«Chi dice che siamo solo ex comunisti mente: abbiamo anche i fascisti… come Emiliano». Era il febbraio del 2017 e Massimo D’Alema stava difendendo la scissione dal Pd di quello che sarebbe diventato Mdp. Il “fascista” era Michele Emiliano, potente presidente della regione Puglia.

Figlio di un iscritto al Movimento sociale, non era alle radici familiari di Emiliano che pensava D’Alema. Il presidente della Puglia, infatti, era già diventato uno dei politici più influenti e indipendenti del sud grazie a una spregiudicata rete di alleanze che arrivano fino all’estrema destra di CasaPound.

Oggi, mentre persino i partiti di centrodestra si sforzano di prendere le distanze dai gruppi più estremisti, Emiliano prosegue nella sua opera di egemonia sulla politica pugliese, senza ostacoli e senza quasi rivali, né a destra né a sinistra.

Da Casapound alla Lega

«Siamo davanti alla celebrazione di un civismo assolutamente indistinto e la strategia è chiara: disarticolare il Pd e i Cinque stelle favorendo solo chi sta con Emiliano». Marcello Risi è l’ex sindaco di Nardò, il secondo comune della provincia di Lecce e la città che ha fatto esplodere il caso Emiliano a livello nazionale.

Qui, alle ultime elezioni, il presidente della Puglia ha appoggiato apertamente il sindaco uscente, Giuseppe “Pippi” Mellone, ex militante di destra radicale, vicinissimo a CasaPound, e si è schierato contro il candidato ufficiale del centrosinistra.

Il caso è rapidamente arrivato a Roma, dove il senatore pugliese Dario Stefàno si è autosospeso dal partito per protesta. Il vicesegretario del Pd, Peppe Provenzano, è venuto in città per sostenere il candidato del centrosinistra e criticare Emiliano, così come ha fatto il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte. Ma a testimoniare la forza di Emiliano, è cambiato poco o niente. Mellone ha vinto con il 74 per cento dei voti e ora persino il senatore Stefàno preferisce affrontare con prudenza l’argomento. «La vittoria politica non si misura solo alle elezioni e un conto è attirare forze progressiste nel proprio campo, un altro è fare operazioni trasformiste per puri fini elettorali con chi non condivide i nostri valori», dice.

Il sindaco di Nardò non è il primo giovane proveniente dal mondo della destra a essere folgorato sulla via di Emiliano. Anche Alessandro Delli Noci, nato nel 1982 e oggi assessore regionale, è cresciuto nel centrodestra leccese.

A Gallipoli, Emiliano ha riempito di figure legate alla Lega le liste a sostegno della rielezione del sindaco Stefano Minerva nomi di politici storicamente legati alla Lega. Minerva ha vinto con il 60 per cento, travolgendo Flavio Fasano, l’ex sindaco che si era messo a capo della coalizione di chi non si riconosce nel nuovo corso di Emiliano.

«Un cane da tartufo»

Divenuto magistrato all’età di 26 anni, Emiliano, oggi 62enne, ha svolto la sua attività da giudice fino al 2003 lavorando non solo in Puglia, ma anche nella procura di Agrigento dove ha conosciuto Giovanni Falcone e Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla Stidda, la mafia agrigentina, nel 1990.

Dopo essere tornato in Puglia, l’allora segretario dei Ds Massimo D’Alema lo scelse come candidato sindaco a Bari. Una decisione che suscitò parecchie polemiche, visto che Emiliano si era occupato dell’inchiesta Arcobaleno, un’indagine sugli sprechi e i sospetti di corruzione in una missione di aiuti destinata al Kosovo decisa proprio da D’Alema.

Michele Emiliano insieme al segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti e l'allora presidente della regione Puglia Nichi Vendola (Foto Agf)

«La sua abilità di attirare frange di centrodestra era stata decisiva per convincere D’Alema a sceglierlo come candidato sindaco di Bari per il centrosinistra», racconta oggi Risi, l’ex sindaco di Nardò. È stata una scommessa vincente. Emiliano è stato eletto a Bari nel 2004 e poi di nuovo nel 2009. Nel 2015 ha conquistato per la prima volta la regione.

Fin dalla sua esperienza da primo cittadino del capoluogo pugliese, Emiliano ha saputo attirare politici un tempo più vicini al centrodestra come Tommy Attanasio ex esponente di An che nel 2011 finì per entrare nella lista Emiliano per la Puglia. Oppure Massimo Cassano che, già senatore del Pdl, è stato nominato nel 2020 direttore generale dell’Arpal, l’agenzia regionale per il lavoro.

È con queste mosse che l’ex magistrato ha ottenuto un successo elettorale dietro l’altro, non senza inciampare in qualche inchiesta come quando nel 2012 finì al centro di un caso mediatico, senza essere indagato, per avere ricevuto un pacco pieno di champagne e cozze pelose dall’imprenditore Gerardo Degennaro accusato di avere ricevuto appalti truccati dal comune di Bari e dalla regione (inchiesta finita in prescrizione).

«Perché una persona dovrebbe votare centrosinistra per poi trovarsi certi nomi in lista?», si chiede oggi Risi, riflettendo sulle prospettive di lungo periodo della strategia del presidente. Un altro politico che nutre qualche perplessità su questa strategia è Nico Bavaro, segretario regionale di Sinistra italiana.

«Emiliano è un cane da tartufo – dice – Non gli manca il fiuto. A volte rischia, però, di scambiare pietre per tartufi. Una strategia che porta all’allargamento del centrosinistra conduce sul lungo termine soltanto al rischio di annacquare le posizioni politiche e alla creazione di un sistema di clientele».

C’è chi dice no

Anche a Emiliano, però, non tutte le ciambelle escono col buco e nella regione inizia ad emergere qualche segnale di stanchezza per il suo strapotere. È il caso di Barletta. Qui nel 2018 è arrivato al governo il socialista Cosimo Cannito posto a capo di un’inedita coalizione che vedeva unito tutto il centrodestra cittadino, a eccezione della Lega, e alcuni esponenti civici vicini a Emiliano.

Anche in questo caso sinistra, Pd e Cinque stelle sono rimasti fuori. La strana maggioranza ha retto fino a quest’estate quando è implosa. Il presidente di regione è intervenuto chiedendo esplicitamente a Pd e M5s di sostenere il ribaltone interno al centrodestra. Ma alla fine, di fronte al fermo rifiuto dei quadri locali, ha dovuto desistere. «Non ci sono le condizioni per accettare la proposta di Emiliano – dice Carmine D’Oronzo, ex candidato sindaco della sinistra in città – Non è più tempo di vecchi carrozzoni alla Cannito, ma di vere alternative».

Oltre al caso Barletta, la strategia di Emiliano ha avuto battute di arresto in altri comuni come Copertino, dove il quarantenne Vincenzo De Giorgi, scelto da Emiliano per sostituire il vecchio establishment, ha perso al ballottaggio alle comunali del 2019 contro la sindaca uscente Sandrina Schito, sostenuta dal Pd.

«Il più populista d’Italia»

Nonostante alcuni intoppi, la campagna acquisti di Emiliano procede a tambur battente con un meccanismo che se da una parte rischia di snaturare il centrosinistra, dall’altra prosciuga sempre di più il centrodestra lasciando alla fine un solo giocatore sul campo: lui stesso.

L’ultima tappa è stata la creazione del movimento politico: Con, un soggetto politico lanciato lo scorso luglio che sembra fatto apposta per diventare il contenitore di tutti i pentiti, veri o presunti, del centrodestra pronti a migrare sulla sponda dell’ex sindaco barese. D’altronde anche a livello nazionale Emiliano ha fatto uscite originali come quando ad agosto ha detto di apprezzare Matteo Salvini perché «ha una visione di paese».

«Emiliano è il politico più populista d’Italia con trovate anche singolari come quella di dare il suo numero di telefono a tutti i pugliesi», dice Stefano Cristante, sociologo dell’università del Salento. «Punta a creare un suo consenso personale, approfittando della debolezza dei partiti. Invece di risolvere le conflittualità della sua regione vuole assorbirle e finisce con l’ignorarle». Delle aspirazioni nazionali di Emiliano si discute da anni e lui stesso ha dato sostanza ai sospetti quando nel 2017 si è candidato segretario del Pd in opposizione a Matteo Renzi. Anche qui, però, secondo Cristante, il potere di Emiliano mostra i suoi limiti: «Un sistema che si regge su un perenne situazionismo basato su rapporti personali manca di solidità e prima o poi, specie se portato a livello nazionale, rischia di far cadere il castello».

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