Oggi in Ungheria Péter Márki-Zay, a nome di un blocco di sei partiti di opposizione, ha provato a sfilare al premier ungherese la guida del paese. Ma Fidesz rimane salda al potere. In questa diretta trovi i nostri focus e poi gli aggiornamenti in tempo reale dalla notte elettorale.


Risveglio brusco per l’Ue

Alle 3 chiudiamo questa diretta rimandandovi al pezzo di analisi conclusivo di questa notte elettorale, dove trovate anche gli ultimi risultati e il riepilogo dei punti salienti.

Risultati delle 23.30 e reazione dell’opposizione

Con circa quattro quinti dei voti scrutinati, è chiaro che il premier ungherese stravince queste elezioni. Secondo questi risultati, non finali ma rappresentativi, Fidesz ottiene 135 seggi su 199, sfonda quindi i due terzi e supera i 133 seggi della tornata precedente (2018). L’opposizione avrebbe 57 seggi.  

Nel suo discorso della sconfitta, Péter Márki-Zay dice di «aver fatto tutto il possibile e avere la coscienza pulita». Spiega la sconfitta con «una lotta impari», fa riferimento alla propaganda, alla mancanza di spazi pubblici. 

Il comizio della vittoria di Orbán

Alle 23 circa, il premier ungherese è ai piedi della Balna, sede della notte elettorale di Fidesz. Accolto con un’ovazione dai suoi supporter, come vedete dai video che ho registrato sul posto, non manca di lanciare un messaggio all’Unione europea.

«Forse non siamo mai stati belli come questa sera. Abbiamo ottenuto una vittoria enorme. Abbiamo vinto così tanto che può essere visto forse dalla luna, certamente da Bruxelles».

«Il messaggio all’Ue? Che siamo più forti»

Alla Balna, quartier generale di Fidesz, parla il suo braccio destro Zoltán Kovács, segretario di stato per le  relazioni internazionali. Giudica a dir poco «promettenti» i risultati usciti finora. Gli chiedo se interpreta questi risultati «promettenti» come un messaggio a Bruxelles. Mi risponde che è la prova che «siamo forti e quando rappresentiamo i nostri interessi ci sono gli ungheresi dietro». Si riferisce agli «interessi nazionali», dice. Questo voto rafforza le posizioni orbaniane nel contesto europeo, dice in sostanza Kovács.

Ore 22.30 – Lo sfidante sconfitto

Con oltre il 92 per cento di schede scrutinate, è ormai certo che Péter Márki-Zay è battuto da János Lázár, il candidato di Fidesz, nella contea di Csongrád Csanád, dove era candidato in parlamento. Incassa il 40 per cento mentre l’avversario orbaniano il 51,8 per cento. Sconfitta altamente simbolica anche perché in quest’area, a Hódmezővásárhely, il candidato premier dell’opposizione è stato eletto sindaco nel 2018.

Ore 21.40 – Risultati aggiornati

Con oltre il 40 per cento di schede scrutinate, si conferma l’ampio vantaggio di Fidesz. A sostegno del premier in carica, vanno per ora il 57 per cento di voti. All’opposizione il 31 per cento.

Márki-Zay perde anche nella sua contea

Nella circoscrizione elettorale – la contea di Csongrád Csanád  – dove è candidato in parlamento lo sfidante di Orbán, Péter Márki-Zay, risulta perdente allo stato attuale dell’ottanta per cento di voti scrutinati: prende il 40 per cento di voti contro il 51 per cento di János Lázár, candidato per Fidesz.

Primi risultati parziali 

Con il 23 per cento di schede scrutinate Fidesz sembra stravincere. I risultati parziali danno a Orbán quasi il sessanta per cento (59) dei voti. Un’amplissima maggioranza. L’opposizione, secondo questi primissimi risultati, non raggiunge il trenta per cento (28).

Il tema della larga maggioranza

Un punto politicamente rilevante è se Orbán mantiene, perde o sfonda la sua attuale maggioranza di due terzi del parlamento. Nel 2018 il premier ungherese si è garantito 133 seggi su 199. 

Quella soglia è significativa: finora ha consentito alla forza di governo di plasmare l’architettura istituzionale del paese. Nella primavera di undici anni fa – era l’aprile 2011 – con quella maggioranza viene approvata la nuova legge fondamentale. La precedente costituzione del 1949, dopo le modifiche del 1989, non era mai stata scardinata come invece il premier ha fatto. 

Orbán in vantaggio nelle prime proiezioni

Urne chiuse e primi exit poll – Ore 19

Alle ore 19 chiudono le urne e le principali società di sondaggi trasmettono i primi exit poll.

I luoghi di Orbán oggi

Mi trovo alla Bálna, ungherese per “la Balena”: questa struttura di vetro e acciaio, solitamente adibita a centro culturale e congressi, ricorda il ventre di una balena; ed è rivolta sul lungo fiume. Sono qui perché questo oggi è il luogo di Fidesz, il partito del premier. Da qui si può seguire la notte elettorale. Esiste ovviamente anche una “election night” dell’opposizione, ma cominciamo dalla roccaforte del premier. Ecco qualche immagine della “balena”, intanto i giornalisti ungheresi si assiepano qui in attesa del responso delle urne. Nelle story di Instagram dal profilo di Domani trovi un piccolo video dalla Bálna.

L’affluenza e le tendenze – Ore 17

Le urne chiudono alle 19. L’affluenza può comunque darci qualche indicazione sugli esiti della tornata elettorale. Alle 17 di oggi il numero di ungheresi che si sono recati alle urne è quasi identico al 2018 (le elezioni precedenti): il 62,9 per cento oggi, il 63,2 quattro anni fa. All’incirca il 63 per cento come allora. Ma una indicazione ci arriva dalla distribuzione di voti nelle varie località. Mentre l’opposizione ha ottime chance nella capitale, nelle cittadine rurali Fidesz ha una base elettorale solida. Gli analisti notano che c’è una particolare partecipazione proprio qui, nei villaggi. Questo può far supporre un vantaggio per il partito del premier.

Il team di Atlo nota che «i nuovi elettori sono di più rispetto alla tornata precedente». Puoi trovare questa visualizzazione dati qui.


Guida a un voto cruciale per tutta Europa

Domenica 3 aprile gli ungheresi scelgono se mantenere Viktor Orbán alla guida del paese oppure puntare sull’alternativa, e scegliere Péter Márki-Zay. Per la prima volta a sfidare l’attuale premier c’è un fronte di opposizione unito. Viktor Orbán è diventato sempre più il grimaldello di Vladimir Putin nell’Unione europea, e ha aperto anche a Pechino, mentre il suo contendente è saldamente ancorato a Washington oltre che a Bruxelles. In queste elezioni c’è in gioco una visione di Europa e del mondo, oltre che dell’Ungheria.

Dalla sua parte, lo sfidante ha uno stile populista e un passato da elettore di Fidesz che può piacere agli orbaniani delusi. Ma l’attuale premier ha un intero sistema orientato a suo favore. Guida a un voto cruciale.

Le elezioni “anomale” e le due missioni elettorali

I sondaggi recenti registrano un margine di distanza di pochi punti percentuali tra il premier, in vantaggio, e il leader dell’opposizione unita, Péter Márki-Zay. Orbán ha dalla sua parte un sistema plasmato a suo favore. Il potere e i media sono ben saldi nelle sue mani, il voto degli ungheresi che vivono all’estero si svolge in situazioni anomale e tutto questo porta l’Osce a monitorale le elezioni ungheresi.

Come Donald Trump, di cui è sempre stato sostenitore e che avrebbe voluto a Budapest per la sua campagna, il premier ungherese avrà una sua narrativa sull’andamento delle elezioni. Sta già costruendo la sua realtà parallela, e ha anche la sua missione elettorale alternativa. Per imbastirla si appoggia a una rete internazionale che passa per gli ultraconservatori di Washington, così come per gli ambienti della destra italiana, gli antiabortisti di Varsavia e altre capitali europee, fino a lambire con le varie connessioni anche Mosca. Per approfondire leggi qui. 

Il fronte dell’opposizione e la vocazione europeista

Viktor Orbán non ha creato solo il proprio potere, ma anche il principio della sua fine. Pur di batterlo, destra e sinistra si sono unite, e unite sventolano la bandiera europea nel giorno del voto ungherese. La guerra rende evidente che questo voto non è un bivio solo per gli ungheresi, ma per tutta Europa. «Il sistema di Orbán è difficile da battere», dice l’uomo che oggi prova a strappargli la premiership, Péter Márki-Zay. Il controllo di Orbán si estende dai media all’accademia, fino a spese e manifesti elettorali. «Ma le chance non sono mai state così alte: c’è tutto lo spettro politico, contro di lui». Ci sono i giovani come András Jámbor, il volto più a sinistra dell’opposizione, che ha in tasca la vittoria nell’ottavo distretto di Budapest e l’ha conquistata sul terreno. E c’è la destra, una volta estrema, di Jobbik, che si ripensa europea con Brenner Koloman. Leggi il reportage da Budapest.

Chi è Péter Márki-Zay, lo sfidante di Orbán

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Quando ha partecipato alle primarie di opposizione, tra gli intellettuali c’è chi ha riso di lui, tra i sondaggisti chi lo dava per perso, tra gli osservatori chi lo ha scambiato per il populista del villaggio baciato dalla fortuna. Péter Márki-Zay è tutto tranne questo. Ha costruito con sapienza, e coi viaggi negli Usa, il suo successo. Nel 2018 ha strappato a Fidesz una roccaforte, nel 2019 era a Washington a tessere rapporti politici, dagli americani ha appreso anche la strategia comunicativa. Lo stile populista e anticorruzione ha funzionato alle primarie. Gli argomenti da conservatore, ed ex elettore di Fidesz, possono rubare elettori a Orbán nella sfida finale. Il premier lo sa; e lo teme. Qui trovi un suo ritratto approfondito.

Il ruolo della guerra in Ucraina nella campagna elettorale di Orbán

Ci sono due nomi che negli ultimi giorni di campagna elettorale Viktor Orbán ha rifiutato di pronunciare. Uno è quello del suo avversario alle elezioni di domenica. Péter Márki-Zay è il candidato premier, europeista e filo-occidentale, di un’opposizione unita dalla volontà di spodestare il leader di Fidesz. L’altro nome rimosso, per motivi opposti, è quello di Vladimir Putin, con il quale Orbán ha da molti anni un sodalizio di interesse.

Ora che la guerra rende il legame difficile da sostenere, il premier ungherese fa ciò che gli riesce meglio: l’equilibrista. Allineato nei consessi europei quanto basta per non restare isolato, ma abbastanza ondivago con Putin da mantenere una sintonia: è una «strategia doppia», dice lo studioso Daniel Hegedus.

La propaganda elettorale orbaniana non contempla riferimenti a Putin l’aggressore, mentre gli affondi contro l’Ue non mancano: agli elettori il premier vende il solito nemico, Bruxelles, per non confondere la base. Il punto su cui resta lineare è la determinazione a mantenere il potere. Qui l’approfondimento.

Il referendum anti lgbt voluto dal premier

Il 3 aprile in Ungheria non si vota solo per le elezioni parlamentari, ma anche per un “referendum” anti lgbt voluto da Orbán. In realtà è costruito come un sondaggio di opinione: non serve ad abrogare nessuna legge, semmai consolida una legge omofoba già in vigore dall’estate scorsa e sulla quale l’Ue ha avviato una procedura di infrazione. La comunità lgbt è l’ennesimo bersaglio del premier ungherese, che già nel 2016 ha avviato un referendum anti migranti e che ispirandosi a Russia e Polonia ha individuato proprio nei temi lgbt la sua nuova crociata politica. L’obiettivo è anche quello di creare fratture nel campo dell’opposizione, un fronte politicamente unito ma composto da molte anime diverse. L’effetto delle iniziative omofobe del premier, dicono gli attivisti per i diritti a Budapest, è quello di creare un clima di paura e autocensura.

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