Alla fine della messa solenne, con rito ambrosiano, i televisivi sciamano via con pochi selfie, il popolo di piazza del Duomo li chiama di lontano, ma le transenne restano. La compagnia del prezzo è giusto, Iva Zanicchi, Massimo Boldi, Maria De Filippi. C’è chi come Lele Mora pensava di essere più al centro del gossip e ci rimane male quando viene respinto dalla security dall’entrata dei super big e indirizzato avanti, insieme alle «maestranze Mediaset».

Ma sic transit gloria mundi: dopo poco è successo anche a Licia Ronzulli. All’uscita invece i politici scorazzano un po’ sul sagrato, come per dirsi l’un l’altro qualcosa. Qualcosa che manca. Ma cosa? «Strana scelta, quella di non aver fatto parlare nessuno, né della famiglia né dei suoi amici», ragiona il direttore del Riformista Andrea Ruggeri, ex parlamentare forzista.

Le regole della cattedrale milanese sono rigide in materia, ma il fatto è che è difficile fare discorsi: del dopo – del dopo funerale, cioè del dopo Berlusconi – non v’è certezza. «L’eredità di Berlusconi?», qui si parla di politica, i titolari delle sostanze dell’ex cavaliere vanno via subito, solo la figlia Barbara accenna un ringraziamento mimato alla folla.

«L’eredità è il centrodestra, la creatura che lui ha inventato, noi dobbiamo realizzare quella gamba popolare e moderata per le europee in Europa», dice il “moderato” e cattolico Maurizio Lupi. Maurizio Gasparri, che in questa fase della vita è un forzista saggio: «Nonostante il grande dolore, ho visto, insieme a Tajani, Barelli ed altri che tutte le persone più vicine a Berlusconi, hanno consapevolezza che la sua eredità è anche quella politica, oltre che finanziaria, televisiva, industriale e produttiva. Quello che sappiamo è che non esiste un altro gigante come Berlusconi», il principio di realtà non manca. «Ma andremo avanti, siamo nel Partito popolare europeo, il baricentro dei moderati, che sarà essenziale nel prossimo parlamento europeo».

È la linea, l’ha data Giorgia Meloni – in chiesa arriva poco prima del capo dello stato e sta al primo banco ala destra, accanto a Ignazio La Russa, è commossa, prega, si inginocchia – in sostanza: tutti fermi, non fate l’onda, ché la barca alla deriva si ribalta.

Dall’altra parte della navata, al primo banco, ci sono le risposte alle domande sull’eredità «anche politica»: ma sono volti imperscrutabili, quello dell’erede dell’autorevolezza del padre, Marina, con la famiglia detiene il marchio del partito; ma prima di lei, la più vicina alla bara, c’è Marta Fascina, truccata per sembrare senza trucco, e bella e disperata, che prega a fior di labbra per tutta la funzione; e che forse ha preso alla lettera la passione per le missioni impossibili del suo compagno, e pure lei ha ambizioni da leader. Incredibile. Il futuro di Forza Italia dipende da queste due donne.

È quest’incertezza sul futuro che rende la funzione più vera di quello che si vede nella diretta tv, in cui Rai e Mediaset per la prima volta competono davvero, ma per fare miglior figura davanti al nuovo governo; più vera delle coreografie con i bandieroni del Milan nella piazza, con la folla che applaude fino al cielo Berlusconi, ma anche «Mario, Mario» Draghi, e il presidente Sergio Mattarella in quei tre passi che fa dalla macchina all’entrata laterale del Duomo, quello riservato agli ospiti che contano davvero.

Ma non sono molti: l’ emiro del Qatar, il presidente iracheno, i capitani reggenti della Repubblica di San Marino. Manfreb Weber, il presidente del Ppe, la presidente del parlamento di Bruxelles Roberta Metsola aveva una conferenza stampa irrinunciabile. Poi ci sono, irriconoscibili ai cronisti, ministri del Kosovo, di Malta, Turchia, Tunisia e Armenia. L’amico presidente ungherese Orban, abbastanza solitario. Insomma, per essere i nostrani i funerali della regina Elisabetta – che sono il format della diretta tv – troppi ospiti internazionali hanno declinato.

Ma solo i «soliti comunisti» (copy Libero, ma è una citazione del defunto) possono aver qualcosa da ridire: l’eventone c’è e non si discute, perché c’è tutto il governo e poi in soccorso sono arrivati i politici italiani, amici e nemici pardon avversari, deputati e senatori colleghi di Berlusconi. In gran numero. Nelle file ci sono i i capigruppo naturalmente di Forza Italia Licia Ronzulli e Paolo Barelli, della Lega Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. Ma anche del Terzo Polo Raffaella Paita e Matteo Richetti, e del Pd Chiara Braga e Francesco Boccia. Più indietro Pier Ferdinando Casini, Giulio Tremonti e Dario Franceschini.

Dem sparsi e solitari (i milanesi Lia Quartapelle e Antonio Misiani, ma anche la romana ex ministra Marianna Madia). Nella seconda parte della navata si sono inzeppati nei banchi i virili trupponi dei leghisti e dei Fratelli d’Italia. Ci sono anche persone eleganti – nel senso vero, non nel senso rovesciato delle cene eleganti – come l’ex sindaca Letizia Moratti che sono rimaste al posto indicato, seppure non prestigioso, e non hanno cercato di trovare un posto più avanti, un posto al sole. Nella consapevolezza che, morto Berlusconi, un posto al sole non c’è più. O insomma è precario.

Maria Elena Boschi parlotta con Francesco Bonifazi ma la notizia è che Matteo Renzi durante la funzione parlotta spesso con Paolo Gentiloni, qui a nome della commissione europea: dopo l’avvicendamento turbolento del 2016, èevidente che i due ex premier hanno fatto pace, più che pace. Non è una buona notizia per Elly Schlein, che invece alla fine della cerimonia incrocia Michele Emiliano. Abbraccio affettuoso: «Caspita Elly, sei più alta di quello che credevo».

Il funerale di Berlinguer?

Poi il presidente della Puglia esce dalla chiesa e guarda la folla: «Io ho partecipato solo a due funerali di stato nella vita: uno è quello di Berlinguer e l’altro è questo». Il colpo d’occhio c’è, ma il paragone non è una bestemmia? «E perché? Io credo che sarebbero stati amici, perché erano due persone vere». La confusione regna a sinistra, oltre che a destra.

Per questo non si vedono gli eccessi kitsch che ci si potrebbe aspettare all’addio del re delle feste eleganti, del bunga bunga e del vulcano finto in Costa Smeralda. «Più che un funerale è una festa delle persone che volevano bene a Silvio, e che lo devono ringraziare», dice Rita Dalla Chiesa.

In effetti, oltre ai banchi della famiglia, ci sono poche lacrime, e così anche poche lacrime insincere. Ma se è festa, è una festa triste: più botox che giovani Loro di Sorrentino: c’è troppa incertezza – nelle aziende, nella politica – perché l’evento riesca fino in fondo. La beatificazione di Berlusconi c’è, sì, ma poi rimane sospesa come l’incenso, a mezz’aria. Il “loro” funerale di Berlinguer è molto coreografato, ma troppo Truman show per emozionare davvero.

E poi l’incertezza del futuro, la confusione, è così grande che nessuno ha capito fino in fondo neanche l’indecifrabile omelia dell’arcivescovo Delpini: un sorprendente ritratto di Berlusconi gaudente e uomo d’affari «che guarda ai numeri più che ai criteri», che pensa a «essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita».

E improvvisamente chiude: «È un uomo e ora incontra Dio». Come dire: non sta a noi giudicare. Ma lo sa dio se voleva dire questo. Fra tante incertezze, c’è solo l’espressione di Sergio Mattarella. È la faccia della Repubblica, su cui spesso le telecamere si posano – è pur sempre un funerale di Stato –, un padre nostro recitato come tra sé e sé, l’espressione seria del rappresentante del paese tutto, anche quello che non c’è né in chiesa né sulla piazza. Il presidente che tutto assorbe, tutto contiene, anche gli eccessi del defunto. E i tentativi dei suoi di farne un padre della Repubblica.

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