Un battito d’ali al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro provocherebbe disastri al Piano nazionale di ripresa e resilienza. E allora per attuare il Pnrr il governo ha pensato bene di garantire uno stipendio a Renato Brunetta, nel ruolo di presidente del Cnel. Non ha altra spiegazione, altrimenti, la norma inserita e difesa strenuamente nel decreto Pnrr quater, che sarà approvato dalla Camera nelle prossime ore. Il via libera è scontato, nonostante la dura opposizione in Parlamento. Ed è questa solo una delle tante norme infilate in un provvedimento, che nel complesso è stato fortemente voluto dal ministro Raffaele Fitto, per aumentare il proprio potere sulla realizzazione del Piano.

E tra un articolo e l’altro, il testo è diventato il solito Frankenstein. Una marmellata di leggine che diventano favori delle lobby più vicine – come le associazioni pro-vita che possono entrare nei consultori – o servono a finanziare misure spot, come i centri di accoglienza in Albania. Oltre ad accontentare qualche presidente amico, come nel caso del Cnel. Mascherando i tagli ai vari progetti.

Forza Brunetta

Del resto, la “legge Brunetta” – o meglio a favore dell’ex ministro – non è stata una misura dal sen fuggita, tutt’altro: era scolpita nel testo dalla prima stesura e nonostante le critiche delle opposizioni, gli emendamenti che cancellavano la misura che ripristinava lo stipendio al presidente del Cnel (che da docente in pensione non avrebbe diritto) sono stati respinti. Insomma, il governo di Giorgia Meloni ci teneva proprio a premiare il presidente del Cnel. E più in senso ampio, il Consiglio beneficerà di un milione di euro in più dal 2025 per assunzioni varie. Tutto sempre sotto il cappello del Pnrr.

E se lo stipendio di Brunetta è una priorità, nel provvedimento abbondano i casi di infornate ministeriali. Ancora una volta passa all’incasso, in termini di potenziamento della sua struttura, il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che avrà la deroga per assumere un’altra unità con «funzione dirigenziale di livello generale». Uno dei compiti è quello di facilitare la revisione della spesa al Masaf, intanto l’operazione costerà 282mila euro. A braccetto ci va il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che da del decreto Pnrr otterrà una spesa aggiuntiva di oltre 300mila per il rafforzamento dell’organico del suo dicastero.

Intorno al decreto Pnrr, la vicenda più rumorosa sotto il punto di vista mediatico è la possibilità concessa alle associazioni anti-abortiste di accedere ai consultori per un’attuazione molto di parte della 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. I rappresentanti del mondo pro-vita hanno detto che non faranno ricorso alla norma. Intanto, al netto delle promesse, è stata messa a loro disposizione.

Il Piano di ripresa e resilienza si è insomma trasformato in territorio per la propaganda. Lo testimonia uno dei commenti voluti dal governo: sempre con la scusa del Recovery Plan – come anticipato da Domani – sono stati reperiti gli stanziamenti (65 milioni in totale), destinati al ministero della Difesa, per i centri di accoglienza in Albania. Una delle bandiere di Meloni per risolvere il problema degli sbarchi in Italia.

Peraltro, il decreto era nato con delle anomalie, insiste. La più clamorosa era l’inserimento del pacchetto sicurezza sui luoghi di lavoro, preannunciato in pompa magna dalla ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone. E schiacciato in un provvedimento che tratta un’altra materia. Alla fine, è stata introdotta la famosa patente a crediti, seppure con una partenza già posticipata all’1 ottobre. Ossia quando molti cantieri del Pnrr saranno stati già aperti, mentre i dati sugli incidenti mortali destano preoccupazione. «La toppa è peggiore del buco. L’introduzione raffazzonata della patente a punti non sarà discussa dal parlamento, ma scritta interamente da un governo che ha già ampiamente dimostrato insofferenza verso le istanze dei lavoratori», osserva il deputato del Pd, Ubaldo Pagano, che ha seguito l’iter del testo dalla commissione Bilancio all’aula di Montecitorio.

Alla Camera, però, non è stata solo una questione di misure piazzate qua e là. Viene infatti cancellato un miliardo e 200 milioni di euro alla voce del Pnrr “Ospedale sicuro e sostenibile”: i finanziamenti avrebbero dovuto migliorare i servizi di sicurezza e anti-incendio nelle strutture sanitarie. Le Regioni dovranno attingere da altri fondi, secondo la tesi di Fitto.

«Questo provvedimento smentisce tutte le rassicurazioni date da Fitto sul Pnrr negli scorsi mesi. Si definanziano misure e investimenti pubblici per diversi miliardi di euro, a scapito soprattutto della sanità e del Sud che pagano la maggior parte del conto», accusa ancora Pagano.

Sgarbo istituzionale

C’è poi un altro aspetto procedurale che il decreto Pnrr quater ha ampiamente calpestato: gli appelli di Sergio Mattarella a evitare decreti omnibus, nati – sulla carta – con un obiettivo ma che finiscono per calamitare le norme più disparate. Il governo, spesso direttamente attraverso la premier Meloni, ha sempre tranquillizzato sulla volontà di rispettare l’iter delle leggi. Salvo che, alla prima occasione utile, ha prontamente ritirato fuori le vecchie abitudini.

Non l’avrà presa bene nemmeno il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che in passato aveva sollecitato i presidenti di commissione a valutare con attenzione l’attinenza degli emendamenti con il contenuto del provvedimento. E, con tutta la fantasia possibile, è difficile intravedere cosa possa centrare con il Pnrr la presenza delle associazioni pro vita nei consultori.

© Riproduzione riservata