Conflitto di interessi, interferenze estere nella politica comunitaria e tradimento dei più alti interessi dell’Unione europea. Sono queste le accuse rivolte all’europarlamentare svedese Jörgen Warborn, membro del gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) e relatore della normativa Omnibus I, approvata martedì dall’Eurocamera, in due distinti reclami presentati da un gruppo di ong al Comitato consultivo sulla condotta dei membri del Parlamento Ue.

«Abbiamo presentato un reclamo perché c’è un conflitto di interessi», ha detto a Domani Swann Bommier, direttore per le attività istituzionali dell’ong francese Bloom, che ha presentato uno dei due esposti il 15 dicembre. «Quando ha preso l’incarico di relatore, [Warborn] non ha dichiarato di essere il presidente di un’organizzazione di lobby, che non sappiamo da chi sia finanziata, perché su questo non c’è trasparenza in Europa».

L’altro reclamo, presentato sempre il 15 dicembre, è a firma di dieci organizzazioni, tra cui Transparency International, Corporate Europe Observatory e Friends of the Earth. «Ora spetta al Parlamento dare l’esempio, indagare e sanzionare adeguatamente quello che sembra essere l’ennesimo caso di un eurodeputato intrappolato tra i propri interessi e quelli del pubblico», ha detto Shari Hinds, referente per l’Integrità politica di Transparency International.

Entrambi i reclami accusano l’europarlamentare svedese di non aver dichiarato di essere direttore della “Small and Medium Entrepreneurs of Europe” (SME Europe), organizzazione iscritta al registro europeo per la trasparenza come entità di lobby. Il documento presentato da Bloom, inoltre, accusa Warborn di aver intrattenuto rapporti con un gruppo di multinazionali, prevalentemente statunitensi, e di aver attuato negli ultimi mesi la loro strategia per ottenere l’approvazione del pacchetto Omnibus I, una serie di misure che avranno un forte impatto proprio sulle attività delle multinazionali che operano nell’Unione.

Warborn ha replicato dicendosi sorpreso: «Sono presidente di questa organizzazione da diverso tempo», ha detto durante una conferenza stampa martedì, sostenendo che Sme Europe «è un’organizzazione affiliata con Epp», e pertanto non esiste un conflitto di interesse. «Non abbiamo singole aziende che sono membri di Sme», ha detto.

La tutela dei diritti

Il pacchetto Omnibus I, presentato dalla Commissione Ue a febbraio e approvato martedì dal Parlamento, racchiude una serie di interventi che – secondo la Commissione – mirerebbero alla “semplificazione” di alcune normative cardine in materia di responsabilità sociale e ambientale delle aziende che operano nell’Unione.

La serie di proposte è stata oggetto di controversie, perché di fatto riduce l’applicazione di norme che obbligano le aziende a verificare le condizioni di lavoro dei propri fornitori, anche in caso di produzioni delocalizzate, e impongono l’adozione di una strategia di riduzione delle emissioni dei gas serra in linea con l’accordo sul clima di Parigi.

Queste normative traggono le loro radici da episodi tragici del passato, come il disastro del Rana Plaza, in Bangladesh, in cui morirono 1138 persone e ne rimasero ferite oltre 2500 che lavoravano a una produzione tessile delocalizzata, o da vicende più attuali, come quella dello sfruttamento della popolazione uigura nella regione cinese dello Xinjiang.

Il pacchetto Omnibus I ne riduce l’effettiva applicazione: solo le aziende con oltre mille impiegati e ricavi sopra i 450 milioni di euro dovranno fare la rendicontazione sociale e ambientale, mentre gli obblighi di applicare la “due diligence” nell’uso dei fornitori si applicheranno solo dal 2029 e solo alle aziende con oltre 5mila dipendenti e un fatturato di 1,5 miliardi di euro.

Le conseguenze

La portata di queste modifiche ha sollevato un dibattito che ha coinvolto avvocati e giuristi, legato all’utilizzo dello strumento Omnibus: un modo rapido per apportare modifiche, storicamente riservato a interventi di ridotta entità, per armonizzare e semplificare le normative europee. Lo scorso 27 novembre anche l’ombudsman europeo Teresa Anjinho ha definito la vicenda un caso di «malamministrazione» da parte della Commissione europea.

«Questa prima proposta Omnibus ha fondamentalmente rivoluzionato il modo in cui la Commissione prepara le proprie proposte legislative», ha detto a Domani Alberto Alemanno, esperto di diritto comunitario della Business School Hec Paris. Secondo Alemanno, questo approccio ha permesso alla Commissione di saltare passaggi del normale iter decisionale e legislativo, come le consultazioni pubbliche, o l’analisi dell’impatto ambientale e sociale.

«Da giurista e anche da attivista sulla trasparenza sono molto preoccupato», ha detto Alemanno, riferendosi a altri otto pacchetti Omnibus già pronti per modificare altrettante normative europee, a partire dalla regolazione del digitale e dell’intelligenza artificiale. «I grandi vincitori sono le imprese non europee, che avranno un accesso al mercato europeo particolarmente favorevole», ha detto.

Warborn martedì ha invece commentato l’approvazione del pacchetto Omnibus I come «una riduzione di costi storica», che permetterà alle imprese europee di risparmiare in burocrazia e guadagnare terreno in competitività.

Senz’altro storico è il modo in cui è stato votato il pacchetto, grazie a un’inedita maggioranza dei partiti di destra e di estrema destra. L’alleanza tra il Ppe con gruppi come i Patriots for Europe (PfE), di cui fanno parte il Rassemblement National di Marine Le Pen e la Lega, e l’Europe of Sovereign Nations (Esn), di cui fa parte il partito di estrema destra tedesco AfD, è stata annunciata a ottobre dallo stesso Warborn, che su Linkedin ha celebrato «una chiara maggioranza» finalmente raggiunta.

L’ingerenza Usa

L’approvazione di Omnibus I grazie all’inedita alleanza tra destra e estrema destra europea è uno degli elementi messi nero su bianco nella strategia di un gruppo di aziende, prevalentemente statunitensi e del settore fossile, chiamato “Competitiveness Roundtable”.

Di questo gruppo di interesse e delle aziende coinvolte si è venuti a conoscenza solo a inizio dicembre, grazie a dei documenti confidenziali fatti trapelare dalla ong olandese SOMO, che rivelano come Exxon Mobil, Chevron, Koch, Dow e la francese Total, abbiano unito gli sforzi insieme ad altri con lo scopo di affossare proprio le normative europee sulla responsabilità sociale e ambientale, come poi effettivamente avvenuto.

L’operato di questa lobby è anch’esso oggetto del reclamo di Bloom contro Warborn, accusato di essere stato esecutore di tutti i punti di quella strategia. «Warborn li ha incontrati ad aprile, poche settimane dopo aver preso il ruolo di relatore», afferma Bommier. Il portavoce di Bloom si riferisce a un incontro avvenuto a Bruxelles il 14 aprile tra l’europarlamentare e Teneo, un’azienda di pubbliche relazioni Usa che poi si scoprirà – grazie alle rivelazioni di SOMO – essere portavoce della coalizione di aziende.

Warborn non ha risposto a una nostra richiesta di commento sui suoi legami con questo gruppo di interesse, ma ha descritto i reclami contro di lui come dettati da una motivazione politica, «da parte di gruppi di interesse insoddisfatti dalla votazione del Parlamento europeo» in merito alla proposta Omnibus.

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