La politica torna dalle ferie, le camere riaprono, e i partiti già devono affrontare una questione spinosa per gli equilibri del governo di Mario Draghi. Non c’è solo l’Afghanistan sul tavolo, anche il caso nato dopo le frasi pronunciate il 4 agosto dal sottosegretario all’Economia, il leghista Claudio Durigon. Il deputato del Carroccio, dal palco di una manifestazione del Carroccio a Latina, ha chiesto di intitolare il Parco Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dedicato ai due magistrati uccisi dalla mafia nel 2017, ad Arnaldo Mussolini, il fratello del duce. Parole che hanno fatto insorgere Partito democratico, Movimento 5 stelle, Liberi e uguali, ma anche tante associazioni della società civile, da Libera contro le mafie all’Anpi.

Proprio i partigiani, giovedì 19 agosto, hanno lanciato un appello al primo ministro, chiedendo la rimozione del sottosegretario: «È passato troppo tempo. Bisogna porre un rimedio deciso a questo vulnus istituzionale». Il presidente del Consiglio Draghi, però, non è mai intervenuto pubblicamente sulla questione.

La proposta di Durigon ha generato molte polemiche, non solo per l’ammiccamento all’elettorato di estrema destra della città pontina, ma anche per la sua forza simbolica: Latina infatti è una città soffocata dai clan – Di Silvio, Ciarelli, Travali – che negli ultimi anni non solo hanno comandato sul territorio, ma hanno infiltrato l’economia e la politica, come sta emergendo dalle inchieste antimafia della procura di Roma.

Più Mussolini per Latina

«Questa è la storia di Latina che qualcuno ha voluto anche cancellare con quel cambio di nome a quel nostro parco, che deve tornare a essere quel parco Mussolini che è sempre stato, su questo ci siamo e vogliamo andare avanti», le parole del fedelissimo di Salvini dal palco del 4 agosto, alla presenza del segretario, nella città che considera suo feudo e serbatoio di voti.

Peccato che sia il primo a non conoscere quella «storia di Latina che qualcuno ha voluto cancellare»: «Nel 1943 il potestà stabilì di cambiare tutta la toponomastica. E da quel giorno Parco Arnaldo Mussolini è diventato Parco Comunale», ha spiegato a Domani il sindaco di Latina Damiano Colella. Insomma, il parco non è stato più chiamato Mussolini per volontà degli stessi fascisti che in un primo momento glielo avevano intitolato.

Durigon nei giorni successivi alla proposta, ha provato a difendersi: «Polemica sterile sulla notizia del parco Arnaldo Mussolini di Latina. Mai e poi mai penserei di mettere in discussione il grande valore del servizio prestato allo stato dai giudici Falcone e Borsellino: ciò non toglie che è nostro dovere considerare anche le radici della città». Insomma, tira dritto: per lui quel parco deve tornare a ricordare il fratello del duce.

Matteo Salvini, di cui il sottosegretario è un fedelissimo, lo ha difeso: «Quel parco a Latina è stato per decenni intitolato al fratello di Mussolini, quindi non è nulla di nuovo ma non ci interessa il ritorno al passato», ha detto, senza prendere le distanze dalla proposta del leghista pontino. Alcuni leghisti hanno fatto capire che se Durigon dovesse perdere il ruolo nell’esecutivo, la tenuta della maggioranza sarebbe a rischio. Minaccia che però non ha fermato le richieste di dimissioni.

Il ruolo di Draghi

Pd, M5s e Leu hanno deciso di presentare una mozione di sfiducia contro il segretario. I leader dei tre partiti hanno preso una posizione dura sul caso: non c’è altra strada per loro che la rimozione di Durigon. «È incompatibile con la Costituzione italiana intitolare una piazza a Mussolini. Credo che Durigon in questo senso abbia dimostrato la sua totale incompatibilità con il ruolo che sta avendo che è quello di rappresentante le istituzioni», ha dichiarato il segretario Pd Enrico Letta. Sulla stessa linea il leader dei 5 stelle, l’ex primo ministro Giuseppe Conte: «Mi sembra chiaro e lampante che un membro del Governo che faccia quelle affermazioni non possa rimanere al suo posto».

E Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana: «Se Salvini e Draghi sperano che passando i giorni l’affaire del camerata Durigon vada nel dimenticatoio hanno sbagliato clamorosamente». Pure nel centrodestra c’è chi non ci sta: «Nell'interesse del governo, del centrodestra e di Forza Italia, che non ha ancora preso posizione, continuerò ogni giorno a chiedere le dimissioni di Durigon», ha affermato il forzista Elio Vito.

Anche Maria Falcone, sorella del giudice ucciso da Cosa nostra, ha chiesto un intervento del primo ministro: «Le parole del sottosegretario leghista Claudio Durigon lasciano allibiti tanto da credere impossibile che siano state realmente pronunciate. Confidiamo che il presidente del Consiglio e il Consiglio dei ministri prendano le distanze da questa proposta che non merita commenti».

Draghi però non è ancora intervenuto pubblicamente sulla questione. Ed è lui l’unico che può prendere un provvedimento contro il leghista, che non sembra avere intenzione di lasciare il governo: è il presidente del Consiglio a nominare i sottosegretari, che non passano dal voto di fiducia del Parlamento. Solo lui può revocargli l’incarico, decisione che non dovrebbe nemmeno motivare secondo la Costituzione. Fino a oggi però Palazzo Chigi è rimasto nel silenzio. E i precedenti non lasciano ben sperare: perché non è la prima volta che le uscite di Durigon creano polemiche. E l’ultima volta Draghi aveva preso le sue parti.

Non è la prima volta

A fine aprile, in delle dichiarazioni presenti in un’inchiesta di Fanpage, Durigon afferma che «Quello che indaga della Guardia di Finanza…il generale… lo abbiamo messo noi», facendo riferimento alle inchieste sui 49 milioni della Lega. Una frase che scatena le polemiche, nonostante Domani abbia raccontato come dietro l’uscita di Durigon ci sia poco di vero. Fioccano le richieste di dimissioni, Draghi però difende il suo sottosegretario: «La Procura di Milano ha confermato piena fiducia ai militari della Guardia di finanza. Nessun ufficiale generale ha svolto ruoli direttivi nelle investigazioni oggetto dell’interrogazione», ha detto alla Camera il primo ministro il 12 maggio.

I rapporti a Latina

Oltre alle dichiarazioni, Durigon ha una posizione difficile da sostenere anche per i suoi rapporti nel suo feudo, Latina. Domani gli ha dedicato due inchieste, in cui ha ricostruito – pubblicando i messaggi scambiati via WhatsApp – il rapporto del sottosegretario con Natan Altomare, un professionista locale. Sono rapporti confidenziali, che risalgono al 2018 e che il futuro deputato stringe con un soggetto che, a quel tempo, era già stato coinvolto in un’inchiesta della magistratura chiamata Don’t touch. Da quelle indagini e dal successivo iter giudiziario Altomare è stato assolto.

Nei messaggi che Durigon e il professionista si sono scambiati, anche domande e riflessioni nei giorni della formazione del governo Lega-M5s. Ci sono però anche le telefonate che Altomare ha avuto con Costantino “Cha cha” Di Silvio. Contatti che erano noti in città. Forse per ripulire la sua immagine da quel passo falso, Altomare ha pagato almeno due feste elettorali a Durigon e ha messo a disposizione un suo locale.

Un altro simpatizzante leghista molto attivo è Luciano Iannotta, presidente della locale Confcommercio. Oggi Iannotta e Altomare sono indagati, entrambi, per sequestro di persona. E sorprende che un sottosegretario e parlamentare così attento al suo territorio non conosca i rapporti e le vicende giudiziarie di alcune persone. «Altomare condivideva la nostra stessa passione politica e ci siamo ritrovati nella campagna elettorale, non conosco i dettagli personali», aveva detto Durigon a Domani lo scorso marzo. Era già sottosegretario, lo è ancora. Chissà per quanto.

 

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