Ira a palazzo Chigi che però non interviene. Opposizioni all’attacco: «Niente risorse per il ceto medio ma pioggia di soldi al poltronificio di Brunetta»
L’aumento dello stipendio a 311mila euro all’anno ai vertici del Cnel, a partire dal presidente Renato Brunetta, ha irritato mezzo governo, compresa la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. A palazzo Chigi e al ministero dell’Economia non hanno preso affatto bene la notizia, raccontata da Domani, sull’adeguamento-lampo dei compensi massimi al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Ufficialmente nessuno è uscito allo scoperto per evitare di aumentare le tensioni, ma i malumori sulla vicenda sono montati in privato.
Tuttavia, la vicenda va avanti, nelle stanze del Cnel, da un paio di mesi. Il provvedimento è votato l’11 settembre dall’ufficio di presidenza del Consiglio nazionale, guidato proprio da Brunetta, e ratificata dal segretario generale a fine ottobre. In quella sede che il ritocco delle indennità partirà dall’1 agosto (3 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della sentenza del Corte) e il recupero delle ulteriori indennità non erogate tra il 2024 e il 2025, quando c’era stato l’adeguamento Istat del tetto, passato dal 240mila euro a 256mila euro annui. Tutto fatto in casa, a Villa Lubin. E ovviamente tutto legittimo dopo la sentenza di luglio della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la soglia per le remunerazioni pubbliche. La sorpresa è stata la tempistica rapidissima con cui ha operato Brunetta. E che era inaspettata anche dal governo.
La decisione ha prestato il fianco al fuoco di fila agli attacchi delle opposizioni con l’annuncio di un’interrogazione da parte del Movimento 5 stelle per avere un chiarimento direttamente dalla premier. «Cosa ne pensa il governo? Ce lo diranno la premier Meloni e il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ai quali indirizzeremo un’interrogazione», ha detto il deputato Dario Carotenuto, che ha definito «indecente» l’operazione.
Anche perché l’attuale numero uno del Cnel è stato il paladino “anti-fannulloni” all’epoca del governo Berlusconi e ha definito il salario minimo di 9 euro all’ora: «Fa male agli stipendi», aveva detto. «Evidentemente Brunetta non ha nulla contro il salario massimo appena venuto meno il tetto. C’è una totale mancanza di vergogna che sconcerta ma non stupisce», ha scritto sui profili social la deputata e vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo.
Parole simili al deputato di Alleanza verdi-sinistra, Nicola Fratoianni, che ha parlato di una «destra avida e predatoria. Prevede grandi aumenti per se stessi e briciole per gli altri, come si vede dal contratto di questi giorni dei lavoratori della scuola». L’alleato di Avs, Angelo Bonelli, ha fatto eco: «È questa la loro idea di giustizia sociale».
La questione ha messo insieme tutte le minoranze. Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, che da mesi già contesta la reintroduzione dell’indennità a Brunetta (avvenuta all’interno di un decreto dello scorso anno), si è ritrovato di fronte addirittura all’innalzamento del compenso. Così ha legato la vicenda alla manovra in esame al Senato: «Meloni non trova i soldi per aumentare gli stipendi al ceto medio ma li trova per aumentare il poltronificio di Brunetta».
Il blitz al Cnel ha sollevato amare ironie: non c’è stato alcun indugio sull’adeguamento degli stipendi massimi. «Se questo genere di determinazione fosse stata dedicata a tutti gli italiani, e non solo a quelli come Brunetta, il nostro paese avrebbe il salario minimo già da anni», ha dichiarato Francesca Druetti, segreteria di Possibile.
Un pasticcio politico, dunque. Meloni predica da mesi prudenza a tutti i ministeri, quando si parla della gestione delle risorse pubbliche. Solo che nelle altre amministrazioni le sue parole restano inascoltate, anche da enti che si sono sempre più avvicinati al governo, come il Cnel di Brunetta. Uno dei più irritati è il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, che da settimane ripete di evitare fughe in avanti sul tetto delle indennità dei manager pubblici dopo il pronunciamento della Consulta sul tetto dei 240mila euro all’anno.
Un appello rinnovato dopo il caso era esploso all’Inps (che aveva previsto indennità aggiuntive che sforavano il limite fissato). «L’aumento deve riguardare non oltre 10-12 manager pubblici», aveva già dichiarato. Una tesi che trova d’accordo Giorgetti. Si era vociferato di una circolare, almeno per frenare gli ardori dei manager più voraci. Ma agli atti non risulta alcun intervento legislativo. Il governo mastica amaro, ma di fatto resta inerte e ingoia le fughe in avanti. Ieri dell’Inps, oggi del Cnel.
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