La rivista Gli asini nei suoi dieci anni e passa di vita si è occupata di politica, intervento sociale e cultura, e soprattutto di educazione, diventando un riferimento in Italia per educatrici, docenti, pedagogiste; ma negli ultimi tempi la discussione pubblica sulla scuola ci era sembrata esausta. Certo, parlare di scuola fa audience, ma lontano dal dibattito sui media la scuola continua a non cambiare e a immiserirsi, come il sistema sanitario nazionale e il welfare.

L’anno scolastico scorso, il 2022-2023, è stato quello del pieno ritorno a regime dopo il Covid: alcuni istituti hanno mantenuto riunioni collegiali o incontri con le famiglie a distanza; in alcune scuole gli armadi sono rimasti fuori dalle aule e i banchi separati; in altre ancora gli ingressi differenziati e gli intervalli senza incontro fra le classi sono sembrate soluzioni da conservare. Nel complesso è ricominciata la stessa scuola di prima e di sempre: ci eravamo scoraggiate, chi non lo sarebbe?

Nulla di nuovo

Il piano digitale 4.0 da implementare con i soldi del Pnrr veniva scritto in maniera fumosa e per tempi impraticabili (provate a leggerlo); i patti educativi di comunità elaborati per aprire la scuola ai territori non riuscivano a operare la trasformazione per cui sono stati disegnati. Ci siamo detti che era meglio occuparsi di welfare e politiche sociali, di ecologia e di storia, perché la battaglia nella scuola è persa per sempre.

Nemmeno l’emergenza sanitaria ha modificato il suo sistema. Poi è arrivata l’estate, si riacquista forza per progettare l’anno a venire e analizzare il presente. Molte di noi si erano occupate di disabilità, altre di lavoro o salute mentale e territorio, altre ancora di terzo settore e politiche educative; ci è tornata voglia di prendere parola sulla scuola, di contribuire al necessario lavoro di vederci chiaro assieme per agire e abbiamo scritto a molte mani un documento strutturato per punti, che si tengono assieme e definiscono una visione, che è politica.

La scuola svolge funzioni sociali decisive (trasmissione formalizzata dai saperi, riproduzione culturale della società, socializzazione, governo della mobilità sociale) come in un’arena vi si confrontano progetti di società e di conoscenza differenti. Quello che ci univa era la consapevolezza che una scuola democratica pubblica e statale non si è mai compiuta. Quel che si doveva e poteva fare perché tutti e tutte potessero arrivare a esprimersi in società, a prendere e comprendere parola per fare le leggi assieme, non è stato fatto.

Ancora si insegna a leggere e a scrivere per la richiesta più o meno benevola di maestre; ancora la scrittura non è un mezzo messo nelle mani di tutte e tutti ma resta un privilegio di pochi e poche; ancora la matematica insegnata in modo autoritario produce uno spreco tragico di intelligenze che si chiudono per sempre al suo linguaggio; l’arte, fruita e prodotta, non è ancora pienamente riconosciuta come via fondamentale per il progresso culturale e civile; eccetera.

Eppure noi sappiamo da cento e più anni come si fa a fare in modo che in una classe ognuno lavori a suo tempo e modo, come individuale e collettivo si possano contemperare, come programmare per centri di interesse o con i piani di lavoro in modo che ogni talento e inclinazione fioriscano. C’è molto da praticare ma poco da inventare: una scuola molto diversa e che funzioni meglio è già possibile, è scritto in ogni buon manuale di scienze della formazione.

Cosa che ci fa sospettare che nelle università chi più sa non faccia il suo dovere. Conosciamo l’importanza del dialogo e il valore formativo di partecipare assieme al governo e all’amministrazione degli istituti; allora che senso ha, per esempio, fare lezione sull’agenda 2030 in aule che d’inverno sono roventi per i caloriferi spinti al massimo e d’estate per l’assenza di coibentazione, in scuole che buttano tonnellate di plastica e cibo a ogni pasto? Tanto più che bambini e bambine di ogni età vorrebbero sapere e ragionare di questo, perché ogni cosa è fonte di curiosità e di interesse.

Temiamo i più piccoli e giovani, pensiamo di doverli punire per controllarli mentre basterebbe dargli occupazioni e lavori dignitosi. Così il primo nodo del documento è quello del potere; il secondo quello del sapere, nella convinzione che una scuola democratica non ucciderebbe la cultura e la conoscenza ma ci porterebbe a un’intelligenza più diffusa e condivisa, aprendoci a una più vasta immaginazione sociale e scientifica.

Sappiamo che è possibile e anche come fare ma ci vorrebbero soldi e volontà per andare in questa direzione: è una questione di politica e di desideri condivisi. La pedagogia sa essere poetica e consolatoria, ma ha valore solo con un quotidiano lavoro didattico, organizzativo, scientifico.

Non perderemmo conoscenze e competenze in una scuola che accetti le differenze e che sappia prevedere tempo e organizzazione per mettersi davvero in relazione con i territori. I documenti di indirizzo delle dirigenti, i Ptof degli istituti e le indicazioni ministeriali parlano tutti di inclusione e rapporto col territorio, sono i principi democratici sulla carta. In concreto oggi non ci sono mezzi culturali, umani, economici, organizzativi per farli accadere.

Gli investimenti che arriveranno nei prossimi mesi sono inquadrati nel piano digitale per la scuola che si realizzerà, anche questo, in maniera differente dalla descrizione burocratica.

Le scuole saranno invase da feticci tecnologici presto obsoleti e poco adoperati: senza rapporti diversi tra le generazioni e tra scuola e lavoro non acquisiremo mai un sapere sulla tecnologia che ci porti al benessere invece che a lavori sempre più miserabili, frammentati, incompresi.

Sarebbe un dovere civile vigilare su come saranno sprecati tanti soldi ma spesso di fronte all’ennesima riunione, battaglia, vertenza, siamo esausti e impauriti. Abbiamo comunque voluto insistere, ecco gli altri nodi: differenza, territorio, tecnologia, università e lotta. Ne mancano altri e, sopra a tutti, due: lavoro e salute, che ci rendiamo conto sono quelli su cui attestarsi, dentro e fuori la scuola, con più determinazione, da domani.

 

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