Sabato 18 dicembre torna un nuovo numero di DopoDomani, l’inserto speciale di 16 pagine che questa volta sarà dedicato alla moda. Lo si può trovare in edicola con il nostro giornale (a 2 euro e 50), oppure in digitale sull’app o sullo sfogliatore online, compreso nell’abbonamento. Fluida, inclusiva, libera, omologata, globale, insostenibile: un viaggio attraverso le evoluzioni e le contraddizioni del frammentato universo della moda nell’epoca della grande influenza.


Per capire con chi avrei avuto a che fare prima di intervistare Ramona Tabita, 33 anni, la stylist più amata dall’oligarchia della moda e dalla democrazia dei social, ho letto i suoi tweet.

Tweet del tipo: «Capisci di essere una vera business woman quando stacchi dal lavoro per chiamare finalmente i tuoi, ma ti accorgi che hai chiamato il numero del taxi». «Uso il tuo outfit come pigiama». «Sono diventata tutto ciò che ho sempre amato». «Sono già stanca di divertirmi, voglio tornare a fatturare». «Sono una persona non una macchina da look».

E ho capito che Ramona Tabita è addirittura meno scontata degli outfit con cui ha stravolto l’immagine Amici di Elodie trasformando la cantante in una dea inarrivabile o quella da “il rapper e i suoi stereotipi” di Ghali, rendendolo un’icona di stile internazionale e gender free.

Da dove sei partita?

Sono nata e cresciuta ad Augusta, ho due fratelli che fanno gli attori, io sono la più piccola. Già da bambina dicevo ai miei amici come si dovevano vestire, ho trovato un diario in cui a 8 anni facevo l’identikit del mio ragazzo ideale: «si deve vestire bene».

Che stimoli avevi ad Augusta?

Compravo Vogue quando tutte alla mia età compravano Top Girl. Ne arrivava un numero solo, io me lo facevo mettere da parte dall’edicolante.

Tu come ti vestivi?

Mi piaceva vestirmi in modo diverso, sentirmi speciale. I miei fratelli da Roma mi portavano le novità e io le indossavo, ad Augusta i coetanei erano perplessi. Il fatto di vedermi incompresa mi faceva sentire non inadeguata, ma potente. Mi dicevo: sono loro che non mi capiscono.

Vogue a parte, cosa ti faceva sognare?

Passavo intere giornate davanti a Mtv, ero una strana. Quelle suggestioni fanno parte del mio mood ancora oggi. 

Chi ti piaceva?

Impazzivo per l’RnB, il genere black. E poi Kris e Kris erano troppo iconiche.

I tuoi che dicevano di questa passione?

Erano commercianti ma appassionati di moda, mio padre collezionava cravatte e papillon, era così esagerato nel suo dover essere sempre elegante che alle volte da piccola mi vergognavo di lui. Mia mamma ci teneva ad avere una cosa di Gianni Versace nell’armadio, andavamo a Catania a fare acquisti.

Saranno fieri di te.

Molto. Per loro la moda è un valore, non erano di quei genitori che ti volevano per forza dottore, hanno sempre saputo che la moda è una cosa seria.

Poi ti trasferisci a Roma.

Vado a studiare all’Accademia delle belle arti: scuola libera del nudo, pittura e nel frattempo scatto foto di moda, le metto su Myspace, organizzo mostre inutili a cui non veniva nessuno, vernissage tristi per cui bisognava pagare una quota. Ricordo di un mio vernissage in un bar con un allestimento così triste che quando arrivò mia sorella con i fiori e i suoi amici mi vergognai moltissimo.

Non ti scoraggiavi?

Le riviste di moda continuavano a farmi sognare. Rinunciavo al pranzo per comprarmi Self service, un magazine che costava 25 euro. Vivevo nella casa dello studente e per attutire lo squallore staccavo le pagine di un Vogue Paris, per poi attaccarle su tutte le pareti.

Come arriva la svolta?

Avevo 23 anni, vinco una borsa di studio alla Naba. Al colloquio piaccio a Nicoletta Morozzi, la mamma de La Pina. Mi trasferisco a Milano, lì conosco la Pina, ci “innamoriamo” e lei mi affida una rubrica di moda sul suo blog.

Come va alla Naba?

Tra i docenti c’era Mariuccia Casadio di Vogue Italia. Avevamo una passione in comune.

Ovvero?

I Furby (i peluche robotici).

I Furby?!

Lei se li portava in borsa, io ne avevo alcuni perché ero un’accumulatrice seriale di giocattoli anni Ottanta. Parlavamo in classe di Furby, gli altri allievi per questo mi odiavano. Alla fine lei mi dice: ti faccio fare uno stage a Vogue Italia.

Il tuo sogno.

Di più. Solo che poi ci ripensano, «al momento non ci servi, niente stage». Non mi rassegno. Mando una mail e dico che io allo stage ci tengo troppo, che quella è la mia strada. «Non mi potete spezzare il sogno». Mi propongono di scrivere gratis.

Ci resti male?

Scrivevo articoli a tutte le ore, della serie “Vogue chiama, Ramona risponde”.

Tipo Il diavolo veste Prada.

Guarda che io ero felice. Ero su Vogue! Scrivevo molte cose neutre, ma quando mi assegnavano pezzi tipo “Consiglia la valigia giusta per andare a Venezia” mi piaceva un sacco.

Hai fatto la classica gavetta da assistente?

Non mi prendere per presuntuosa, ma io non ho voluto fare da assistente a nessuno perché non vedevo persone con la mia estetica in Italia. La mia gavetta è stata scrivere per Vogue, perché così ho iniziato ad avere contatti con i brand e chiedere: «Mi dai i vestiti per questo shooting?».

Come arriva il vero successo?

Con le celebrity. Avevo già fatto cose importanti, la  campagna per Versace, ma non mi conosceva nessuno.

La prima celebrity che si rivolge a te?

Ebony Bones, la cantante londinese black, molto figa. Ed è una svolta perché ti spiego, in Italia chi faceva moda non vestiva celebrity. Le celebrity le seguivano i costumisti, considerati nella moda “stylist di serie b”. Non volevo rischiare di diventare cheap ma lei aveva un’immagine interessante. Considera che in Italia di norma i brand non vogliono vestire le celebrity italiane, specie i cantanti.

Il primo cantante italiano che invece decidi di vestire?

Ghali. All’inizio ero perlessa, temevo appunto di posizionarmi come “costumista”. Però Ghali mi piaceva tanto, rappresentava quel concetto di multiculturalità che mi affascinava, così accetto. All’inizio i brand non ci sopportavano, perciò lavoravo con brand di ricerca, emergenti.

Tu e Ghali vi siete capiti subito?

Io lo vedevo con un’immagine non da rapper e lui mi diceva: «Come faccio a rappare col completo?». E io: «Appunto! Guarda i Migos come si vestono, il look Eminem non si usa più». Ho deciso di lavorare con lui non per soldi, volevo vestirlo come fosse per un editoriale, curare la sua immagine sempre, anche per un’ospitata in radio.

Addirittura.

È un concetto da star internazionale che veste bene anche per andare a bere un caffè da Starbucks. Non voglio che chi seguo io sia visto figo nel video e poi per strada giri sciatto. Se vuoi che io sia la tua stylist, io sarò la tua stylist sempre.

Nell’ambiente dicono che per lavorare con te sia indispensabile fidarsi, altrimenti molli.

I miei artisti sanno che sono un’artista. Non voglio essere stressata, le cose le vedi sul set, ti fidi di me, non mi devi assillare. Non è il tuo lavoro. Se io ti mando la foto di un look per terra, tu non capisci come ti sta. Mi dici “non me lo metto”. Io invece sono veloce nell’individuare tra mille vestiti quello giusto, so già cosa metterai alla fine.

Insomma, decidi tu.

Mi confronto, ma molti artisti si complicano la vita, sono insicuri, devono entrare nel mio mood. Non so se sia giusto, ma è il mio metodo.

Quand’è che con Ghali avete capito che il sodalizio funzionava?

Ritornavamo in treno da Roma dopo un fitting da Gucci per il suo tour. Per la prima volta non c’era il suo manager, eravamo solo io e lui. Ci siamo guardati, e io: «Ti rendi conto che ti veste Gucci?». E lui: «Ti ricordi che all’inizio non eri sicura?». Ghali di me si è fidato sempre.

Ti è grato?

Penso di sì.

E tu sei grata alle celebrity che segui?

Certo. Io tramite loro salgo sul palco. Elodie per dire è il mio alter ego.

Lei è stata la tua svolta e tu lo sei stata per lei. Partiva da Amici, era difficile posizionarla così, come hai fatto?

Ho sempre creduto in lei. Avevo appena visto il video Margherita con Marracash. Pensavo: «Quanto è bella, quanta cazzimma, ma è vestita male». Io capivo che lei era una figa, ma aveva bisogno di aiuto.

Poi lei ti cerca.

Quando ci siamo incontrate mi ha folgorata. C’è una cosa importantissima per me, per la quale ho rifiutato dei figli di papà: mi piace vivere la rivalsa con gli artisti con cui lavoro. Io non mangiavo per comprare le riviste di moda. Per questo amo Ghali che dormiva a terra con sua madre e ora veste Dior, perché rappresenta anche un po’ la mia storia. Elodie anche ha questa storia di riscatto e io quel riscatto voglio accompagnarlo.

Loro sono la tua proiezione.

Vedi, io sono timida, non guardo le persone negli occhi, attraverso i “miei” artisti sul palco io sento la felicità della rivalsa. Pensa che avevo un fidanzato e ci siamo lasciati perché Elodie magari mi chiamava alle tre di notte prima di Sanremo e lui non capiva che per me era importante esserci sempre per lei.

Gli abiti di Sanremo le hanno cambiato il percorso.

Ho convinto Versace a vestirla, pensa che non vestivano nessun cantante dai tempi di Patty Pravo.

L’hai pensata fin da subito con quei look così sexy?

Subito. Averli è stato un incubo, mi volevano dare un solo abito, io li tormentavo per averli tutti. Alla fine avevo ragione io ed Elodie poi era alla fashion week con Donatella, ora sono tutti pazzi di lei. Si sono fidati, e li ringrazio.

Ed Elodie si è fidata di te.

Pensa che si chiedeva se avesse il corpo giusto per quei vestiti, ti rendi conto?

Mi rendo conto. Cosa dà a un’artista il look giusto?

La credibilità. Assurdo ma è così.

Ora tutti vogliono Elodie.

Mi ricordo quelli che dicevano «mi spiace ma non la vestiamo». Quanto mi emoziono a pensarci.

Quanti artisti si sono rivolti a te?

Posso dire? Nel tempo tutti. 

Perché ne segui così pochi?

Perché le cose si fanno bene. Io i miei li seguo sempre, non voglio vederli in giro malvestiti.

Hai uno spiccato senso del controllo.

Purtroppo anche nelle relazioni.

Vesti anche i fidanzati?

Sì, è orribile. Finiscono tutti per vestirsi uguali, c’è un momento in cui gli uomini che frequento vanno da Marni. È il momento in cui so che li ho uccisi.

Chi ti piacerebbe vestire?

Rosalia. E Mike Tyson.

Segui anche Mariacarla Boscono, era favolosa a Venezia.

Lei non ha mai avuto una stylist, ha il suo stile, per me seguirla è un onore. Ho scelto l’abito e lei mi ha detto no. Alla fine l’ho convinta. Io impazzisco di gioia quando qualcuno mi dice «ok, avevi ragione» vedendosi l’abito addosso.

La tua fissa?

Il fucsia.

Sei ricca?

Potrei essere molto ricca, ma seleziono i lavori e spendo molto. Non amo chiedere vestiti ai brand. Sono una cafona, per me comprare vuol dire avere lo status per potermi permettere la Chanel.

Ormai ti regalano di tutto.

Sono seppellita dai regali.

Sei diventata tu stessa un personaggio. Ti fa paura?

Sì. Io volevo usare i personaggi come specchio, essere una burattinaia. Poi è successo che ho iniziato a seguire le celebrity soprattutto durante il Covid. Quindi lavoravo ma non uscivo, non mi accorgevo di quanto anche la mia popolarità nel settore stesse aumentando. All’ultima fashion week vado a una festa e vedo che tutti mi salutano. Me ne sono andata spaventata. Fino a poco tempo fa non c’erano neppure mie foto online.

Ora però ne pubblichi anche tu sui social.

Perché è il mio momento e me lo godo. Mi sento pronta. Quelli di Gucci mi hanno detto: «Ramona ti dobbiamo mandare il regalo di Natale», io ho pensato ad Augusta, ai primi passi in questo mondo e mi sono emozionata.

Tu e il tuo alter ego Elodie ve lo dite «Guarda dove siamo arrivate»?

Sempre. Poco tempo fa eravamo a scattare con Paolo Roversi a Parigi, avevamo tutte e due il cuore spezzato e io ho detto: «Ti rendi conto, magari l’amore tenta di affossarci, ma noi siamo qui a prenderci i nostri sogni». Piangevamo in taxi. Elodie è parte di me e io voglio vedere dove possiamo arrivare insieme.

Gli artisti saranno gelosi di te.

Ho una lista lunghissima di persone con cui non posso lavorare. Ma è giusto, ci sono dei competitori e i brand e il mercato sono quelli.

Quanto sei invidiata nell’ambiente?

Me ne fanno di tutti i colori, dicono ai brand di non darmi i vestiti. Ma io ho un metodo vincente, che è quello di stare in disparte, di lavorare e andare poco alle cene.

Ti dispiace dire no alle celebrity che ti cercano?

Mi dispiace, ma io ho una missione: voglio creare delle star. Solo che non sono una maga, devo intravedere il grezzo su cui lavorare. Sono grata ai personaggi che magari sono stati dei miti per me e mi dicono «vestimi», ma se non vedo il potenziale, la magia non riesce. Questo lavoro è la mia vita, non mi interessa che di una mia celebrity si dica  «è vestita bene». Io voglio il sogno.

Di seguito alcuni degli altri contenuti nello speciale: 

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