Prende corpo l’ipotesi di un altro round di negoziati in Turchia, mentre 367 bombe russe sono piovute su Kiev nella notte tra sabato e domenica, simbolicamente alla vigilia dell’anniversario della fondazione della città: 12 morti (tra cui bambini) e 30 feriti. Per la Bild i leader europei sono “scioccati” dalla svolta del presidente Usa con Putin. Scambio di prigionieri concluso
I colloqui sono iniziati, ma l’atmosfera che si respira non è certo quella di una distensione diplomatica. I 367 ordigni, tra cui 298 missili e 69 droni, piovuti su Kiev nella notte tra sabato e domenica – simbolicamente, alla vigilia dell’anniversario della fondazione della città – rappresentano uno dei peggiori attacchi dall’inizio dell’invasione russa, costato la vita ad almeno 12 persone, tra cui bambini, e che ha causato oltre 30 feriti.
Per contro, il comandante della divisione di difesa aerea, Yuri Dashkin, ha reso noto che lo scorso 20 maggio il presidente Vladimir Putin, durante la sua visita nei territori del Kursk, è stato l’epicentro, con il suo elicottero, di un massiccio attacco di droni ucraini, che però è stato respinto. La tensione, insomma, a dispetto dell’apertura di un canale diretto tra le due parti, resta altissima. Sul fronte diplomatico, però, si registrano anche novità positive.
Lo scambio di prigionieri
Si è concluso infatti, con l’ultima tranche da 303 prigionieri, lo scambio di prigionieri “mille per mille” tra Kiev e Mosca concordato a Istanbul lo scorso 16 maggio. E proprio a Istanbul dovrebbe tenersi un nuovo round di negoziati diretti tra Russia e Ucraina, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass.
«Il Vaticano non diventerà sicuramente una sede dell'incontro per una serie di motivi, tra cui quelli logistici», ha affermato una fonte all’agenzia russa, una dichiarazione che fa eco a quanto detto dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che aveva definito la possibilità di colloqui nella Santa Sede “irrealistica”. Dall’Ucraina, intanto, fanno sapere di essere già al lavoro per un nuovo scambio di prigionieri, dopo che dall’inizio del conflitto sono già 5.757 i combattenti, ucraini e non, rientrati dalla Russia. Da Mosca, almeno stando alle parole del viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin, ci si aspetta che «lo scambio di prigionieri su larga scala faciliti la creazione di un clima favorevole per la discussione».
Nonostante ciò, nessuno sembra confidare in una rapida risoluzione della guerra. Lo ha ribadito anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che oltre a «condannare con fermezza» il nuovo attacco russo sui civili, ha affermato che nonostante lo scambio di prigionieri sia «un segnale positivo», non bisogna illudersi in quanto «la guerra non finirà in tempi brevi».
«Gli attacchi dimostrano ancora una volta la determinazione della Russia a causare ulteriori sofferenze e ad annientare l'Ucraina», ha invece affermato l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, che poi ha aggiunto come ci sia «bisogno della più forte pressione internazionale sulla Russia affinché fermi questa guerra». Se il destinatario di questo messaggio non è apertamente esplicitato, ci ha pensato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a renderlo chiaro: «il silenzio dell'America, il silenzio di altri nel mondo non fanno che incoraggiare Putin». E anche se per Zelensky «ognuno di questi attacchi terroristi russi è ragione sufficiente per nuove sanzioni contro la Russia», sembrano ormai lontani i tempi in cui il presidente statunitense, Donald Trump, annunciava che avrebbe messo fine alla guerra entro 24 ore dal suo insediamento.
La svolta di Trump
Perfino la minaccia di nuove e più dure sanzioni nei confronti della Russia, nel caso in cui non avesse accettato la tregua di 30 giorni concordata tra Washington e Kiev, sembra svanita nel nulla. Un articolo pubblicato da Bild nei giorni scorsi aggiunge dettagli sullo smarrimento dei leader europei dopo quella che viene definita la “svolta di Trump”, ovvero il colloquio telefonico con cui il presidente Usa ha informato Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen, Friedrich Merz, Emmanuel Macron e il presidente finlandese, Alexander Stubb, della lunga discussione avuta con Vladimir Putin lo scorso lunedì 19 maggio. Secondo quanto riferito a Bild, Merz sarebbe stato “scioccato” dall’inversione a 180° di Trump, e «tutti hanno trattenuto il respiro» mentre il presidente Usa annunciava che, in sostanza, dato che ormai il canale diretto tra Russia e Ucraina era aperto, gli Usa si sarebbero tirati fuori dai negoziati. Trump inoltre non avrebbe più insistito sulla tregua di 30 giorni, e avrebbe affermato di non volerne più sapere delle sanzioni sulla Russia.
Sarebbe stato proprio Merz, sempre secondo Bild, a proporre una riunione tecnica, un incontro tra i negoziatori per preparare i prossimi colloqui di pace tra Kiev e Mosca, che Trump avrebbe accettato per rassicurare gli europei. Resta un’incognita: se il disimpegno “diplomatico” Usa dovesse significare anche l’interruzione del sostegno militare a Kiev, o anche solo il venir meno della condivisione di informazioni d’intelligence o del sistema di comunicazione Starlink, si tratterebbe di un colpo a cui gli alleati europei non potrebbero sopperire nemmeno con il massimo delle loro disponibilità – e le probabilità che tutti siano disposti a metterle in campo non è delle più alte.
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