È noto che il caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne scomparsa quasi 41 anni fa in una giornata di inizio estate, sia stato riaperto tempo fa dai promotori della giustizia del Vaticano e, contemporaneamente, dai pm della procura di Roma. Ed è una notizia che giovedì 9 maggio la neonata commissione parlamentare d’inchiesta (che indaga sulla vicenda della cittadina vaticana e dell’altra ragazza, Mirella Gregori, volatilizzatasi nel nulla un mese prima) abbia voluto audire le famiglie delle due adolescenti.

Quello che Domani è in grado ora di rivelare sono gli otto screenshot di alcune chat di WhatsApp consegnati nel 2023 da Pietro Orlandi al promotore Alessandro Diddi, fedelissimo di papa Francesco, e agli uomini della gendarmeria che stanno indagando sulla nuova pista. Chat che – fossero vere e confermate – potrebbero aprire uno squarcio nuovo su uno dei gialli insoluti più celebri della storia recente del paese.

Orlandi li ha consegnati anche ai parlamentari. La chat di dieci anni fa è (o vuole sembrare) uno scambio di messaggi tra Francesca Immacolata Chaouqui e Angel Vallejo Balda, che nel 2014 erano rispettivamente membro e segretario della Cosea, la Commissione voluta dal pontefice per mettere ordine tra gli enti economici vaticani. Al tempo delle chat Balda era contemporaneamente potente segretario della prefettura degli Affari economici, sorta di Corte dei conti vaticana che oggi non esiste più.

Entrambi nel novembre 2015 sono stati arrestati per lo scandalo Vatileaks 2, con l’accusa di aver consegnato a due giornalisti (chi vi scrive e Gianluigi Nuzzi) documenti segreti sulla corruzione interna di cardinali e prelati. Nel 2017 a fine del processo sono stati condannati a 18 e 10 mesi, i cronisti sono stati assolti per difetto di giurisdizione.

Le chat

Le chat sono in possesso di Domani. I due interlocutori parlano della situazione interna della Cosea, dei loro scontri con gli altri membri della commissione, dell’allora prefetto dell’Economia George Pell («dopo che ho scoperto che Pell ha finanziato la diocesi di Bergoglio tu sei sicuro che non finiremo nella merda?», si domanda Chaouqui, che è stata protagonista anche del processo con cui è stato condannato Becciu) e della volontà di Balda di fare uscire documenti sulla stampa. Ma, soprattutto, i due fanno più volte riferimento a Emanuela Orlandi.

«A settembre dobbiamo far sparire quella cosa della Orlandi e pagare i tombaroli. Di questo devi parlare al papa...Ora che torniamo si lavora all’archivio. E basta giornali e follie varie», dice Chaouqui. «Quella roba della Orlandi deve sparire e tu devi farti gli affari tuoi. Ho visto Giani (Domenico, ex capo della gendarmeria, ndr), io non credo che sia come dici tu su di lui. Quello che hanno fatto è un reato e lui lo deve sapere. Fra poco vengo, ma tu dove sei?», aggiunge in un messaggio la “papessa”.

Lo spagnolo Balda, se i messaggi fossero autentici, risponde tra errori di sintassi e grammaticali: «En casa. Non dici niente a Ciani. Orlandi sono cose che vanno da serio. El cardinale a detto che doviamo mettere tutta la forza in questo, el papa e con noi». E Chaouqui: «Brucia questa conversazione appena leggi. Fai le copie almeno di quella cosa della Orlandi e le mando in procura in forma anonima. Questa roba finisce male». Non sappiamo quale documentazione dovesse fotocopiare il monsignore.

Un passo avanti

Prima di continuare la lettura dei messaggi WhatsApp, facciamo un passo avanti. Nel 2017 chi vi scrive pubblicò una presunta lettera del 1998 dell’allora capo della “banca” vaticana dell’Apsa, il cardinale Lorenzo Antonetti, che conteneva un elenco delle «note spese» sostenute dalla Città del Vaticano per «l’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Orlandi».

Un documento apocrifo e controverso che il Vaticano ha subito definito un falso ridicolo, che al tempo aprì la cosiddetta pista di Londra. Quella che ipotizza come la chiesa, dopo aver recuperato Emanuela rapita da ignoti, l’avrebbe portata in Inghilterra e tenuta nascosta per motivi oscuri fino a luglio del 1997, quando la ragazza (deceduta?) sarebbe stata poi «trasferita presso stato Città del Vaticano con disbrigo pratiche finali».

Vero o falso che sia il report, è certo che quel documento proveniva dall’archivio della prefettura economica al tempo gestito da Balda, ed era nascosto dentro a una cassaforte (poi scassinata) a fianco ad altra documentazione riservata. Il rapporto sulle spese per Orlandi è (o vuole sembrare) una sintesi di tutti i pagamenti «di cui è stata rilasciata quietanza».

Si tratterebbe di 197 pagine di fatture che Antonetti avrebbe allegato alla sua lettera. Fatture che, seppur esistessero davvero, non sono mai state trovate. Fonti vaticane suggeriscono a Domani che una di queste fatture fosse stata invece ritrovata da chi nel 2013 e 2014 bazzicava gli uffici di Balda.

Quella del pagamento di un marmista, che a fine anni Novanta avrebbe scolpito un angelo che adornava una tomba dentro il cimitero teutonico in Vaticano. Dopo che una missiva anonima segnalò come la ragazza scomparsa fosse stata sepolta dentro il Vaticano proprio nella tomba con l’angelo di marmo, nel luglio 2019, dopo insistenze da parte della famiglia e del loro avvocato Laura Sgrò, la lapide fu aperta, ma non fu trovato nulla.

«Questi della tomba come li paghiamo?»

Torniamo alle chat tra Chaouqui e Balda. La lobbista scrive: «Ascoltami bene, oramai abbiamo perso la battaglia dei giornalisti. Adesso facciamo passare l’estate, quando torno pensiamo a cosa fare e anche il papa sarà più lucido. Buttare tutto per aria e distruggere il Vaticano non ha alcun senso...Io ti voglio bene e credo veramente in te e in questa riforma ma così non andiamo lontano. Il papa sbaglia a gestire questo senza la gendarmeria. Io per quanti amici posso avere questi hanno mondi enormi dietro. Questi del georadar della tomba come li paghiamo? Il papa vuole sapere mai poi? Chi paga? E soprattutto di nascosto chi paga?».

Le chat sarebbero conservate in due cellulari riservati che Chaouqui e Balda chiamavano «telefoni bianchi», non si sa che fine abbiano fatto. I messaggi sembrano segnalare come qualcuno si fosse mosso con dei «tombaroli» con un «georadar» per identificare la tomba di Orlandi, e che i due proprietari dei telefoni sapessero dell’operazione. Fonti suggeriscono ora che già durante il processo Vatileaks 2 la gendarmeria ipotizzasse che documenti dell’archivio della prefettura degli affari economici fossero stati nascosti in un luogo segreto. Chaouqui nei WhatsApp parla in effetti di una «cassa», e Pietro Orlandi crede oggi che possa essere stata nascosta sotto i cunicoli della basilica di Santa Maria Maggiore.

Chaouqui, contattata, non smentisce i messaggi ma spiega a Domani che non può parlare del contenuto di quelle chat, perché, «come ex commissario Cosea, io sono ancora sotto segreto pontificio». Balda, invece, risulta a Domani essere stato già interrogato in segreto per circa due ore a fine dicembre 2023 in Vaticano. Davanti alle domande del promotore di giustizia Diddi, del capo dei gendarmi Gianluca Gauzzi Broccoletti e dell’investigatore Stefano De Santis il prete, in videoconferenza, ha negato la paternità dei WhatsApp, non riconoscendone né la forma né il contenuto, e ha suggerito agli astanti di cercare i “telefoni bianchi” per fare una perizia tecnica, aggiungendo che le fotocopie che Pietro Orlandi ha consegnato a Diddi non provano nulla.

Gli investigatori gli hanno poi chiesto anche della nota spese pubblicata da chi scrive nel 2017, e se davvero fosse uscita dall’archivio della prefettura degli Affari economici, ma Balda ha risposto che anche lui è sotto segreto pontificio, e che del contenuto dell’archivio non può parlare. Se non davanti al papa.

Ora le tre inchieste parallele dovranno anche verificare se le chat sono vere, se davvero qualcuno ha individuato una tomba grazie a fatture di marmisti, o se invece lo scambio tra Chaouqui e Balda sia un falso creato ad arte per un nuovo depistaggio sulla pelle di Emanuela e della famiglia che aspetta da quarantuno anni la verità.

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