C’è un punto su cui l’aula del Senato, dopo lo scontro sulla riforma della giustizia, si è trovata d’accordo. Ed è accaduto durante la discussione del disegno di legge, varato dal governo lo scorso 7 marzo, sull’introduzione del reato di femminicidio. Il testo discusso, che verrà votato mercoledì 23, è l’esito di un accordo bipartisan in commissione, di «un lavoro condiviso, con l’opposizione, e approfondito», ha detto la relatrice e senatrice della Lega Giulia Bongiorno. La discussione in commissione per Bongiorno ha portato a «un netto miglioramento» del testo governativo.

L’intesa ha portato a modificare la definizione della fattispecie di femminicidio. Se prima la formula era «vaga e conteneva concetti indeterminati e generici», come ha detto la senatrice dem Cecilia D’Elia, ora il reato si definisce in maniera più rigorosa e considera – dice Bongiorno – la matrice culturale, e quindi il femminicidio come «atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali».

Riconoscendo quindi le cause profonde di questo tipo specifico di omicidio e rendendo «la fattispecie utilizzabile nelle aule di giustizia», come chiesto dai centri antiviolenza, ha detto la dem Valeria Valente.

Fenomeno strutturale

Tutte le senatrici e i senatori intervenuti hanno riconosciuto la violenza maschile contro le donne come un fenomeno strutturale. Si è parlato di cultura patriarcale, di ruoli e gabbie di genere, di maschilità tossica, di fare rumore. Pian piano le aule del parlamento adottano le parole dei movimenti femministi che da decenni stanno chiedendo, con fatica, un cambio di passo alla politica, a partire dal linguaggio.

Così come la parola femminicidio, entrata nell’uso corrente e che – con l’approvazione del ddl in Senato e la successiva approvazione alla Camera – potrebbe indicare il nuovo reato previsto all’articolo 577-bis. «Un salto di qualità in quella battaglia che per me non è diritto penale, è un pezzo di storia delle donne», ha continuato Valente, «perché chiamare le cose con il proprio nome attribuisce significato, le fa esistere». E, ancora, l’introduzione di questo reato autonomo scardina «la finta neutralità del codice», dietro cui si nasconde «una declinazione tutta al maschile» e che «ha legittimato un sistema».

Nell’aula sono entrati anche i nomi (pochi i cognomi) di donne vittime di femminicidio. Filippo Sensi (Pd) ha letto l’elenco dell’Osservatorio nazionale di Non una di meno che da anni aggiorna ogni 8 del mese la conta dei femminicidi e trans*cidi. Ad oggi, secondo il movimento, sono 51 le donne uccise per mano del partner e 33 i tentati femminicidi. Secondo i dati, ora trimestrali, del ministero dell’Interno sono 45 le donne uccise in ambito familiare e affettivo, di cui 34 da partner o ex.

Non solo repressione

Il femminicidio di martedì 22 di Samantha Del Gratta, uccisa dal marito Alessandro Gazzoli, che si è poi suicidato dimostra – conclude Valente – che l’aggravamento delle pene non può costituire un deterrente. Nel 35 per cento dei casi di femminicidio si tratta di omicidio-suicidio. Le opposizioni si sono quindi mostrate unite nel chiedere che questo reato sia solo il «primo passo di un cammino da percorrere insieme», ha detto Sabrina Licheri (M5s), ricordando l’urgenza di una rivoluzione culturale perché «la nostra cultura agisce ovunque» e continua a perpetrare stereotipi. Così il dem Filippo Sensi ha segnalato il rischio di «una legislazione emotiva, piuttosto di una capace di anticipare e prevedere».

Sensi contesta però il «panpenalismo della destra», che anche in questo caso non ha inserito alcun intervento di prevenzione, per lavorare sul piano culturale. «Occorre investire nell’educazione, nei centri antiviolenza, nella formazione dei magistrati», ha detto Licheri, bisogna intervenire – per Elisa Pirro (M5s) – «sul salario minimo e sul congedo paritario», «sulla cultura del consenso, sul linguaggio e la narrazione dei fatti, smettere di giustificare i carnefici», secondo Mariolina Castellone (M5s). E per gli orfani di femminicidio, a sostegno dei quali sono stati stanziati 10 milioni di euro dall’impresa sociale Con i bambini.

«Per la seconda volta», ha poi concluso D’Elia, «siamo chiamate a pronunciarci sul versante penale. È importante, ma si continua a ignorare l’azione preventiva». Un impegno che per la dem è stato preso in aula nel 2023, «ma non si è visto un salto di qualità delle politiche di contrasto alla violenza». E aggiunge: «È rispetto per tutte le donne che non ci sono più, per le figlie della tempesta, per un futuro davvero libero dalla violenza».

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