Per chi come il premier Mario Draghi preferisce far parlare i fatti, il rientro anticipato dal summit della Nato a Madrid è sufficiente a dare il senso della gravità della situazione.

La sua maggioranza di governo è sempre più precaria e lo stesso Draghi, stanco di dover rassicurare ogni settimana sul fatto che «il governo non cade», vuole dal consiglio dei ministri nuove certezze in vista dei prossimi mesi, fondamentali per i decreti attuativi di alcune riforme del Pnrr ma anche per iniziare a imbastire la prossima legge di Bilancio. Eppure, c’è chi in maggioranza non nasconde di riflettere su altre linee politiche.

Il Movimento 5 Stelle

Quel che resta del primo partito in parlamento è in fibrillazione da giorni. All’interno la discussione è monopolizzata dalle deroghe al vincolo dei due mandati, su cui il fondatore Beppe Grillo sta tenendo duro e che il leader Giuseppe Conte vorrebbe allentare. All’esterno, invece, impazza la polemica dopo l’intervista al Fatto Quotidiano del sociologo vicino al Movimento, Domenico De Masi, che ha detto ciò che Conte già sospettava: Draghi avrebbe fatto pressioni a Grillo per commissariare l’avvocato pugliese, allontanandolo dalla guida del movimento. I contorni della vicenda non sono chiari e il premier ha smentito tali ingerenze, ma la polemica ha portato sia lui che Conte a salire al Colle per un colloquio con il presidente Sergio Mattarella.

Proprio questa potrebbe essere l’occasione per Conte di lasciare il governo, garantendo magari un appoggio esterno. Il Movimento, sempre più in crisi di consensi e ridimensionato dopo lo strappo del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha bisogno di ritrovare spinta vitale e l’opposizione potrebbe essere il luogo più adatto. Proprio sull’ipotesi dell’uscita dal governo si è consumata la faida con Di Maio e ora Conte potrebbe agire davvero. I temi di disaccordo sono molti: dai temi macro come le armi all’Ucraina a quelli micro come l’inceneritore di Roma nel decreto Aiuti.

A frenare, però, sonodue fattori: il primo è l’indecisione dello stesso Conte, che al momento della scelta ha sempre preso tempo, l’altro sono le paure dei parlamentari rimasti nel Movimento, che temono una crisi di governo anticipata e l'interruzione di quella che per loro potrebbe essere l’ultima legislatura in parlamento.

Lega

L’altro partito che ormai accarezza da tempo l’ipotesi dello strappo è la Lega. Matteo Salvini ha accusato il colpo del tracollo alle amministrative, in cui la Lega è tornata al nord a percentuali ad una cifra, e sente addosso il peso dei suoi critici interni ma soprattutto la fuga di Giorgia Meloni verso il primato nel centrodestra. Come per Conte, trovare una buona ragione per uscire dal governo non è un problema: ci sono quelle ch'e Salvini ha bollato come «provocazioni» del Pd su ius scholae e cannabis, ma anche le intransigenze del governo in materia di tasse o per la liberalizzazione di alcuni settori di mercato.

I fedelissimi del leader da tempo gli chiedono di tagliare i ponti con il governo così da tornare a quel che sanno fare meglio: l’opposizione dura, per capitalizzare il dissenso crescente e le nuove ondate di crisi previste per l’autunno.

Contro questa tentazione, però, Salvini ha due freni: il primo sono i suoi stessi ministri, capitanati dal suo vice Giancarlo Giorgetti, e i governatori del nord che chiedono stabilità e temono che Salvini trascini la Lega al fallimento; il secondo è Forza Italia, che difficilmente seguirebbe nell’uscita dal governo, spaccando definitivamente il fronte di centrodestra e ogni possibilità di federazione tra i due partiti.

Il centro

Chi invece alla crisi non ha alcun interesse e si è posto come elemento di stabilizzazione del sistema è Di Maio. Il ministro e il suo gruppo di “Insieme per il futuro” guardano al centro e si propongono come garanzia sulla vita del governo Draghi, pronti a dare una casa a chiunque intenda lasciare i partiti più estremi. Per loro l’interesse principale è la conclusione della legislatura, che consentirebbe al nuovo gruppo sia di stabilizzarsi che di darsi un’identità di riflesso all’agire dell’Esecutivo. Al momento della scissione speravano forse nella mossa incauta di Conte: uscire dal governo, spigendo altri parlamentari in direzione del nuovo gruppo.

Nello stresso senso di muovono tutti i partiti centristi della maggioranza, da Italia Viva a Forza Italia. In particolare il partito di Silvio Berlusconi continua ad agire come baricentro di equilibrio e interlocutore fedele di Draghi, ben cosciente che nessun giovamento potrebbe arrivare da una crisi di governo e che anche l’uscita di una sola delle forze politiche tra Lega e Movimento potrebbe provocarla. Inoltre, esiste anche una malcelata speranza che, se la prossima tornata elettorale non desse vita a una maggioranza politica solida, il Draghi bis potrebbe essere possibile.

Partito democratico

Il partito di Enrico Letta rimane lo zoccolo duro del governo e mantiene la sua posizione di centralità, non avendo mai messo in discussione la tenuta dell’Esecutivo. Tuttavia, la linea del partito è anche quella di rivendicare una individualità politica con misure caratterizzanti come lo ius scholae e la cannabis, pur sapendo che la loro approvazione è sostanzialmente impossibile. E poco male se queste mosse turbano la maggioranza in parlamento, mandando in agitazione la Lega. Del resto, l’obiettivo del Pd per il 2023 è quello di contendere al centrodestra un governo politico, abbandonando stampelle tecniche e maggioranze di emergenza.

 

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