Lo scorso 27 aprile ho criticato i nostri partiti che, al parlamento europeo di Strasburgo, si sono opposti al nuovo Patto di stabilità e crescita (Psc); diversi commentatori hanno scritto qui di condividere, invece, quel voto.

Sento il dovere di meglio motivare la mia opinione, quando contrasta con economisti che sinceramente ritengo più titolati di me a vagliare il nuovo Patto.

Esso sostituirà quello vecchio – sospeso per Covid fino a fine 2023 – la cui grande complessità l’aveva ormai reso inutilizzabile.

Le critiche

Riassumo sommariamente le critiche al nuovo Psc. Rispetto al precedente sarebbe altrettanto complesso, ma peggiore. Partorita dal “trilogo” fra Commissione, Consiglio europeo e parlamento, la versione finale è peggiore anche della sua prima bozza, licenziata un anno fa. Essa prevedeva che la Commissione negoziasse con i paesi molto indebitati piani di rientro dal debito tagliati “su misura”, vigilando poi sulla loro attuazione.

Curiosamente, se in Italia alcuni temevano che una Commissione troppo potente avrebbe coartato i paesi “deboli”, quelli “forti”, Germania in testa, paventavano invece una Commissione tesa ad alleggerire agli stati più indebitati il peso del risanamento.

Ovviamente han prevalso i forti, che sono riusciti a limitare la discrezionalità della Commissione. Dopo un negoziato finale tra Francia e Germania – da cui la storia euroscettica del nostro governo ci ha escluso – Berlino ha imposto di snaturare la bozza della Commissione.

Compaiono così nuove “salvaguardie” per costringere Italia, Spagna, Francia, ecc. a ridurre il debito di almeno lo 0,5 per cento l’anno dopo un iniziale periodo di grazia. Nel vecchio sistema, però, il debito doveva calare del 5 per cento l’anno. I noti paletti su deficit e debito (rispettivamente al 3 e al 60 per cento del Pil) restano, ma come mete cui tendere, non come obiettivi inderogabili.

Anche il nuovo Psc tratta l’investimento come spesa corrente, con poche eccezioni per certi investimenti; ciò ostacolerà la transizione ecologica e gli auspicati investimenti in beni pubblici europei. Queste critiche inducono i commentatori su citati ad approvare il nostro voto contro il nuovo Psc.

Voto contrario

Condivido in genere tali critiche sotto l’aspetto tecnico, non la conclusione politica che se ne trae. Un punto va chiarito: non confondiamo il voto dell’opposizione con quello di chi, al governo a Roma, dopo aver approvato il nuovo Psc ha votato contro a Strasburgo. Se critico il Pd, sola opposizione vera, è perché non ha trovato il coraggio di elencare sì le carenze del nuovo Psc, votando però a favore.

Avrebbe dovuto farlo nell’interesse dell’integrazione europea. Questo Psc l’ha varato il trilogo, con l’approvazione unanime del Consiglio europeo; se anche si fosse voluto bocciarlo, in parlamento europeo non c’erano i numeri per farlo.

Non sarà Roma, col suo debito pubblico e con le grandi o piccole mance quotidiane del governo (destinate infallibilmente a farlo crescere), a mutare il corso degli eventi; non poteva farlo prima, tanto meno può farlo bocciando il nuovo Psc già da tutti approvato. Non si tratta di accodarsi a chi critica “i soliti italiani”, ma di realismo: il nostro voto ostacola il progresso della Ue.

A quei critici non può sfuggire la vera posta in palio: nell’Unione, da sempre gli strumenti tecnici servono a costruire un grande edificio politico, senza uguali nella storia moderna. Mi influenza forse l’essere stato, appena adolescente, già interessato alla politica quando nel 1957 fu firmato il Trattato di Roma, che tendeva verso un’unione sempre più stretta fra i sei fondatori; nutro ancora quell’emozione e quella speranza.

Da convinto assertore di una maggiore integrazione mi fa disperare che sia proprio il mio paese, il più indebitato nella Ue dopo la piccola Grecia, il solo a bocciare in blocco il nuovo Psc. Per di più lo fa per due motivi incompatibili: la maggioranza rifiuta lo sforzo di risanare i conti pubblici, vuole “meno Europa”, lo strilla perfino sui manifesti elettorali.

Il Pd invece vuole più Europa, più risorse e poteri al centro. La tragicomica sintesi la fa il M5s: non si sa se pensa qualcosa, comunque boccia il Mes, correndo in aiuto non richiesto al governo. Sulle orme di Montale, la sola certezza è «ciò che non vogliamo», cioè l’unico Psc su cui le istituzioni Ue han trovato alla fine un accordo; monco, sbilenco quanto si vuole, ma è un accordo. Esso passa comunque, a noi resta la soddisfazione di aver marcato il punto; purtroppo con uno spettacolare autogol.

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