Dall’approccio fondato sul carcere e gli ospedali psichiatrici ai centri di riabilitazione: l’evoluzione incerta delle cure
- Negli Cinquanta e Sessanta l’approccio prevalente è quello di trattare il drogato come un criminale o un malato psichiatrico, la dipendenza è vista come un problema di debolezza psicologica o inclinazione a delinquere.
- Poi nascono i primi centri di riabilitazione, ma con molte contraddizioni: il drogato deve espiare la sua colpa, più che trovare le forze e gli strumenti per uscire da una situazione di cui ha perso il controllo.
- Negli anni Settanta e Ottanta si afferma l’idea che dalla droga bisogna uscire da soli, anche il metadone viene somministrato in dosi basse per timore che si sostituisca l’eroina con una “droga di stato”, ma così l’intervento risulta meno efficace.
Nel novembre del 1982, nove anni dopo il primo morto di overdose da eroina censito in Italia, esce, pubblicato dalla Nuova Italia Scientifica, un saggio dallo stranissimo titolo: Quei temerari sulle macchine volanti. Strano il titolo, perché non di un romanzo si tratta, bensì di un saggio, scritto da uno psichiatra molto noto all’opinione pubblica italiana per essere stato il primo a prendere sul serio il problema della cura dei “drogati”. L’autore del libro è, infatti, Luigi Cancrini che, da



