Scienza e tecnologia vengono viste, a volte, addirittura come portatrici di perturbazioni, distruzioni, inquinamenti, attribuendo loro responsabilità che sono, in realtà, dovute al cattivo uso che spesso le nostre società ne hanno fatto.

La scienza, in particolare, è solo “conoscenza”, cioè scoperta. Tra l’altro, la scienza (e questo è un aspetto interessante) scopre cose che già esistono per conto loro. Qualche esempio. La “relatività” esisteva già prima che Albert Einstein la scoprisse, e così pure le leggi di gravitazione universale scoperte da Isaac Newton. Anche i campi gravitazionali esistevano; e le onde gravitazionali.

Tutte cose invisibili, ma già presenti per conto loro. In altri casi si sono capiti certi fenomeni che erano ben visibili, ma che non si sapeva cosa fossero. Come, per esempio, i fulmini. O come il Sole. Il Sole sorgeva ogni mattina. Ma non si sapeva cosa fosse. In passato l’interpretazione di questi fenomeni era il più delle volte di carattere mitologico. La scienza, per l’appunto, è sempre stata soltanto “conoscenza”. Cioè scoprire cose nuove. In ogni campo. E il risultato è stato fantastico.

Finalmente abbiamo capito, o cominciato a capire un po’ tutto, ovunque. Per esempio, cosa sono le stelle, come funziona il corpo umano, perché l’erba cresce, cosa c’è nell’intimo della materia, cosa c’è al centro della Terra, chi erano i nostri lontani antenati, perché piove, che cos’è il fuoco, cosa sono i terremoti, perché ogni tanto cadono pietre dal cielo. E mille altre cose. Come si è riusciti a scoprire tutte queste cose? Il segreto è racchiuso in queste parole: il metodo scientifico.

Il ruolo del setaccio

Mi piace ricordare quello che, tanti anni fa, mi ha fatto capire e amare la scienza (e che al liceo non mi avevano insegnato): il metodo. Perché il metodo è così importante per capire la scienza? Perché permette di separare il probabile dall’improbabile, il credibile dalla leggenda, il vero dal falso. Nelle grandi civiltà del passato, tutte queste cose erano spesso mescolate, mancavano regole e criteri per separare i fatti dalle opinioni, le credenze dalle cose provate.

Certo, anche in passato sono esistiti grandi scienziati, specialmente nell’antica Grecia, come Archimede, Pitagora, Euclide, e anche filosofi della scienza, come Democrito: ma spesso, nel panorama delle idee, valeva il principio di autorità, l’ipse dixit. Personaggi autorevoli come Aristotele non potevano essersi sbagliati quando facevano un’affermazione: dovevano necessariamente aver ragione. Mancava, insomma, un setaccio capace di filtrare in modo indipendente la validità di una ricerca o di una scoperta.

È con Galileo che si sviluppa questo “setaccio”, attraverso il controllo sperimentale, che ha permesso la selezione delle teorie e dei risultati. Si è così cominciato a costruire teorie su fatti verificati, aprendo un’autostrada per la scienza e permettendo progressi molto più rapidi. Oggi il “setaccio” è quello delle riviste scientifiche, dove un ricercatore deve spiegare nel dettaglio qual è stato l’iter che ha seguito per la sua scoperta, e come è arrivato a un certo risultato.

In questo modo tutti hanno la possibilità di verificare, controllare ed eventualmente criticare il suo lavoro (che deve poter essere replicabile, nelle stesse condizioni). In un certo senso, il ricercatore deve offrire ai suoi colleghi le pallottole con cui, eventualmente, sparargli contro.

I revisori segreti

In realtà, prima ancora della pubblicazione c’è una valutazione “segreta” fatta da un gruppo di esperti, anonimi. Le riviste di qualità, infatti, per tutelarsi richiedono un parere preventivo ad autorevoli scienziati, specializzati nel settore; è la cosiddetta peer review, una valutazione che può richiedere ulteriori chiarimenti, o suggerire approfondimenti, ecc.

Solo se passa questo primo “controllo di qualità” la ricerca viene pubblicata. E qui, naturalmente, entra in gioco anche il prestigio di una rivista, perché tutti aspirano a pubblicare su grandi riviste internazionali, che sono anche una garanzia del livello di una ricerca e della sua affidabilità. Per questa ragione, quando nell’informazione appaiono scoperte sorprendenti, è sempre bene verificare dove sono state pubblicate…

Sappiamo quanta pseudoscienza circoli sul web, e avremo modo di riparlarne. Molti altri criteri si sono aggiunti, per eliminare i possibili rischi di errore, o il pericolo di cadere in qualche trappola, quando si parla di teorie scientifiche. Per esempio, il filosofo della scienza tedesco Karl Popper ha proposto il cosiddetto principio di “falsificabilità”: cioè una teoria scientifica è tale se è falsificabile. Questo vuol dire che deve comportare degli esperimenti che permettano di verificarne la validità.

Per chiarire questo concetto, mi viene in mente quello che mi diceva tanti anni fa, usando un esempio paradossale, il professor Antonio Borsellino, biofisico e filosofo della scienza: «Oggi sappiamo che gli anelli di Saturno sono fatti di cristalli di ghiaccio: se qualcuno sostenesse che hanno il gusto di una granita all’amarena, nessuno sarebbe in grado di poterlo smentire. Per questo non potrebbe essere considerata una teoria scientifica, al di là del fatto di essere una solenne sciocchezza».

La capacita d’autocorrezione

Gli scienziati sono ben consapevoli, naturalmente, che la ricerca è soltanto uno strumento (anche se il migliore oggi disponibile) per avvicinarsi alla verità, e non pretendono di affermare cose definitive. L’esperienza ha mostrato, del resto, che si possono sempre scoprire nuovi livelli di conoscenze che arricchiscono e inglobano quelle precedenti.

Prendiamo l’esempio delle leggi di gravitazione. Le equazioni di Newton sono sempre valide, noi continuiamo ad andare in bicicletta con le sue leggi, tuttavia si è capito poi, con la scoperta della relatività, che le cose sono molto più complicate. Ma la scienza non sbaglia mai? Certo. Qualche volta è successo che, malgrado i controlli, siano passate tra le maglie ricerche e dati non corretti: però nella scienza gli errori hanno le gambe corte, prima o poi vengono scoperti.

Questa capacità di autocorrezione è un’altra preziosa peculiarità del metodo scientifico. Se poi qualcuno bara e pubblica dati falsi o scorretti (è successo anche questo) la sua carriera è finita. Perdere credibilità, nel mondo della ricerca, è la peggiore condanna per chi insegue la visibilità pensando di farla franca. In questo senso esiste un’etica nella ricerca scientifica, che non è solo frutto di qualità personali, ma è il risultato di regole precise. E ciò aiuta a evitare errori o posizioni sbagliate.

Il metodo, infatti, fornisce uno strumento prezioso per procedere: l’autocorrezione, un setaccio che ha funzionato molto bene da quando è entrato in azione. Ma se il metodo della scienza ci permette di arrivare solo alla conoscenza, alla comprensione dei fenomeni, allora il sapere di per sé non può creare danni (ambientali o di altro tipo). Gli scienziati, del resto, non hanno certo i mezzi per applicare le loro conoscenze (anzi hanno solitamente scarsità di fondi per il loro stesso lavoro). Il problema si sposta quindi alla tecnologia.

da Piero Angela, Dieci cose che ho imparato, Mondadori, in libreria dal 25 ottobre

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