Il pressing dei colossi del digitale spalleggiati da Trump sta dando i suoi risultati sul fronte dell’Ai Act, del Digital Networks Act e sull’Omnibus digitale. La Commissione europea continua ad aprire indagini e ad annunciare sanzioni, ma molte restano sulla carta
Un colpo al cerchio e uno alla botte. Da un lato la Commissione europea rivede al ribasso i dossier strategici sul digitale – dall’Ai Act al Digital Networks Act fino all’Omnibus – con continui aggiustamenti e posticipi sull’entrata in vigore delle misure più stringenti, a tutto vantaggio delle big tech americane (il pressing di Trump su Bruxelles sta sortendo i suoi effetti come non mai); dall’altro tenta la spallata di fine anno con l’apertura di una serie di nuovi dossier sul cui esito effettivo però solo il tempo (e possono passare anni) darà la risposta.
Multa da 120 milioni a X, bruscolini
Appena annunciata una multa da 120 milioni di euro a carico di X, il social di Elon Musk, per violazione degli obblighi di trasparenza nell’ambito del Digital Services Act, la legge sui servizi digitali. Bruscolini per un’azienda dal fatturato nell’ordine dei miliardi di euro l’anno. E che l’Europa passi all’incasso è tutto da vedersi, fra concessioni (tipo rimedi da mettere in atto), un possibile ricorso da parte dell’azienda, varie ed eventuali. Secondo la Commissione Ue la “spunta blu” – quella per i cosiddetti account verificati – è ingannevole poiché chiunque può ottenerla pagando e dunque non è sinonimo di qualità né di affidabilità, insomma la “verifica” di un bel niente.
Nel mirino anche la mancanza di trasparenza dell'archivio pubblicitario e la mancata fornitura di accesso ai dati pubblici per i ricercatori. Tutte questioni su cui si indaga da tempo e note ai più. Il procedimento formale di indagine sulle violazioni è stato avviato a dicembre 2023, alle conclusioni preliminari si è giunti a luglio 2024 e solo ora è stato emesso il verdetto con la sanzione. «Elon Musk non ha offerto impegni formali e sono passati due anni», ha dichiarato il portavoce della Commissione Ue Thomas Regnier.
Ma due anni per prendere una decisione di questo tipo non sono troppi? E, soprattutto, le sanzioni sono davvero l’arma per sanare la situazione? Sempre Reigner in più di un’occasione – praticamente ogni volta che l’Europa annuncia una sanzione – ha dichiarato che «l’Europa non vuole multare le aziende», ma che l’obiettivo è arrivare al rispetto delle norme. A sostegno della tesi, mentre si annuncia la multa per X si “assolve” la cinese TikTok «da cui abbiamo ottenuto impegni esaustivi», ha detto la commissaria alla Sovranità tecnologica Henna Virkkunen.
L’azienda cinese però auspica ora che «gli standard previsti dal Dsa siano applicati in modo equo e coerente nei confronti di tutte le piattaforme», come a dire niente sconti agli americani vista l’aria che tira e visto che l’Europa non perde occasione per misure forti nei confronti delle aziende cinesi – secondo recenti indiscrezioni di stampa si starebbe valutando un’ulteriore stretta nei confronti di Huawei e Zte, aziende prese di mira da anni dagli Stati Uniti.
Da Meta a Google, gli altri dossier aperti
L’annuncio della multa per X ha fatto seguito a quello, appena 24 ore prime, relativo all’apertura di una nuova indagine a carico di Meta, in particolare in merito alle condizioni contrattuali relative all’utilizzo di WhatsApp da parte delle aziende scattate lo scorso 15 ottobre: in sostanza le aziende che offrono servizi di intelligenza artificiale non possono più usare WhatsApp per veicolare i propri servizi e secondo l’Antitrust Ue ciò sarebbe in contrasto con le norme sulla concorrenza.
Peraltro l’indagine fa seguito a quella già avviata dall’Antitrust italiana che addirittura il 26 novembre ha annunciato un procedimento cautelare e dunque con carattere di urgenza. A tal proposito la Commissione europea ha decido di escludere l’Italia dal perimetro dell’indagine per evitare sovrapposizioni di sorta.
Veniamo a Google: dopo la sanzione da 2,95 miliardi di euro inflitta alla società lo scorso settembre per distorsione della concorrenza nel mercato delle tecnologie pubblicitarie (addirittura dopo 4 anni dall’apertura dell’indagine (era il 2021) – ma l’azienda ha già annunciato ricorso – la Commissione Ue il 13 novembre ha formalmente avviato un procedimento per valutare se Google stia declassando gli editori nel motore di ricerca in particolare relativamente ai contenuti a pagamento. E si è data 12 mesi per venirne a capo.
Le incertezze sul mercato cloud
E, ancora, il 18 novembre sono state avviate indagini sui servizi cloud a carico di Amazon e Microsoft per valutare, ai sensi del Digital Markets Act (Dma), la legge sui mercati digitali, se le due aziende debbano essere classificate come gatekeeper, ossia se abbiano un peso preminente nell’erogazione dei servizi aziende-consumatori. E anche in questo caso 12 mesi come “auspicio” per deliberare. E una terza indagine è stata aperta per verificare l’eventuale aggiornamento del Dma «tenendo conto delle evoluzioni del mercato del cloud», ha specificato la Commissione. Ma non va dimenticato che Google, Apple e Meta da mesi stanno facendo pressing per una revisione proprio del Dma.
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