Pochi settori hanno oggi la forza dei balneari, la capacità di influenzare le scelte dei partiti al punto da farli andare contro l’Europa, la realtà e persino incorrere in brutte figure. Lo abbiamo visto da quando si è aperta la crisi del Covid-19, con interventi che hanno esonerato il settore dal pagamento dell’Imu e aperto a un condono molto conveniente, per cui si bloccano tutti i contenziosi sui mancati pagamenti e si può chiudere ogni pendenza pagando il 30 per cento del dovuto. Ma il tema di più grande scontro riguarda la famigerata direttiva Bolkestein, che prevede lo stop alle proroghe senza gare avversato in ogni modo dagli undicimila proprietari di concessioni balneari.

La posizione di Pd e M5s

Malgrado le sentenze della Corte europea, di innumerevoli tribunali italiani e di questi giorni della Corte costituzionale abbiano fermato ogni tentativo di continuare con assegnazioni dirette, la politica ha scelto di stare con i balneari, incapace di proporre una riforma che permetta di garantire quanto meno la trasparenza. Se per la Lega la posizione è comprensibile, coerente con l’avversità alle gare a difesa degli stabilimenti, del resto l’immagine pubblica di Salvini è legata tra le altre allo stabilimento Papeete di proprietà dell’eurodeputato leghista Massimo Casanova, più complicato è capire la posizione di Cinque stelle e Pd.

Il partito di Grillo è stato a lungo in prima fila a tutela dell’ambiente e contro prevaricazioni purtroppo realizzate in molte spiagge da parte di alcuni operatori che le considerano proprietà privata, ma ha votato sia la proroga del Conte uno che quella del Conte II. Ma a stupire particolarmente è la posizione del Pd, che dall’onorevole Umberto Buratti, passando per il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini per arrivare ai ministri Dario Franceschini e Francesco Boccia, ha deciso di partire lancia in resta contro Bruxelles. Il problema giuridico e politico contro cui vanno a sbattere queste tesi è che risulta davvero difficile sostenere che non ci si trovi di fronte a «beni limitati e di valore ambientale» come sostiene la direttiva.

In Versilia e in Romagna non esistono praticamente più spiagge libere e in tutta Italia crescono le spiagge in concessione, come racconta un rapporto di Legambiente presentato la scorsa estate. Viene da chiedersi se per un partito democratico e di sinistra, il tema dell’accesso libero e gratuito a un bene pubblico non sia altrettanto rilevante di quello di difendere una categoria di imprenditori.

In fondo questo è il compito della politica, trovare una soluzione a questioni complesse in cui si scontrano interessi privati e generali. E in questo caso i problemi sono davvero complessi e intrecciati, come quello di canoni estremamente bassi che si pagano anche in stabilimenti costosissimi e di grande successo, e poi di un patrimonio di spiagge che si sta drammaticamente ritirando, per processi di erosione costiera sempre più estesi. Se si mettono in fila le questioni si comprende come lungo gli ottomila chilometri di coste italiane si stia giocando una partita decisiva per il futuro del paese.

Perché si parla di lavoro e diritti, persino di opportunità per i giovani e di disuguaglianze. Di turismo, per ampliare, qualificare e diversificare l’offerta. Di rilancio di tante aree degradate da abusivismo e mancata depurazione. Ma soprattutto queste aree sono in prima linea rispetto a uno scenario climatico che rischia di stravolgere le coste del mediterraneo. Dobbiamo davvero augurarci che questa ennesima sentenza porti la politica a smetterla di comportarsi come la tifoseria di una squadra in lotta contro l’Europa e di aprire piuttosto il confronto sulle soluzioni più efficaci a valorizzare questo straordinario patrimonio.

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