Amico e alleato di entrambi, ma ospite problematico per Giorgia Meloni, che infatti si riserva di rifilarlo a Matteo Salvini: in quale famiglia politica europea troverà asilo l’autocrate ungherese Viktor Orbán è tra i nodi che la premier italiana e il leader leghista si ritrovano sul tavolo nell’incontro sulle europee di questa settimana e in quelli che seguiranno attorno al voto di giugno.

«Da noi nessuno ha mai abbandonato un amico in difficoltà», come ha detto Matteo Salvini domenica al raduno fiorentino dei sovranisti, incassando a distanza il plauso di Orbán. Quale collocazione europea troverà Fidesz, il partito del premier ungherese, nel 2024 dipende anzitutto dalla destra italiana. Questo destino si intreccia in parte con le sorti dell’estrema destra romena di Aur. Anche se una decisione ufficiale verrà presa verosimilmente dopo il voto di giugno, le manovre in corso tra le destre ungherese e nostrana indicano qual è la strada intrapresa. E suggeriscono una considerazione: mentre Ursula von der Leyen fa le ennesime concessioni all’autocrate, Charles Michel negozia ed Emmanuel Macron offre l’ennesimo incontro di compromesso a Orbán, in realtà la vera leva negoziale non l’avrebbe l’Eliseo bensì palazzo Chigi. Il punto è se intenda usarla.

Una famiglia per Orbán

L’autocrate ungherese cerca casa in Europa perché nel 2021 si è consumata la rottura coi popolari europei e l’iniziativa di unire le destre estreme europee – i conservatori (Ecr) di Meloni e i sovranisti (Id) con la Lega – è fallita, boicottata peraltro da Meloni stessa, che in cambio ha ottenuto l’alleanza tattica col Ppe.

Fidesz non può rimanere isolato in eterno, anche se questa condizione riflette al momento quella del leader ungherese, sempre che una rivalsa delle destre – a cominciare da Donald Trump – nel 2024 non lo rianimi. Orbán punta a infilarsi tra i conservatori.

Gli azionisti di maggioranza di Ecr – sia FdI che il Pis polacco – non hanno mai interrotto il dialogo con la destra ungherese, ma con la guerra in Ucraina (e con le posizioni filorusse orbaniane) hanno dovuto dissimularlo.

Un varco di opportunità è stato ventilato a Orbán quest’autunno, quando Meloni è tornata a metterci la faccia, con un viaggio a Budapest, e il Pis ha promesso agli ungheresi di riparlarne dopo le elezioni polacche.

Arriviamo così a oggi. «Siamo ancora fermi là», dice a Domani il capodelegazione di FdI all’Europarlamento: «C’è un dialogo fra i due premier, noi tendenzialmente vorremmo riportare Orbán a ovest, ma la cosa più probabile è che si decida dopo le elezioni», in base al grado di vicinanza che i meloniani stabiliranno coi popolari.

La chiave del rebus

Se Meloni si deve avvicinare al Ppe – che con Orbán ha rotto – allora può far gioco che Fidesz entri nella famiglia sovranista (Id) assieme a Salvini, che peraltro al premier ungherese non ha mai negato i selfie, neppure a guerra appena deflagrata. Il tweet orbaniano di plauso per l’evento fiorentino è un segnale in tal senso; e così lo schema per Meloni torna, visto che vuol trasformare Id in un purgatorio per destre ancora non normalizzate.

Un’altra conferma indiretta arriva dalle sorti dell’estrema destra romena di Aur, che a detta dei capidelegazione in Europa di Lega e Fdi sono incompatibili con le sorti di Orbán, non per lontananza dal modello orbaniano ma per questioni di reciproche propagande nazionaliste e di minoranze ungheresi in Transilvania: dove va Aur non va Fidesz, e viceversa.

Al momento i romeni ambiscono a Ecr, anche se pure la Lega li corteggia, in vista del loro successo elettorale. Il leader romeno George Simion dice a Domani che «come mi ha insegnato mio nonno, quando sei l’ultimo arrivato devi vedere come si muovono i più esperti». Il motivo per il quale non è stato ancora ufficializzato dove si collocherà Aur, è che la decisione è appaiata a quella su Fidesz: si vedrà con le europee. Ma il tema è già oggi nei negoziati di Meloni e Salvini.

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