A destra nulla di nuovo. Si conferma la presa di Giorgia Meloni sull’elettorato di provenienza forzista e salviniana, grazie anche al suo imperversare sui tanti media a lei devoti e succubi, e, al contempo, la tenuta di Forza Italia e della Lega. Su quest’ultimo partito sarebbe meglio evitare di intonare un de profundis. Intanto perché non si capisce bene per quale motivo si consideri una sconfitta il 9% ottenuto domenica quando alle politiche di due anni fa aveva raccolto una cifra simile, anzi, inferiore di qualche decimale.

Certo il confronto con le precedenti europee sarebbe impietoso visto l’exploit del 34%, ma allora anche il successo del Pd andrebbe ridimensionato e si dovrebbe parlare di un trionfo spettacolare di FdI visto che è passato dal 6 al 29%. Quindi, meglio attendere gli eventi per pronosticare un futuro amaro al Carroccio, e vedere le scelte dei popolarissimi presidenti di regione di Veneto e Friuli (la Lombardia è un altro discorso…). Quando scenderanno in campo a livello regionale o nazionale Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, Fratelli d’Italia non potrà più maramaldeggiare le truppe leghiste come ha fatto negli ultimi due anni. Il ruolo delle figure di leadership conta, e non solo per Meloni.

In queste elezioni, grazie al voto di preferenza, è emerso quanto le sorti delle varie formazioni partiti siano legate a chi ha capacità attrattive personali tali da fornire un valore aggiunto alla lista di partito. Ciò è particolarmente evidente al Sud dove, in connessione con una tradizione di personalizzazione della politica e di conseguente, ampio, utilizzo del voto di preferenza, alcuni candidati hanno trascinato i rispettivi partiti ad ottimi risultati.

Un caso, il più eclatante, rimanda all’ex sindaco di Bari, Antonio de Caro, recordman democratico di consensi (quasi mezzo milione) nella circoscrizione Sud; un altro, pur di tono minore, riguarda il candidato forzista palermitano Edmondo Tamajo, che con il suo traino ha consentito al partito di collocarsi al primo posto nell’Isola. Due casi molti diversi ma sintomatici di quanto le personalità e le capacità di intessere relazioni influiscano sul risultato finale.

Per il Pd si tratta di una risorsa inesplorata. Sia perché gli ex-comunisti privilegiavano ancora l’immagine di marca, il partito, piuttosto che i suoi candidati, sia perché gli ex-democristiani avevano qualche remora a ripercorre sentieri spesso annebbiati da modalità e relazioni problematiche e non commendevoli. Ma ora il politico di appeal, con un forte radicamento locale, costituisce un fattore propulsivo. Se lo è stato il presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e a maggior ragione Antonio De Caro, potrebbe valere in un prossimo futuro per il campano Vincenzo De Luca.

Il balzo in avanti compiuto dal Pd nel Sud, dove in passato faticava a tenere il passo con i consensi nelle altre regioni, è stato propiziato da personalità ben radicate territorialmente. Nel Mezzogiorno i veicoli del successo passano anche dalla presenza di queste figure. E il Pd ne ha bisogno perché, per vincere deve sfondare al Sud in quanto quest’area geopolitica è sempre stata il terreno cruciale della competizione politica, il luogo dove si decidevano le sorti elettorali.

Se a destra nulla di nuovo, a sinistra, o meglio al di fuori della destra, è intervenuto un piccolo terremoto. I quattro punti scarsi che separavano Pd da M5s nel 2022, sono divenuti 14: un baratro, con conseguenze destabilizzanti. I Cinque Stelle entreranno in una fase di turbolenza interna dalla quale non si sa bene come usciranno: più dialogici e disponibili a collaborare con il Pd o più introflessi, irrigiditi nella ricerca di uno spazio autonomo a costo di isolarsi e perdere altri pezzi? E i centristi, vagheggeranno ancora ruoli da king maker o decideranno finalmente da che parte stare?

In questo caso, andranno convintamente a sinistra? Tutte incognite che rendono la costruzione di una coalizione alternativa una impresa difficile e non per il domani. Per ora, l’unico alleato sicuro del Pd è l’ AVS di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Un po’ poco per da vita ad una alternativa. Il percorso è quindi lungo anche se la strada intrapresa da Elly Schlein è quella giusta: dialogo con tutti, senza arroganza, per un programma di giustizia sociale alternativo alla destra.

© Riproduzione riservata