Il consiglio dei ministri ha varato un ddl che introduce il reato di femminicidio, ma, ancora una volta, non ha tenuto conto di chi la violenza maschile la contrasta ogni giorno, con fondi statali sempre più esigui: i centri antiviolenza.

Il governo, contrario all’educazione sessuo-affettiva nelle scuole sulla scia della propaganda contro i diritti di Pro vita e famiglia, sorvola su molte cose. Innanzitutto che l’educazione e la prevenzione sono il primo passo al reale contrasto della violenza maschile contro le donne e ai femminicidi. In seconda istanza, come aveva anticipato e denunciato Domani, il governo non ha elargito per tutto il 2024 il reddito di libertà per le donne vittime di violenza maschile. I fondi stanziati per il triennio 2024, 2025 e 2026, inoltre, ammontano a soli 10 milioni all’anno.

Secondo il calcolo di D.i.Re - Donne in rete contro la violenza - quella cifra coprirebbe le esigenze di sole 1600 donne all’anno. Per capire la gravità della situazione, la rete ha ricordato che le sole associazioni della rete, nei primi mesi del 2024, hanno accolto 21.842 donne. La misura, in ritardo e con fondi esigui, lascia le donne in situazione di eterna incertezza e vulnerabilità socio-economica, cui solo i centri antiviolenza devono farsi carico.

La rete D.i.Re e Differenza Donna

I centri antiviolenza, abbandonati dalle politiche di governo, non sono nemmeno stati ascoltati per la discussione del testo sul ddl femminicidi. La rete nazionale antiviolenza D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, si trova nuovamente a constatare che l’articolazione delle proposte è nata «senza un vero confronto con chi lavora quotidianamente su questi temi».

Un fatto grave, che non può passare sotto silenzio. D.i.Re interviene anche sul testo presentato che, oltre al reato di femminicidio, introduce un’aggravante specifica di «discriminazione per tutti i reati espressione di violenza alle donne».

Su questo, la presidente D.i.Re Antonella Veltri, afferma: «L’introduzione della fattispecie di reato e il riconoscimento giuridico del reato di femminicidio non ci tranquillizza e credo che, solo attraverso il presupposto del riconoscimento delle fondamenta del reato, ovvero dell’esistenza delle discriminazioni di genere, si possa pensare all’efficacia dell’intervento».

Veltri, inoltre, afferma che non si aspetta un calo del numero dei femminicidi: «Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: non è con pene severe o più severe che si afferma il diritto delle donne di vivere una vita libera dalla violenza». Sulla questione legata all’introduzione di una specifica formazione della Scuola superiore della magistratura, Veltri afferma: «È importante il riconoscimento della necessità di una formazione specifica, ma cambiare rotta significa anche riconoscere concretamente la necessità di investimenti economici adeguati a cambiare la cultura di un paese che a colpi di pene e di suoi innalzamenti non risponde al diritto di libertà dalla violenza delle donne». 

Elisa Ercoli, Presidente di Differenza Donna, dichiara a Domani: «Nominare il femminicidio è importante perché i reati di genere hanno una loro specificità e la lotta al femminicidio parte dal riconoscimento di quest’ultima. Tuttavia, sarebbe stata importante una condivisione con chi lotta la violenza tutti i giorni, come le esperte dei centri anti violenza».


La legale: «Per le donne che subiscono violenze non cambia niente»


Aurora D’Agostino è consulente legale del Centro veneto progetti donna, che nella sua rete gestisce sportelli, centri antiviolenza e case rifugio del territorio. In merito al ddl, dichiara a Domani: «Credo anzitutto che al suo interno ci sia l’impronta securitaria che ormai imperversa in tutti gli interventi governativi». D’Agostino afferma che questa strategia prettamente punitiva: «Non porta alcunché di utile e positivo alle donne che subiscono violenze, a cui ben poco interessa a quale pena verrà sottoposto chi la opera. Ancor meno se la violenza arriva all’esito finale, alla morte. Che, tra parentesi, è già punita con l’ergastolo». Secondo l’avvocata: «Alle donne servono strumenti, risorse per lasciarsi la violenza alle spalle. Serve tutela effettiva per impedire che la violenza venga esercitata. Aggiungo che sotto il profilo tecnico il testo è scritto malissimo ed esporrà la difesa delle donne ad ogni possibile eccezione».

La consulente legale conclude: «Invece di sparare pene a zero, si dovrebbe anzitutto confrontarsi con le difficoltà reali, dalla voce di chi assiste le donne. Fa veramente arrabbiare che si usino le date come propaganda. Spero che tutte e tutti dimentichino presto di legare l’otto marzo a questo intervento legislativo». Insomma, per D’Agostino, è strumentale anche il giorno che il governo ha scelto per far uscire il ddl, probabilmente per poter dimostrare che si stia davvero muovendo sulla questione dell’altissimo numero dei femminicidi. Ma il risultato è l’ennesima sfilza di dettami carcerari in salsa prettamente punitiva, di cui il ddl sicurezza ha fatto da apripista. Sulla vera prevenzione ai femminicidi e alla violenza maschile, invece, tutto tace. 
 



 

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