L’idea iniziale era quella di strappare un condono più robusto da mettere sul tavolo della campagna elettorale. Alla fine il vicepremier Matteo Salvini ha dovuto ridimensionare gli obiettivi, accontentandosi di una versione light del decreto ribattezzato Salva-casa. Ma che, sotto il punto di vista politico, è uno degli ultimi disperati tentativi “salva-Lega”. Quindi va bene così, perché le europee si avvicinano e il leader leghista deve giocarsi tutte le carte a disposizione per raggiungere una soglia di sopravvivenza politica.

In fondo il via libera al decreto, che consente la sanatoria su una serie di abusi edilizi, risulta utile all’intero governo. A cominciare dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha passato giorni turbolenti. Bisognava trovare il modo per rimediare al pasticcio mediatico sul redditometro, che ha creato più di un qualche grattacapo a Palazzo Chigi.

Un grande caos che ha fatto irritare quella fetta di elettorato orientata a destra per l’occhio di riguardo verso “la piccola evasione”, quella cosiddetta «di necessità». Insomma, il Consiglio dei ministri di venerdì 24 è servito a mettere un po’ a posto la situazione.

Meloni, ospite a Trento al Festival dell’economia, ha ribadito: «Resto contraria. Occorre una norma a garanzia dei contribuenti, che non dia poteri illimitati alle autorità». E ha rilanciato sul premierato: «O la va o la spacca. Nessuno mi chieda di salvare la sedia o di restare qui a sopravvivere. Ma è una riforma necessaria».

Andando incontro alla replica della segretaria del Pd, Elly Schlein: «Qualsiasi proposta che contenga la forzatura dell’elezione diretta del premier fa saltare l’equilibrio tra i poteri dello stato. I poteri del presidente della Repubblica non vanno toccati».

Legalità intermittente

Intanto dalle ultime mosse del governo, emerge ancora una volta che la filosofia del law & order si applica solo quando si tratta di varare pacchetti sulla sicurezza, dei piccoli furti, in una visione securitaria tipica della destra meloniana. L’esempio principale è il disegno di legge, firmato da Matteo Piantedosi, ripescato alla Camera nelle ultime settimane dopo che è rimasto fermo per mesi.

Il confronto riprenderà a metà giugno, dopo il voto. È stato fissato un paletto a Montecitorio, lanciando un messaggio nell’etere elettorale. Ma d’altra parte se l’argomento si sposta sul terreno delle norme da rispettare su altri punti di vista allora vige un principio di deregulation con ampie soglie di tolleranza. Salvini ha urlato ai sette venti che il suo decreto Casa non è un condono.

«Sono interventi su piccole irregolarità che riguardano la vita di tutti giorni: verande, tende, gradini, grondaie, finestre, pareti e porte interne», ha detto il ministro delle Infrastrutture, rivendicando lo sblocco di 4 milioni di pratiche negli uffici dei comuni. Insomma, i tramezzi spostati, le camere allargate o i soppalchi più ampi possono essere sanati. In attesa del tanto atteso Piano casa, l’investimento pubblico per il rilancio dell’edilizia pubblica, Salvini va avanti con misure spot. Utili a ingraziarsi i voti di chi deve mettere a posto un po’ di abusi.

Nel dettaglio, l’intervento principale allarga la tolleranza costruttiva in una forchetta compresa tra il 3 e il 5 per cento in base alla dimensione delle abitazioni. E, al netto della neolingua salviniana, il decreto nasconde un condono, il «diciannovesimo», denuncia Schlein. E Legambiente mette nero su bianco i nodi: «Con il principio del silenzio-assenso, che sostituisce il silenzio-rigetto per gli abusi edilizi formali, nessun comune sarà mai in grado di esaminare una pratica di sanatoria entro i 45 giorni stabiliti». Il risultato? «Si potranno presentare sanatorie illegittime senza che nessuno le possa rigettare. Una norma perfetta per spalancare la strada a nuovi abusi».

Sanatoria Lega

Poco male per Salvini, teorico del laissez-faire a modo proprio. Il leader della Lega ha fatto di tutto per intestarsi il provvedimento, al netto della competenza del suo ministero, con tanto di accreditamento con le associazioni del settore. Che, manco a dirlo, hanno accolto con note stampa di giubilo il testo varato a palazzo Chigi. Tanto per non lasciare spazio agli alleati è partita la batteria di dichiarazioni dei parlamentari leghisti, tutti orientati a elogiare l’operato del loro segretario. Gli alleati sono rimasti tiepidi. Meloni e Antonio Tajani avevano chiarito che la soglia sarebbe stata minima.

Da Forza Italia è così arrivata la rivendicazione di una bandierina. «Si tratta della rigenerazione urbana, che vuol dire recupero degli spazi abbandonati per poterli utilizzare senza consumo di suolo e messa in sicurezza delle abitazioni», ha sottolineato il capogruppo di FI al Senato, Maurizio Gasparri.

Mentre la destra gongola, il decreto può produrre un altro effetto collaterale. «Il Piano salva casa di Salvini consentirà la desertificazione abitativa dei centri storici grazie alla norma che prevede la modifica della destinazione d’uso degli immobili nelle zone territoriali omogenee di tipo A, B e C», dice il deputato di Alleanza verdi sinistra, Angelo Bonelli. Cosa significa? «Gli immobili dei centri storici si trasformeranno definitivamente in residenze turistiche, commerciali e uffici, senza rispettare nemmeno gli standard urbanistici previsti», aggiunge il portavoce di Europa verde.

Ma il Consiglio dei ministri ha avuto un sapore pre elettorale, come previsto già nelle scorse settimane. C’è stata infatti l’approvazione di una serie di provvedimenti, tra cui la nascita della Commissione chiamata a vigilare sui conti delle società sportive.

Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, è riuscito a portare a casa il risultato auspicato, piegando le resistenze delle federazioni e addirittura del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Così da palazzo Chigi ieri è uscito fuori un altro vincitore, oltre a Salvini. Sebbene con toni diversi rispetto al vicepremier leghista.

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