Secondo Cindy Lauper, le ragazze vogliono solo divertirsi. Per il Mel Gibson pubblicitario provolone di What Women Want vogliono depilarsi senza dolore ed essere trattate con rispetto sul posto di lavoro. Per i Neri per caso le ragazze si lanciano ad occhi chiusi nelle avventure.

E se tutte queste cose possono essere considerate vere, singolarmente ma anche tutte insieme, nella mia personale scala di valori di ragazza c’è un desiderio che ritengo ci unisca tutte, sovrastando di molto gli altri: le ragazze vogliono soprattutto avere accesso a dei bagni pubblici che non ci facciano passare la voglia di mangiare per il resto della vita.

Ho una piccola ossessione per i bagni pubblici: chiunque abbia avuto la sventura di mangiare con me al ristorante senza avere l’accortezza di sparire nella notte durante la mia tappa alla toilette, ha subìto un mio monologo più o meno lungo, più o meno piccato, sulle condizioni della toilette suddetta. Profumazione del sapone per le mani, illuminazione dello specchio, reattività della fotocellula dello sciacquone sono tutte voci di valutazione che considero, ma senza eccessivo trasporto.

Il mio vero pallino è sempre la tavoletta del water, correlativo oggettivo della mia più grande, forse unica, battaglia sociale. Su una tavoletta sgocciolata, infatti, rivedo non solo tutti i miei fallimenti – gli anni dell’infanzia costellati di turche usate al contrario, cistiti fulminanti per avere tenuto la pipì troppo a lungo piuttosto che usare una turca con i sandali ai piedi, squat precari su cessi scardinati, quella volta che non ho bevuto acqua per quattordici ore per non dover usare i servizi di un treno notturno in India – ma anche i fallimenti di un paese ancora molto lontano dal livello di civiltà che ci si aspetterebbe dal primo mondo, di una società irrimediabilmente corrotta, oltre che quelli del genere femminile tutto.

Il circolo vizioso

Partiamo dalle basi. La mia unica, grande, solitaria battaglia sociale ha bisogno di uno slogan e direi che possiamo usare questo: vi dovete sedere, cretine. Questa settimana, al secondo giorno di Salone del Libro, avevo già visto più bagni inagibili di quanti ne vorrei vedere nell’arco di una vita intera, nonostante le persone addette alle pulizie dentro al centro congressi in cui lavoro io – un’area molto ristretta e privilegiata rispetto al cicciaio selvaggio dei padiglioni fieristici dove le file per i bagni delle donne se la battono con quelle per i firmacopie di Zerocalcare – passino di frequente a spandere dosi generose di candeggina su tutte le superfici. Loro quindi non c’entrano, il problema è a monte. Le donne italiane non si siedono su una tazza che non sia di loro proprietà o uso esclusivo, innescando un circolo vizioso di tavolette pisciate e successivamente inagibili.

Un problema culturale

Geolocalizzo il tema perché sono oramai convinta che si tratti di un problema culturale endemico. C’è un grande numero di fisse che caratterizza il nostro popolo, massime assolute e vincolanti che vengono tramandate da generazioni e abbiamo di solito sentito promuovere alle nostre nonne. In cima alla lista c’è la germofobia (seguita a ruota dal concetto antiscientifico di “colpo di freddo”).

La germofobia ha fatto anche cose buone e le case degli italiani sono generalmente caratterizzate da un livello di pulizia piuttosto alto, che però talvolta costeggia il crinale della mania. Non è un caso che siano nati fenomeni social come quello delle Pulitone, donne dedite all’igiene casalinga che su Instagram e TikTok ci intrattengono con video di pulizie estreme che assomigliano agli schiuma party, sempre armate di grandi secchi di acqua saponata. Io, che ho mangiato qualsiasi cosa mi sia mai caduta in terra affidandomi sempre alla regola dei cinque secondi, non posso dire di capire questo bisogno, ma il mondo è bello perché è vario, eccetera eccetera.

Trovo il mondo meno bello quando mi ritrovo nel bagno di Trainspotting perché qualcuno ha deciso che su una tavoletta comune non ci si appoggia, non sia mai che ci prendiamo lo scolo dalle cosce. Ma non è forse naturale appoggiare gli avambracci su un tavolino del bar o afferrare un palo della metro con le mani? Il mondo in cui viviamo è letteralmente ricoperto di batteri fecali, sarebbe stupendo navigarlo potendo almeno urinare in una toilette dignitosa.

All’estero

L’hanno capito benissimo in certi paesi all’avanguardia. Nel Regno Unito neanche il più marcio dei pub presenta bagni meno che perfetti, da questo ho dedotto che le inglesi si siedono. Nella mia esperienza ci si siede anche negli Stati Uniti, in Germania e in Svezia, e mi piacerebbe essere un po’ meno cialtrona e provare a condurre uno studio sulla correlazione tra PIL e corretto uso dei servizi, ma anche tra cessi sporchi e religione cattolica.

Pessima infatti anche la situazione delle toilette in Spagna, mentre grazie a Wim Wenders sappiamo che non ci sono bagni pubblici migliori di quelli giapponesi. Che sì, vengono puliti con frequenza, come si vede in Perfect Days, ma sono sicura che sia soprattutto una questione di senso del decoro e cura del bene comune.

Ho visto più di una persona a Tokyo raccogliere gli escrementi del proprio cane e infilarsi il sacchetto in tasca: in Giappone i cestini della spazzatura sono rarissimi, ognuno usa la pattumiera di casa sua, e le strade sono impeccabili, quasi quanto i loro bagni pubblici (onestamente non c’è un solo water di Tokyo su cui non mi sarei sentita a mio agio ad appoggiare la faccia).

Così mentre squatto dentro a un bagno del Lingotto, le cosce deboli nello sforzo di non toccare superfici ormai disgustose, mi dico che forse serve un movimento, un partito, qualcosa, e che alla fine anche Rosa Parks è entrata nella storia sedendosi, seppur con uno scopo decisamente più nobile.

Quindi la prossima volta che entrerete in una toilette dalla tavoletta non ancora contaminata spero vi sentirete investite di una nuova responsabilità sociale e deciderete di cambiare il corso degli eventi, di rendere la vita migliore a un’altra donna, che entrerà dopo di voi e sarà felice di non dover squattare. Magari farà una piccola ghirlanda di carta igienica per potersi appoggiare con maggiore serenità, ma comunque non squatterà, mentre una voce nella sua testa le ricorderà la sua missione: ti devi sedere, cretina.

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