L’inchiesta sulla fantomatica loggia Ungheria si aggiorna con un altro capitolo inedito. Il capo della procura di Perugia Raffaele Cantone, insieme ai pm Gemma Miliani e Mario Formisano che stanno passando al setaccio le dichiarazioni dell’ex avvocato dell’Eni Piero Amara, hanno indagato in gran segreto per mesi sul ruolo che avrebbero avuto l’ex ministro della Giustizia Paola Severino e Michele Vietti, per anni vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, in merito alla “caduta” di un pm della procura di Siracusa, Maurizio Musco.

Quest’ultimo è un magistrato finito dalle stelle alle stalle una decina di anni fa, quando da inquirente di punta dell’ufficio della città siciliana specializzato in delitti ambientali, si è ritrovato accusato di avere rapporti opachi con l’avvocato Amara: trasferito d’ufficio a Palermo da Severino, poi condannato per abuso d’ufficio in via definitiva e infine rimosso, nel giugno del 2019, dalla magistratura con sentenza della sezione disciplinare del Csm.

Le accuse dell’ex pm

Musco è stato tirato in ballo da Amara in alcune dichiarazioni rese alla procura di Milano: nel racconto dell’avvocato, come “soldato” semplice della loggia Ungheria avrebbe tentato di salvare il compagno facendo pressione su altri appartenenti. Tra cui Michele Vietti, considerato da Amara uno dei capi del gruppo massonico, che avrebbe dovuto intercedere per bloccare le istanze di Severino, anche lei inserita da Amara tra i “confratelli”. Un tentativo non riuscito, perché, dice Amara, Musco aveva aperto un’inchiesta su una società denominata Oikhoten, che avrebbe dovuto costruire una discarica, «riconducibile alla famiglia Marcegaglia». Il duo Severino-Marcegaglia si sarebbe così mosso prima per farlo trasferire, e poi «per fare in modo che il Csm si pronunciasse contro Musco. Questo mise in estrema difficoltà Vietti nei miei confronti. Io in quel contesto – dice a verbale Amara – siccome Marcegaglia era diventata presidente dell’Eni e Severino aveva un ruolo importante in quanto molto legata a Marcegaglia, pensando al mio interesse decisi di abbandonare la mia amicizia con il dottor Musco».

Quello che nessuno sapeva è che Musco, quando ha letto sui giornali le dichiarazioni di Amara, ha preso carta e penna e scritto un lungo esposto-denuncia alla procura di Perugia e di Roma, denunciando un presunto complotto ai suoi danni che lo ha trasformato in una vittima «di una strategia finalizzata ad allontanarlo dalla procura». Il pm elenca una serie di «anomalie» da parte del magistrato Emilia Fargnoli, estensore della richiesta di trasferimento, e di Severino: dal fatto che «era stata contestata per la prima volta la violazione dell’obbligo di astensione al magistrato per il solo fatto di avere rapporti con il difensore delle parti (Amara, ndr)», alla circostanza che lo stesso «capo degli ispettori non proponeva la richiesta di trasferimento cautelare», poi proposto dalla Fargnoli d’urgenza.

Fatto più grave, dice Musco, è che «il ministro Severino formulava richiesta di trasferimento dichiarando contrariamente al vero che in quel momento esistessero cointeressenze economiche tra me e l’avvocato Amara». L’ex pm, di fatto, ipotizza che la loggia deviata possa averlo preso dunque di mira, e stritolato per il suo lavoro che metteva il bastone tra le ruote degli affari di Emma Marcegaglia.

I pm di Perugia hanno così iscritto d’ufficio nel registro degli indagati Severino, Vietti e la Fargnoli con l’ipotesi di concorso in abuso d’ufficio, ma dopo aver investigato per quasi due mesi sulle accuse di Musco hanno deciso di chiedere l’archiviazione per tutti gli indagati, mandando gli atti al tribunale secondo loro competente, cioè quello per i reati ministeriali di Perugia visto che la Severino, al tempo delle contestazioni dell’ex magistrato, era ministro del governo Monti.

«Severino non c’entra»

Il documento firmato da Cantone e i suoi uomini entra però anche nel merito, e smonta pezzo per pezzo le ipotesi accusatorie di Amara e di Musco. I pm chiariscono in primis che la procedura disciplinare contro Musco è durata ben otto anni, con tre diversi consigli del Csm intervenuti sul caso, «con relatori che non risultano avere alcun rapporto con la professoressa Severino», aggiungendo che «l’onorevole Vietti non ha più alcuna carica dal 2014. Tre volte poi è intervenuta la Cassazione dal 2016 al 2020, in composizioni diverse e partecipate da giudici diversi: come avrebbe potuto il ministro Severino o i suoi asseriti sodali riuscire a influenzare le decisioni di tanti giudici?», si chiede Cantone.

Musco, nell’esposto, critica con durezza anche un magistrato di Messina, Fabrizio Monaco, che – collegato a suo parere ad alcuni presunti faccendieri siracusani fautori di una campagna stampa su siti online locali – «avrebbe avviato un’azione penale strumentale» in suo danno. Musco spiega che Monaco non avrebbe fatto accertamenti decisivi in merito a una nota dei carabinieri di Siracusa che nel 2012 elencava una serie di contatti (avvenute prima dell’avvio dell’ispezione) tra uno degli artefici della campagna stampa contro di lui e un numero intestato proprio al Csm, ma mai identificato.

I magistrati perugini ipotizzano che debba essere il tribunale dei ministri, lo ritenesse necessario, ad effettuare l’accertamento sui numeri telefonici, ma comunque segnalano come nei confronti di Severino e di Vietti «gli stessi atti forniti dal Musco militano nel senso dell’insussistenza del fatto». Cioè nessun abuso d’ufficio e nessun complotto di nessuna loggia. L’ispezione decisa dall’allora titolare della Giustizia, si legge, «appare non solo pienamente legittima ma persino doverosa», mentre i rapporti economici tra Musco e Amara vengono definiti «quantomeno discutibili». Inoltre «appare smentita per tabulas la prospettazione secondo cui è Severino che vuole allontanare Musco dal processo Oikhoten per fare un favore alla sua amica Marcegaglia».

Anche perché la campagna per allontanare il pm da parte dei possibili congiurati sarebbe «irragionevolmente» iniziata quando ormai «il pm non poteva più occuparsi del processo e “la palla” era passata in Corte d’appello».

Loggia o non loggia?

L’indagine partita dall’esposto serve però alla procura di Perugia anche per rendere manifesti i primi dubbi espliciti sull’esistenza stessa della loggia Ungheria: nonostante le tante indagini svolte, l’appartenenza presunta di Vietti e Severino al gruppo prospettata da Amara ha portato infatti solo a riscontri negativi, tanto che «l’ufficio non ha ritenuto di procedere all’iscrizione» dei due «come adepti dall’Amara per violazione della legge Anselmi». Non solo: le dichiarazioni di Amara, che tentava di salvare l’amico dall’attacco di confratelli «riuscendo a suo dire a ottenere l’assoluzione del Musco da parte della sezione disciplinare... possono quantomeno far seriamente dubitare che quanto paventato dal dottor Musco sul ruolo di Ungheria sulla sua vicenda abbia fondamento.

Anzi: possono persino far ritenere che quantomeno una parte dei suoi adepti sia scesa in campo non contro di lui ma piuttosto per salvare il sostituto di Siracusa dai rigori disciplinari e penali».

 

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