Operazione Barbarossa. Nome in codice, neanche tanto creativo, per identificare l’invasione tedesca dell’Unione sovietica, lanciata dalle truppe militari naziste. Nel giugno del 1941 quando parte il tentativo di occupare parte dell’Urrs, la Wehrmacht sovrasta l’Europa, il criminale disegno hitleriano appare solido, forte, capace di dominare il vecchio continente, direttamente o tramite regimi fascisti alleati, dalla Norvegia alla Sicilia, dal Portogallo agli Urali.

In quelle stesse settimane nell’isola di Ventotene, nel mar Tirreno non lontano dal golfo di Napoli, scelta dal regime di Mussolini quale sede di uno dei confini della rete carceraria dove tenere prigionieri avversari politici ed intellettuali dissidenti, si scrive, letteralmente, la storia futura dell’Europa.

Dalle trincee alla cooperazione

Le pagine più tetre dell’Europa e dell’umanità sono coeve del disegno di riscatto, di pace, di emancipazione. L’apice della catastrofe militare, del genocidio degli ebrei, la Shoah, i lager, le deportazioni. Eppure, su una roccia nel cuore del Mediterraneo germoglia il seme per costruire un continente pacificato, pacifico, frutto di unione di paesi non nemici, ma solidali, cooperatori e protagonisti di una stagione che chiuda con il passato delle guerre, con le contrapposizioni e le dispute territoriali.

Una prospettiva aperta al dialogo, al confronto, all’integrazione, incline alla strutturazione di un’entità sovranazionale che aggreghi stati di dimensioni mediamente piccole facendone un attore internazionale in grado di giocare un ruolo politico rilevante sul piano geopolitico internazionale, in ambito economico, sociale, politico, commerciale e in prospettiva anche militare.

L’Europa non più luogo del limes, del confine sanguinante, dei cavalli di frisia posti a tutela del territorio nazionale, non più dei piccoli staterelli in perenne conflitto tra loro perché troppo simili per dividersi del tutto, ma diversi e con tradizioni solide come impedimento per aggregarsi, fino ad arrivare al luogo della costruzione del nuovo mondo. L’Europa epilogo di unione di piccole forze, per stabilire una nuova entità territoriale ed istituzionale più ambiziosa e solida.

Altiero Spinelli, l’Europa

Il “Mosé d’Europa”. Altiero Spinelli, nella sua poliedrica, prolifica ed eclettica vita politica è rimasto nella storia per il suo lungimirante pensiero sull’Europa, dell’Europa e per l’Europa. Il Manifesto, probabilmente la sua opera più conosciuta, o meglio più citata, non è il solo contributo, sebbene quello più elevato che Spinelli ha fornito nel progetto dell’Europa federale. Spinelli ha rappresentato oltre mezzo secolo della storia europea del prima e dopo la Seconda guerra mondiale, ed è stato uno dei principali artefici del rilancio della prospettiva unitaria e ne è stato attore protagonista.

Una personalità complessa e multiforme, motivata e animata dalla passione politica, sin da giovane. Allorché Spinelli aderisce al Partito comunista, più che al suo ideale tout-court, al fine di acquisire un ruolo e giocare un ruolo politico per cambiare il mondo. Da parlamentare europeo, eletto quale “indipendente” tra le fila del Pci, ebbe a ricordare: «Sono probabilmente l’unico ad essersene andato dal Pci per la mia strada, e ritrovare che esso si è messo proprio sulla strada aperta da me, e mi corre dietro». Prese anche le distanze dall’ortodossia di Stalin e dalle purghe politiche del regime sovietico, e di quel giacobinismo rivoluzionario che vedeva quale ostacolo al pensiero federalista.

Quella posizione eterodossa gli era in realtà valsa l’espulsione dal partito (1937), accusato di trockismo. Poi, la fase della reclusione, arrestato a Milano nel 1927, durante il fascismo e il confino nell’arcipelago pontino, a Ponza e a Ventotene, dal 1939 al 1943.

La redazione del Manifesto nel 1941, anche grazie all’incontro con Ernesto Rossi e con Eugenio Colorni, “per un’Europa libera e unita”. Quel lavoro, quell’opera seminale, rappresentò una svolta nella vita di Spinelli, il quale dopo il 25 luglio del 1943 proseguì la sua azione federalista alla ricerca “nelle acque svizzere”. Spinelli era consapevole che solo un’organizzazione federale sarebbe stata capace di evitare altre catastrofi all’Europa e di farla entrate nel consesso internazionale.

La fondazione di un movimento politico trasversale ai partiti subito dopo la caduta di Mussolini e la liberazione dal confino, furono un passaggio decisivo e simbolico assai rilevante, anche perché il programma di tale movimento era proprio quello del Manifesto di Ventotene. A Ginevra Spinelli insieme a Rossi promosse la “Dichiarazione federalista” con i movimenti della Resistenza al nazifascismo nel 1945 a Parigi animò la prima Conferenza federalista europea.

Per un intero decennio, anche insieme a Ursula Hirschmann, Spinelli si mette alla «ricerca di uno spazio politico per il federalismo», fino a che la bocciatura del progetto per la costituzione della Comunità europea di difesa – per la quale Spinelli si era molto speso -, a causa del veto francese, pone un argine importante alla prima stagione di espansione dell’azione federalista.

Il cosiddetto “secondo manifesto federalista” (del 1956) serve per lanciare l’idea del “Congresso del popolo europeo” a Torino, al fine di smascherare i veri nemici dell’Europa ponendo in chiara antitesi le due strategie: l’Europa “dei popoli” contro l’Europa “dei governi”, ossia la prospettiva che diremmo intergovernativa. La consapevolezza del lungo e operoso lavoro per raggiungere l’Europa federale, dei molti nemici ed ostacoli che si sovrappongono, proprio perché “l’Europa non cade dal cielo”.

Dal parlamento alla società

Negli anni Settanta per Spinelli iniziò la fase istituzionale: da deputato alla Camera da indipendente per il Pci, tra il 1976 e il 1983; e analogamente europarlamentare eletto nel 1979 e nel 1984. L’attività editoriale è frenetica e prolifica; nel 1980 Spinelli lanciò la rivista Crocodile - Lettre aux Membres du Parlement européen, nel cui editoriale del primo numero illustrò il progetto e l’idea di una comune volontà dell’Europa.

Tra il 1970 e il 1976 ricoprì il ruolo di commissario (Affari industriali, ricerca e tecnologia) in tre diverse commissioni. Proprio alla difesa delle prerogative di Commissione e Parlamento Spinelli si dedicò attivamente al fine di salvaguardarne i poteri, da sottrarre ai famelici stati e ai loro governi. L’ultimo atto promosso fu il cosiddetto “Progetto Spinelli”, che, approvato nel 1984, mirava «a riequilibrare i rapporti tra Parlamento, Commissione e Consiglio dei ministri dell’Unione a favore dell’organo rappresentativo».

Per quanto non ratificato il “Progetto Spinelli” gettò le basi del Trattato sull’Unione europea” e molte delle riforme istituzionali in esso contenute saranno poi adottate nei successi trattati modificativi, a iniziare dall’Atto unico del 1986.

La proposta di un progetto costituzione per gli Stati Uniti d’Europa lanciata da Spinelli e approvata dal Parlamento europeo fu menomato dal Consiglio europeo, nel quale gli stati membri rigettarono il progetto di formazione di una confederazione europea. Spinelli era molto avanti con le sue idee, troppo per quei politici, per quella classe dirigente e per le condizioni della geopolitica contemporanea che imponeva una dose massiccia di realismo politico e di rispetto degli equilibri tra est e ovest per come stabiliti dalle due super potenze.

Ma nel Manifesto Spinelli, insieme ai suoi coautori, si spinge molto in avanti sul tema del federalismo e sul ruolo degli stati nazionali, per i quali ha chiaro in mente il ruolo di ostacolo, di vera e propria condizione vincolante ed esiziale per le sorti dell’Europa.

Spinelli individua proprio nell’afflato verso la libertà il germe delle civiltà moderna che però va in crisi, principalmente a causa della spinta nazionalista, “che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali”. Se da un lato la spinta degli individui a organizzarsi in comunità nazionali indipendenti era stata “un potente lievito di progresso”, con l’esasperazione del nazionalismo novecentesco quel disegno si era dimostrato declinante. E la volontà di dominio di ciascuno stato non si sarebbe potuta risolvere che “nell’egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.”

La fine del conflitto eliminò gli stati e i regimi totalitari dallo schema di gioco, ma immise sul terreno altri nemici del sogno di unità dell’Europa. Avversarsi, le forze conservatrici, di cui i redattori del Manifesto erano perfettamente e lucidamente consapevoli: “i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali; i quadri superiori delle forze armate […] gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza”.

Ostacoli e avversari di non poco conto, perché espressioni di istituzioni plurisecolari, insediate organizzativamente, ma anche culturalmente e ricche perciò di risorse. in particolare, scrive Spinelli, quelle forze faranno riferimento in modo strumentale al patriottismo per disvelare la loro natura ed opporsi alla spinta sovranazionale.

L’ostacolo, culturale, politico e organizzativo, il nodo gordiano da tagliare è chiarissimo: “il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”.

L’orizzonte federale quale soluzione al rancore nazionalista, alle divisioni, al rischio di ritorni di fiamma antagonista che dilaghi in Europa: “insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione”. L’Europa federale medicina analoga a quella che gli innumerevoli staterelli assunsero transitando nelle “più vaste unità nazionali”.

Il progetto Spinelli

Innovatore e ispiratore, il lavoro di Spinelli e del Manifesto ha avuto un impatto diretto e indiretto sul futuro dell’Europa. Un esempio è il “Progetto Spinelli”, o Trattato sull’Unione Europea che è stato elaborato al di là degli ambiti di diplomazia intergovernativa, ma prevalentemente all’interno del Parlamento. Innanzitutto, una prima cozza costituzionale, redatta nel 1990 da Valéry Giscard d’Estaing, il quale mantenne l’impegno per una costituzione europea anche da presidente della Convenzione europea nel 2002-2003.

Il Rapporto Herman del 1994 affermava nel preambolo che il Trattato di Maastricht non possedesse i requisiti della democrazia, non rendendo efficace l’Unione europea soprattutto sul piano istituzionale. La proposta è di convocare una Convenzione europea composta da parlamentari europei e nazionali incaricata di redigere il progetto di costituzione, proprio come larga parte delle indicazioni del Progetto di Trattato sull’Unione europea. Infatti, il Trattato di Maastricht istituì l’Unione Europea, ma senza conferirle personalità giuridica come invece previsto dall’articolo 6 del Progetto Spinelli.

Il principio di sussidiarietà, la cittadinanza dell’Unione europea, la procedura di codecisione e le indicazioni sull’equilibrio istituzionale sono alcune delle caratteristiche distintive del Progetto che riappaiono sia nel documento di Maastricht che, soprattutto, successivamente saranno riprese nei Trattati di Amsterdam, di Nizza e di Lisbona.

Altiero Spinelli ha dunque svolto una funzione e ha giocato un ruolo assai importante per la definizione di una «idea d’Europa» moderna, sperando, lottando e lavorando affinché gli stati nazionali e le loro ingombranti eredità si ritirassero cedendo progressivamente parte della loro sovranità. E perciò si potesse andare verso una federazione europea. Molto del Manifesto e di Spinelli, del suo Trattato rimangono all’interno dell’Europa e dell’Ue. Un pezzo di strada è stato coperto, un altro rimane da fare.

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