Il suicidio di Seid Visin, giovane 20enne di origine etiope che in una drammatica lettera aveva parlato degli “sguardi schifati” che si sentiva addosso per via del colore della sua pelle e il femminicidio di Saman Abbas, 18enne di origine pakistana determinata a vivere liberamente la sua vita di giovane donna, vestendo all'occidentale e rifiutando con tutte le sue forze la violenza imposta dai suoi familiari con un matrimonio forzato in Pakistan, ci interrogano, nella loro drammaticità, sul concetto di rispetto delle leggi italiane, delle differenze, dei diritti umani fondamentali di tutte le persone.

Nei giorni scorsi in un interessante editoriale sul Corriere della Sera Goffredo Buccini ha chiamato in causa politici, intellettuali, femministe a proposito delle parole che, soprattutto a sinistra, non diciamo quando c'è di mezzo l'Islam per paura, questa la lettura di Buccini, di rischiare di apparire razzisti nei confronti di una cultura diversa dalla nostra. Un retropensiero che ci impedirebbe di chiamare il brutale omicidio di una donna per quello che è indipendentemente dalla cornice di valori o disvalori culturali, religiosi, sociali all'interno dei quali avviene e cioè, come in questo caso: “femminicidio”.

La violenza subita da Saman in vita, all'interno della propria cerchia familiare, e che ne ha determinato il barbaro assassinio, è la stessa che in tutto il mondo, e anche in Italia, milioni di donne subiscono quando rifiutano obblighi e imposizioni e rivendicano la propria volontà e libera scelta, soprattutto all'interno dei propri legami affettivi.

Uno dei temi affrontati nel corso di questa legislatura dalla commissione Diritti umani di cui sono capogruppo del Partito democratico è proprio quello dei matrimoni precoci e/o forzati. Si tratta di un'usanza diffusa in particolare in alcune parti del mondo ma che trova fondamento in quello squilibrio di potere tra donne e uomini di cui parla la Convenzione di Istanbul e che è all'origine e trasversale a tutte le forme e manifestazioni di violenza di genere senza distinzione di condizioni sociali, economiche, culturali, religiose, etniche ecc.

Saman non è stata vittima della sua religione ma di quegli stereotipi che attraversano culture, religioni, società e legislazioni diverse e che rispecchiano l’idea di stampo patriarcale che la donna sia predestinata a ricoprire, per via del proprio sesso considerato inferiore, un determinato ruolo familiare e sociale in quanto “proprietà” prima della famiglia di origine e poi del marito alla quale la sua stessa famiglia la cede sulla base di accordi che escludono completamente la volontà della donna considerata non un soggetto attivo, libero, consapevole delle proprie scelte di vita ma oggetto di una contrattazione che presso vari popoli e nazioni trova legittimazione culturale e giuridica.

Un'usanza che in Italia non può in alcun modo trovare cittadinanza e che non solo non trova cittadinanza nel nostro sentire comune ma anche nella Costituzione e nelle leggi del nostro Stato. Leggi che chi sceglie l’Italia come Paese nel quale vivere, lavorare, crescere i propri figli e figlie deve conoscere e rispettare. Questa è una condizione essenziale, fondamentale per una convivenza civile tra persone di origini, culture, religioni differenti che pacificamente e nel rispetto reciproco si relazionano e costruiscono insieme crescita e benessere nel riconoscimento inderogabile dei nostri principi costituzionali, dei valori, delle leggi e dei diritti umani fondamentali.

La lotta al razzismo, una piaga che ha umiliato fino a schiacciare la giovane vita di Seid, passa anche e soprattutto da qui: dalla conoscenza e quindi dall'educazione al rispetto. Conoscere le differenze, educare alla convivenza, valorizzando le differenze, rispettarsi gli uni con gli altri è il modo più efficace per prevenire le diverse forme di violenza – dal razzismo all'antisemitismo, dall'omolesbotransfobia alle ragioni strutturali della violenza degli uomini sulle donne che avvelenano, corrompono, indeboliscono la nostra società. L'uguaglianza che è uno dei valori fondamentali su cui è fondata la nostra Repubblica e democrazia, che è iscritto nell'articolo 3 della Costituzione, si realizza concretamente nel riconoscimento e valorizzazione delle differenze che sono la più straordinaria ricchezza su cui una società può svilupparsi, crescere, progredire.

Ecco perché l'educazione al rispetto deve entrare nel percorso educativo e d'istruzione fin dai primissimi anni scolastici non come un'appendice ma come parte integrante di ogni programma e disciplina ed ecco perché, al pari delle competenze e conoscenze che per tutto l'arco della vita personale e professionale devono essere acquisite e aggiornate, anche gli adulti, compresi quelli di origine straniera, devono essere coinvolti in questo percorso di cittadinanza attiva, consapevole, democratica in modo strutturale e non episodico o emergenziale attraverso un impegno diretto di tutti i soggetti pubblici e privati, nazionali e locali che hanno ruoli, funzioni e responsabilità pubbliche.

Non c'è e non può esserci progresso materiale senza un investimento continuo sulla consapevolezza comune di essere parte di una società che ha regole, leggi ma anche valori e principi inderogabili per chiunque viva in Italia. La Costituzione deve essere il punto di riferimento comune per dare accesso alle regole di convivenza e quindi ai diritti e doveri di cittadinanza per tutte e tutti, per superare disuguaglianze, discriminazioni e contrastare razzismo, violenza, intolleranza.  Anche sulla volontà di assumere questa come scelta e investimento strategico misureremo la nostra concreta capacità e possibilità, come nazione, di costruire un presente e un futuro di benessere inclusivo, equo e democratico.

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