Ci vorrà ancora quasi un anno prima che il “campo largo” del segretario Pd Enrico Letta venga messo alla prova alle elezioni politiche. Ma nel frattempo, Letta può iniziare a gustarsi un freddo piatto di vendetta nei confronti del suo arcinemico, Matteo Renzi. Diventato segretario del Pd nel marzo 2021, Letta ha dovuto affrontare due prove elettorali fino a ora: le comunali di ottobre, che avevano in palio città come Roma, Milano, Torino e Napoli, e quelle concluse con il ballottaggio di domenica, con città come Palermo, Genova e Verona. Per una strana ironia della sorte, sono esattamente le stesse città andate al voto durante la segreteria di Renzi, cinque anni fa e il confronto dei risultati sotto i due segretari è impietoso.

Il Pd perde

Il ricordo della tornata 2016, con le sconfitte a Roma, Torino e Napoli, è ancora fresco, ma non dà l’idea dell’entità della sconfitta di allora. Se confrontiamo il numero di capoluoghi strappati agli avversari e di quelli invece che il centrosinistra governava e ha perso dopo il voto, viene fuori un imbarazzante. Nel 2016 il centrosinistra a guida Pd ha preso Varese e Caserta, mentre ha perso Novara, Torino, Pordenone, Trieste, Savona, Grosseto, Roma, Isernia, Benevento, Crotone, Carbonia e Olbia. Dodici città perse per sole due conquistate.

L’anno dopo non ci sono sconfitte simboliche come Roma e Torino, ma la situazione non è migliore. Il centrosinistra perde Alessandria, Asti, Como, Monza, Genova, La Spezia, Pistoia, Rieti, L’Aquila e Oristano e conquista al centrodestra Cuneo, Lecce e Padova (ma in questa città, con il determinante appoggio della sinistra ostile al Pd di Renzi). La battaglia finisce così dieci a tre.

La sconfitta

Il centrosinistra è stato penalizzato dalle profonde divisioni che lo hanno caratterizzato nell’ultima fase della segreteria Renzi. In città come Verona, il Pd finisce addirittura fuori dal ballottaggio, in parte proprio per il boicottaggio dei candidati renziani messo in pratica da una parte della sinistra.

Renzi aveva conquistato il partito alle primarie del dicembre 2013 e meno di tre mesi dopo aveva dato il ben servito proprio a Letta, all’epoca presidente del Consiglio a cui Renzi aveva garantito di poter «stare sereno». Tanto abile a scalare rapidamente il partito, Renzi  si è dimostrato presto molto meno capace di tenerlo unito. Dopo un 2014 trascorso in stato di grazia per via del 40 per cento ottenuto alle Europee, l’unità del partito e del centrosinistra più in generale finisce in pezzi con l’approvazione delle sue riforme più controverse, come il Jobs act e la Buona scuola, per la sua gestione iper-accentrante del partito e poi, definitivamente, dopo la lunga e amara campagna per il referendum costituzionale. La scissione di parte del Pd nel febbraio 2017 sancisce formalmente una separazione che era già nei fatti e che il centrosinistra paga caro soprattutto alle elezioni locali.

Il Pd vince

Ci vorrà la sconfitta alle politiche del 2018 per sancire la fine del percorso di Renzi nel Pd. Gli succede per primo il presidente del Lazio Nicola Zingaretti, ma quando arriva il momento di rivotare nelle città della stagione renziana c’è un nuovo cambio della guardia. La linea del partito, campo largo e inclusione, rimane la stessa, ma ora sarà Letta a doversi misurare con i risultati di Renzi.

Nel 2016, il bilancio era finito con dodici capoluoghi persi e due conquistati. Cinque anni dopo, nell’ottobre scorso, finisce con zero capoluoghi persi e sette riconquistati: Torino, Savona, Roma, Isernia, Napoli, Cosenza e Carbonia.

Nel 2017 era finito dieci capoluoghi a tre, mentre la scorsa settimana la tornata si è conclusa con due città perse, Palermo e Lucca, e sei riconquistate: Alessandria, Lodi, Monza, Verona, Parma e Piacenza.

Italia Viva (in)decisiva

Forse altrettanto bruciante per Renzi è il fatto che alle ultime due tornate amministrative il suo partito ha mancato anche l’obiettivo di essere l’ago della bilancia. Come ha ricordato il sito di factchecking Pagella Politica, alle comunali di giugno su 13 città in cui il sindaco è stato eletto al primo turno, in otto Iv non è stata determinante e in altre cinque non si è nemmeno presentata. Discorso simile per le elezioni dello scorso ottobre. A Milano, Napoli e Bologna, i voti di Iv sono stati ininfluenti per determinare la vittoria dei sindaci di centrosinistra al primo turno.

 

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