A poco meno di un anno dalla fine della legislatura, la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini riapre il dossier dell’autonomia differenziata, mirando a portare a termine un progetto iniziato durante il governo Conte I, quando agli Affari regionali c’era la leghista Erika Stefani.

All’epoca la bozza di legge quadro, dentro al quale dovevano essere discussi gli accordi tra Roma e le singole regioni, era arrivata a un passo dal traguardo. Già nel 2017 i referendum di Veneto e Lombardia avevano dato la legittimazione necessaria ai legislatori del centrodestra.

Ad agosto 2019 il Papeete di Matteo Salvini ha mandato tutto all’aria. Per Gelmini è arrivato il momento di portare a casa un progetto su cui ha investito parecchio e che le può garantire nuovi appoggi nel panorama del centrodestra, in particolare favorendo le aspettative dei governatori del nord.

Il merito

La ministra ha iniziato in questi giorni a presentare la sua bozza ai partiti: il testo prevede che, eccezion fatta per sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale, per cui dovranno essere stabiliti a livello centrale dei livelli essenziale di prestazioni da garantire in ogni momento, le altre competenze potranno essere trasferite alle regioni.

Una volta fatta richiesta, ogni regione dovrà negoziare con governo e parlamento i dettagli della propria autonomia.

La bozza prevede anche che il punto di riferimento per il trasferimento dei fondi dallo stato centrale debba essere la spesa storica: a fronte di spese minori per i servizi, le regioni potranno disporre del resto del denaro come vogliono. Un meccanismo che dovrebbe portare gli enti a fare efficienza. Ma la scelta scontenta le regioni meridionali.

A difendere il sud c’è soprattutto il M5s, anche se una parte dei grillini si era spesa in passato per i referendum in Lombardia e Veneto. Cantano vittoria Forza Italia e Lega. Dal ministero rimandano alle singole trattative regionali la definizione dei dettagli, ma l’impostazione della norma rischia di scatenare uno scontro nord-sud anche all’interno dei singoli partiti.

Bisognerà vedere se confermeranno il proprio interesse i vertici regionali, così come lo hanno manifestato in passato. Appartengono a tutti gli schieramenti politici: oltre alle tre regioni apripista, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, l’ultima guidata da Stefano Bonaccini del Pd, si sono associate nel tempo anche Toscana, Piemonte, Liguria, Marche, Umbria e Campania. Qualche mugugno potrebbe arrivare da Fratelli d’Italia, di tradizione centralista, ma fonti del centrodestra spiegano che il partito di Giorgia Meloni alla fine dirà di sì alla proposta per non inimicarsi gli elettori del nord.

Gelmini ha ben presente che nel 2023 andranno al voto parecchie regioni, tra cui anche due roccaforti del centrodestra, Lombardia e Friuli Venezia Giulia, dove Forza Italia è parte del governo. In entrambe la Lega ricandiderà i governatori uscenti, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga, ma accelerando sul tema dell’autonomia differenziata Gelmini può guadagnarsi una simpatia da parte dei presidenti di regione in quota Lega. La ministra sembra tendere la mano anche a uno degli uomini più forti della Lega, il ministro Giancarlo Giorgetti, che ha da sempre grande presa sui territori del nord. Concludere la pratica dell’autonomia prima della fine della legislatura, e quindi del governo Draghi, è un’evidente apertura all’ala governista della Lega.

Gelmini è stata a lungo coordinatrice regionale della Lombardia e in passato è stata anche messa nel novero dei potenziali candidati del centrodestra per la guida della regione. Recente la carica di coordinatore è stata assegnata, tra le polemiche di alcuni membri del partito, alla senatrice Licia Ronzulli. Insomma, l’accelerazione sul tema dell’autonomia può essere letta come tentativo per accreditarsi con la fazione più moderata della Lega. In Forza Italia, però, rischia di delinearsi uno scontro tra nord e sud del partito: il testo dovrà essere valutato anche dalla forzista Mara Carfagna, che guida il ministero del Sud.

L’iter

La speranza di Gelmini è quella di approvare il testo in Consiglio dei ministri entro luglio. Coloro che non approvano l’attuale proposta confidano di riuscire a intervenire nelle prossime settimane, tenendo conto del lavoro fatto in questi anni dalla commissione sul Federalismo, proposte finora non presenti nel testo della ministra.

Il provvedimento sarà poi trasmesso al parlamento a fine agosto. I tempi per approvarlo entro la legislatura sono strettissimi. Secondo una fonte parlamentare che ha familiarità col dossier, a meno che il testo non sia calendarizzato alla ripresa dei lavori è improbabile che il progetto vada in porto: incombe infatti la legge finanziaria. E negli ultimi mesi di legislatura, quando i parlamentari saranno impegnati in campagna elettorale gli uni contro gli altri, sarà difficile che si riesca a raggiungere un compromesso.

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