la scaletta spacca - parola di testimoni vaschisti - e gli Stupendo per una sera trasformano la piazzetta nel Circo massimo. Sempre con il religioso supporto di Spinelli e i suoi compagni dipinti alle spalle della band sul municipio. Come ogni buona performance di paese, c’è di tutto: bambini che passano davanti al palco in bici, ragazzi su monopattini-scheggia che bucano il gruppo di mezza età che ha preso coraggio e ha riempito lo spazio tra il palco e le immancabili seggiole di plastica dove signore attempate cantano La la la la la la la/fammi godere da sedute. Mentre il gruppo di amiche quarantenni si sfoga finalmente su Buoni o cattivi, le coppie romantiche alla ricerca di una boccata d’aria da agende piene e vite frenetiche si lanciano in un lento su Albachiara: ce n’è per tutti. Fino all’una, quantomeno. Poi si smonta tutto e in piazza rimane soltanto un cocker con padrone annesso assorbito dalla luce blu dello smartphone. Il cane però scodinzola verso Altiero.

© Riproduzione riservata