Misurato, preciso, Noah Caldo, studente al penultimo anno di liceo, risponde composto mentre, durante la sua audizione in Commissione Cultura, il leghista Rossano Sasso sciorina storie di persone transgender pentite dopo un’operazione chirurgica, mescolandolo tutto in una propaganda che punta a vietare l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. «Conosco molte persone trans anche io», dice Noah mentre tamburella con le dita, la voce gentile e ferma: «Sono stato una di quelle persone che ha avuto la possibilità di esplorare, capire chi fossi. Questo mi ha aiutato. No, mi dispiace, lei parla di detransizioni; ma studi e dati ci dicono che queste sono pochissime, avvengono per ambienti sociali e familiari ostili. No, non è vero che la carriera alias porta alla masectomia e alle “mutilazioni”, lei confonde i due piani io chiedo solo di essere chiamato con il mio nome a scuola».

La norma

Un intervento così, che irrompe in un pomeriggio di settembre durante le audizioni sul ddl che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui si parla di educazione sessuo-affettiva e non solo nelle scuole italiane. All’ordine del giorno c’è la proposta di legge fortemente voluta dal ministro Giuseppe Valditara che punta a introdurre l’obbligo di autorizzazione preventiva dei genitori su attività didattiche che includano l’educazione affettiva, sessuale, o i temi del contrasto alle discriminazioni. Il titolo della proposta che accorpa tre progetti è “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”.

I deputati ascoltano, la presidente di Commissione lascia parlare Caldo, studente transgender di 17 anni anche oltre i 5 minuti previsti. «La sua è una testimonianza importante, rara» dice la presidente Valentina Grippo (Azione). Un confronto con la realtà che aspetta fuori i palazzi della politica, storie di vita vera tra le mura scolastiche: «La mia amica nel 2021 si è tolta la vita», fa una pausa lunga Caldo, un respiro e poi continua: «Era una persona queer ancora in esplorazione. I suoi genitori affermavano che qualora i loro figli fossero stati gay o persone trans avrebbero subito delle punizioni. Io facevo la terza media quel maggio 2021, lei il primo anno di liceo. Si è tolta la vita perché era intrappolata tra la famiglia e la scuola assente». La commissione silente, nessuno che osserva il cellulare, nessuno che controlla l’agenda per visionare gli appuntamenti di giornata.

«A 14 anni non c’è via di uscita. Ed è importante autodeterminarsi. Lei avrebbe avuto bisogno di una scuola libera. Anche io come ragazzo trans ho avuto difficoltà. I professori si rifiutavano di usare il maschile nei miei confronti. Da me non esiste la carriera alias, abbiamo trovato un compromesso: mi chiamano solo per cognome. La proposta di legge Sasso, il ddl Valditara patologizza l’identità trans, lo dico qui e se ho avuto il coraggio di espormi forse avrò il coraggio di chiedere rispetto anche in futuro». Poi un appello: «L’educazione sessuo-affettiva è fondamentale per accompagnare i giovani. Essenziale per combattere lo stigma. La scuola in Italia ha perso una parte fondamentale del suo compito».

I dubbi

Elisabetta Piccolotti, deputata di Avs vuole capire: «C’è differenza tra come viene trattato dai professori e come dai compagni? Che rapporto ha con la famiglia?». Sì, risponde Caldo: «All’inizio erano influenzati dal fatto che i professori mi chiamassero solo per cognome o peggio, il mio nome di anagrafe. Era una cosa alienante. Poi i miei compagni hanno capito ed è giusto così. I genitori in un mondo ideale potrebbero fare educazione sessuale, occuparsene loro. Ma non hanno gli strumenti, non tutti».

La domanda del deputato Sasso, il leghista relatore di uno dei ddl è in realtà un intervento malcelato: «Non posso pensare che siccome pochi, una, dieci, cento, mille famiglie sbagliano e discriminano, si debba generalizzare che tutte le famiglie italiane non siano in grado di educare i propri figli». E ancora: «I nostri figli hanno sentito che l’orientamento sessuale può cambiare dalla sera alla mattina. Non voglio bloccare la carriera alias ma se serve basta un certificato medico, di un professionista e non di un prof di matematica».

A riportare la realtà Caldo: «Qui si tratta di chiamare le persone con il nome che sentono proprio. Non penso che essere liberi a scuola sia negativo verso gli studenti. Sperimentare la propria identità apre al rapporto con gli altri. Non isola. Le persone magari si renderanno conto che non sarà la cosa giusta per loro, ma non bisogna limitarla». Parole semplici, a seguire interventi di associazioni e professori che seguono la scia di Caldo, un invito a mettersi in ascolto e non chiudere la porta a chi chiede aiuto.

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