Matteo Salvini è un leader sotto assedio. Governatori delle regioni, alleati, compagni di partito: sono in molti a spingere, in modo più o meno palese e camuffato, per la fine della sua carriera da segretario della Lega, nella convinzione che le elezioni europee non andranno bene per il Carroccio.

La svolta 

La realtà è che la svolta a destra di Salvini non sta dando i suoi frutti per ora, anzi la Lega sembra anche perdere qualcosa nei sondaggi a favore di una Forza Italia che ha fatto dell’immobilità un vantaggio tattico. Fratelli d’Italia, inoltre, oggi vale quasi quattro volte il partito di Salvini.

Il legame rinsaldato con le estreme destre europee, l’autonomia regionale, le uscite a braccetto con il generale Vannacci, le prese di posizione corporative su balneari e agricoltori non stanno producendo né una narrazione politica positiva né entusiasmi elettorali.

Persino la “vittoria” sul rigetto parlamentare del Mes non ha spostato un voto a favore del Carroccio e sembra più Fratelli d’Italia a profittare della bocciatura del trattato.

In questo scenario Salvini è sempre più percepito come una spina nel fianco dal resto della maggioranza, di cui forse ci si potrà liberare dopo le europee. Ma non sono solo Meloni e Tajani a percepire Salvini come un problema, ma il suo stesso partito.

Il segretario leghista si sta agitando molto sul terzo mandato, che permetterebbe a Luca Zaia di restare con ottime probabilità alla guida del Veneto per un’altra legislatura regionale, perché sa che in un contesto in cui i governatori sono inchiodati ai soli due mandati la propria posizione di leader probabilmente si indebolirà più rapidamente.

Di fatti, ora Zaia, e domani Fedriga, senza una poltrona sarà molto più incentivato ad assaltare la segreteria del partito, soprattutto nel caso in cui la Lega non dovesse andare bene alle Europee a seguito dello spostamento a tutta destra. La pressione interna su Salvini è dunque in aumento. Anche perché dal 2019 il segretario è in parabola discendente: ha perso voti e popolarità, è inviso all’establishment per le posizioni euroscettiche, è considerato inaffidabile dai governi occidentali per le giravolte nei rapporti con la Russia e con la Cina.

Aspettare al varco 

A oggi Salvini non aggiunge nulla, sul piano dei voti personali, alla Lega. Infatti tutti i big leghisti sono circospetti e nessuno tra ministri e governatori accetterà probabilmente di candidarsi alle europee. Perché mettere la faccia su una operazione elettorale che rischia di essere perdente su più fronti?

Basti pensare alla possibilità realistica che anche nei collegi del nord Fratelli d’Italia sopravanzi di molto la Lega. Inoltre, se Meloni facesse il pieno di consensi potrebbe anche ritrovarsi a svolgere un ruolo decisivo per la scelta del prossimo presidente della Commissione europea mentre la Lega resterebbe relegata nella bad company dell’estrema destra che aumenterà i suoi voti ma non la sua influenza a Bruxelles.

Dunque tutti aspettano al varco Salvini per fargli pagare, a vario titolo, le sue scelte. L’unico che quando può, nomine e voti in Parlamento, tende la mano al leghista è Giuseppe Conte.

Nessuno dei due leader ha scordato la piattaforma programmatica del Conte I e i due condividono una linea di politica estera – non proprio allineata agli interessi dei paesi Nato per usare un eufemismo  – molto simile e lo stesso Conte manifesta una certa insofferenza verso l’europeismo da sinistra. Quanto è pericolosa per l’attuale maggioranza questa vecchia liaison?

Allo stato attuale poco, dato che non esiste una maggioranza alternativa al centrodestra in parlamento. Salvini non può andare da nessuna parte, ma se si indebolirà e sentirà ancora più circondato le sue sortite per mettere in difficoltà il resto della maggioranza aumenteranno così come i possibili terreni comuni con Conte.

In questo quadro, ad esempio, un Salvini debole e incattivito potrebbe sabotare la riforma del premierato che sancirebbe la superiorità del partito più grosso della coalizione e del suo leader, vale a dire Giorgia Meloni. 

Al tempo stesso le mosse del leghista diventeranno bersaglio dell’opposizione Pd, come sta già facendo il governatore De Luca sull’autonomia, con l’accusa a Meloni di essere ostaggio del suo alleato su diversi dossier. Riusciranno un grande risultato elettorale di Fratelli d’Italia e uno modesto per la Lega a moderare Salvini? È questa la domanda politica a cui la maggioranza cercherà di rispondere nei prossimi mesi. Mentre nella Lega si affileranno argomenti e manifestazioni per aprire una via al successore di Salvini, anche in questo caso non senza creare possibili tensioni nella maggioranza. 

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